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Daniele V. Morrone
Classici: Olanda - Argentina '74
30 mar 2016
30 mar 2016
Abbiamo riguardato la partita manifesto dell'Olanda di Cruyff.
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Daniele V. Morrone
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«La cosa più difficile non è insegnare a un terzino come rendersi utile in fase offensiva, perché quello gli piacerà, ma è trovare qualcun altro che vada a ricoprirne poi la posizione.»


Rinus Michels


 

La Nazionale olandese del 1974 non rappresenta il primo connubio tra una generazione d’oro di talenti e un collettivo in grado di esaltarli. Il carattere rivoluzionario di quella formazione però è stato talmente profondo da cambiare per sempre il modo di intendere il calcio, riscritto da capo nei suoi concetti cardine.

 

Il gioco attuale è figlio del calcio totale esposto in vetrina al Mondiale del 1974. Forse anche più di quanto i contemporanei, ammaliati dal carattere rivoluzionario di quel gioco, avrebbero mai potuto immaginare. Tutti i principi del calcio totale fanno ora parte del linguaggio comune e forse per questo il Mondiale del ’74 sembra ben più vicino a noi di quello giocato appena quattro anni prima in Messico. Come se in quei quattro anni l’evoluzione del calcio avesse preso un’accelerazione di carattere esponenziale. Ma forse è proprio questo che fanno le vere rivoluzioni.

 

La discrepanza tra la squadra olandese e il contesto che la circonda è bruciante. Tutto ciò che non ha a che fare con gli "Orange" è palesemente di un’altra epoca: dal formato della competizione (due fasi a gironi da cui poi usciranno le due finaliste), alle divise minimaliste, al fisico asciutto dei giocatori in campo, alle esultanze sobrie dei giocatori dopo una rete.

 

Per mostrare il contrasto tra le due realtà la prima partita della seconda fase tra Olanda e Argentina è perfetta. Oltre a rappresentare forse il picco della prestazione degli “Orange” in Germania, la sfida mostra anche lo shock che il sistema di Cruyff e Michels provocava in una Nazionale canonica.

 

L’Argentina era una buona squadra, forse priva dell’esperienza necessaria ad affrontare l’Olanda: solo 4 degli 11 in campo venivano da una stagione in una squadra europea e solo il capitano Perfumo aveva più di trent’anni. Eppure nessuno poteva immaginare che sarebbe andata incontro a un’umiliazione. L’Argentina aveva già incontrato e perso contro l’Olanda in un’amichevole di preparazione al Mondiale un mese prima, ma la prestazione degli avversari, ancora non propriamente rodati, aveva portato alla famosa frase di uno dei consiglieri del ct argentino, Cap: «El resultado es mentiroso. Quiero la revancha». Il risultato è bugiardo, voglio la rivincita.

 



È bastato un mese a Rinus Michels per costruire la sua opera maestra. Quell’Olanda era l’esaltazione di una generazione che aveva già cannibalizzato la concorrenza a livello di club, vincendo tra Feyenoord e Ajax quattro delle ultime cinque Coppe Campioni. Michels fondò la sua Nazionale unendo i due blocchi e aggiungendo tre giocatori “esterni”: l’ala sinistra Rensenbrink dell’Anderlecht, il portiere Jongbloed dell’Amsterdam e ovviamente la stella della squadra: il capitano Johan Cruyff, tornato dalla trionfale stagione con il Barcellona, raccolto in zona retrocessione e portato al primo titolo di Liga dopo 14 anni di digiuno.

 

Lo stesso Rinus Michels era stato chiamato come ct della Nazionale a soli tre mesi dalla competizione, e nonostante fosse sotto contratto proprio a Barcellona. L’esperienza in Catalogna di Cruyff e Michels ha permesso lo sviluppo di una simbiosi ancora più marcata tra i due, portando le idee di calcio già sperimentate con l’Ajax a nuove vette di originalità. Un esempio: l'idea di introdurre il ruolo del portiere-libero, ora comune grazie a interpreti come Neuer o Bravo, in grado di andare a coprire la profondità con uscite aggressive ben lontane dalla porta, che viene a Cruyff con lo scopo di controllare ancora meglio lo spazio. Come racconta David Winner nel fantastico

, è proprio Cruyff a convincere Michels a non chiamare l’ex compagno van Beveren in favore dell’esperto ed eccentrico Jongbloed, talentuoso con i piedi e nelle letture lontano dalla porta.

 

Quella del controllo degli spazi è un’ossessione per Cruyff tanto quanto per Michels. È da questa intuizione essenziale che nasce il calcio totale, come scrive sempre Winner: «Cruyff e Michels insieme hanno ripensato il calcio come un’abile e vorticosa competizione di spazi: chi sarebbe riuscito a creare e controllare gli spazi limitati del campo avrebbe vinto. In questo, hanno inconsciamente raccolto l’eredità di tutta la cultura olandese. Per secoli gli olandesi hanno dovuto cercare nuovi modi di pensare, sfruttare e controllare gli spazi in una terra affollata e mangiata dal mare. Questa sensibilità è chiara nei dipinti di Vermeer, Saenredam e Mondrian ed è presente anche nell’architettura e nella gestione del territorio. Serviva un piccolo passo per renderla parte anche del calcio».

 

Per rendere effettiva l’intuizione del controllo degli spazi servono grandi doti di lettura e la capacità dei giocatori di effettuare un movimento continuo per aiutarsi a vicenda e mantenere le distanze sempre corrette. Non è la palla al centro del sistema ma il terreno di gioco e la porzione di campo che la squadra è in grado di coprire. Cosa che all’atto pratico porta un giocatore a occupare la posizione del compagno quando questo si muove, con la sensazione di assistere a un movimento collettivo fluido e a una squadra “senza ruoli fissi”.

 



 

Bisogna immaginare l’Olanda schierata con un 4-3-3 interpretato col massimo della fluidità. Cruyff è totalmente libero di muoversi dove meglio preferisce: partendo al centro di un attacco, il 14 si sposta dove ritiene più opportuno, con i compagni che si muovono di conseguenza, aggiustando la loro posizione a quella del capitano.

 

https://www.youtube.com/watch?v=S1YkK2ga0co

Il primo tempo della partita.


 



L’Argentina, abituata alla marcatura a uomo, si trova davanti a questo sistema come di fronte a un cubo di Rubik. Dopo appena due minuti il centrale e capitano Perfumo non riesce a dirigere una retroguardia che si vede arrivare avversari da ogni zona del campo.

 



 

Una squadra in cui tutti hanno i capelli lunghi, le leve lunghe e sono in grado di puntare la porta palla al piede. Sebbene sia naturale pensare che il calcio totale significhi che in campo tutti possono fare tutto, si tratta più di un principio generale che di una regola. Ogni giocatore interpreta la zona di campo con il proprio stile di gioco e, inoltre, per quanto tutti uguali, c’è sempre qualcuno più uguale degli altri. Quel qualcuno è quello con il 14, un giocatore che ha troppo calcio in testa per essere contenuto dentro compiti di gioco limitanti. Cruyff è l’unica variabile realmente impazzita del sistema: viene a prendersi la palla dai piedi del compagno e non ha paura a provare anche ad attaccare la porta da ben prima della trequarti, sicuro di poter saltare sempre il marcatore diretto.

 



 

La regia attuale probabilmente richiederebbe una telecamera personalizzata solo su di lui, perché inquadrarlo quando ha la palla non basta per capire chi fosse Cruyff in campo. È capace di prendersi le attenzioni degli altri giocatori anche quando non ha il pallone, indicando dove deve trovarsi un compagno, o dove dovrebbe andare il pallone. È come se Cruyff giocasse una partita a scacchi a parte, due mosse avanti.

 


Cruyff accompagna il taglio di Neeskens con uno stop lento che gli permette di scattare in area.


 

In una partita in cui è l’Olanda a dettare il contesto, Cruyff conosce tutte le regole: «Per poter attaccare bisogna saper difendere in avanti e per poter difendere in avanti la squadra deve saper pressare l’uscita del pallone dal rivale. Per facilitare questa cosa, una squadra deve formare più linee possibili. Così una volta recuperato il pallone, c’è sempre qualcuno fronte alla porta e qualche altro compagno vicino. Lo spazio tra chi ha la palla e questi compagni non deve essere mai più di 10 metri, perché se lo spazio è superiore ai 10 metri aumenta considerevolmente il rischio di perdere il pallone». Questo è uno dei mantra su cui l’Olanda si organizza: gli Orange vogliono la palla per sfruttare tutta l’ampiezza del campo, e quando non ce l’hanno non permettono all’Argentina di fare più di due passaggi senza che un giocatore con la maglia arancione si fiondi contro il portatore.

 

L’attuale pressing sistematico è figlio del pressing olandese, ma non va confuso con questo. Quello del ‘74 è un pressing che nasce dalla capacità individuale dei giocatori di avere delle ottime letture in campo. Per cui, come nel caso degli scambi di posizione offensivi, c’è una versione istintiva delle coperture preventive. Un giocatore olandese è sempre vicino all’argentino che riceverà palla, pronto a intervenire in modo duro per rubare il possesso o fermare il gioco. Con regole molto più blande sul fallo sistematico, gli olandesi applicano una versione di “palla o gamba” che spezzetta la partita più di quanto uno spettatore vorrebbe, ma che manda completamente in bambola gli argentini che sentono quasi scottare il pallone.

 



 

La difesa alta argentina riceve troppi input esterni per reggere: viene attaccata sia sui lati che frontalmente dal movimento continuo di quel genio di Neeskens, fondamentale come iniziatore del pressing. L’impatto di Neeskens sugli avversari è tale da rendere impossibile il passaggio per vie centrali del pallone, cosa che porta l’attaccante Ayala a giocare schiacciato sul centrocampo per vedere un pallone (che poi perderà subito). Il migliore giocatore dell’Argentina nel Mondiale del ’74, Houseman, non si vede in campo perché incapace di trovare la zona di ricezione e perché i compagni non riescono fisicamente a fargli arrivare la palla sui piedi. L’incapacità dell’Argentina di impostare un sistema di recupero del pallone fa sì che l’Olanda perda palla solo sui falli subiti.

 



Il primo gol arriva dopo dieci minuti di dominio in cui l’Olanda si era preoccupata più di tirare in porta che della qualità delle sue conclusioni. Il gol è un gioiello di Johan Cruyff che chiama la palla in area non appena vede la mezzala van Hanegem in possesso, tagliando da sinistra verso il centro e ricevendo la verticalizzazione del compagno. Cruyff fa passare appena due secondi tra lo stop con la gamba destra e il dribbling successivo sul portiere, in un movimento senza soluzione di continuità.

 


Questo gol fa venire in mente la famosa frase di Cruyff sulla velocità: «Che velocità? La stampa sportiva spesso confonde velocità con intuito. Guarda che se io comincio la corsa leggermente prima dell’avversario, sembro più veloce».


 

La risposta al gol dell’Argentina è quella di abbassare la linea per evitare altri lanci e alzarla non appena la palla arriva sulla trequarti, strategia che però che viene letta in modo semplice dall’Olanda. Su esplicite indicazioni in campo da parte di Cruyff, l’Olanda aspetta di arrivare sulla trequarti per invitare fuori l’Argentina e lanciare ancora in area. È quasi un peccato che il secondo gol non arrivi con questo bell’aggiustamento tattico ma da un semplice calcio d’angolo dove Krol mostra la specialità della casa con un tiro rasoterra che trova il portiere Carnevali impreparato, forse coperto dal gruppo di giocatori presente in area.

 

Con un’Argentina del tutto incapace di rispondere, se non con conduzioni palla al piede di Wolff, partendo anche da dietro la linea del centrocampo, si mostra in modo evidente la differenza di livello tattico tra le due squadre. Una squadra che esalta il gruppo lasciando però massima creatività al singolo, e un’altra che risponde al fallimento del proprio sistema col tentativo individuale di singolar tenzone. La versione calcistica di quella scena in cui il visconte dimezzato parte alla carica verso un cannone, facendosi squarciare a metà.

 

https://www.youtube.com/watch?v=PG3XoTnZlUk

Il secondo tempo della partita.


 

Per rendere l’idea della difficoltà dell’Argentina ci sono due famosi aneddoti. Il primo è un dialogo tra il portiere e il suo capitano: Carnevali si prende tutto il tempo del mondo per rilanciare il pallone in attesa di trovare una zona libera da maglie arancioni, al che Perfumo gli grida un “Forza! Rilancia!” a cui lo sconsolato portiere risponderà dopo il lancio con un “tranquillo che ce la tolgono comunque subito”. Il secondo aneddoto è forse ancora più forte: Wolff palla al piede riesce a scappare finalmente alla pressione, avanzando per una ventina di metri. A gioco fermo pochi istanti dopo gli si avvicinerà Cruyff per congratularsi in modo sincero per essere riuscito a superare gli avversari se pur per un’azione. Anni dopo Wolff della partita dirà: «È stata l’unica volta nella mia vita che mi sono sentito impotente in campo. Ci hanno camminato sopra, letteralmente. Adesso rivedendola non sembra tanta la differenza, ma quel giorno volevo morire».

 


Questo muro arancione starà ancora correndo negli incubi di Wolff.


 

Effettivamente la differenza tecnica in campo, tolti Cruyff e van Hanegem, non è enorme, ma dal punto di vista tattico la partita non è mai realmente iniziata. Nel secondo tempo la sensazione è che l’Argentina stia solo aspettando che finisca la partita.

 

L’incontro diventa ancora più spezzettato e l’Olanda inizia ad abbassare i ritmi. Arrivano i primi cambi di campo per far respirare l’azione, finalmente non più solo verticale, e arriva anche il terzo gol. Un bellissimo cross dalla fascia sinistra di Cruyff sul secondo palo, dove Rep deve solo allungare la testa.

 



 

Con la partita in ghiaccio il linguaggio del corpo olandese cambia, la pressione arriva solo quando la palla avversaria raggiunge il centro del campo. Le azioni non trovano mai reale sviluppo: gli avversari iniziano a fare fallo sistematico direttamente placcando il portatore di palla nella propria trequarti se lanciato in porta.

 



 

Forse questa più di ogni altra cosa, e più anche del gol del 4-0 finale, è l’immagine decadente di un vecchio sistema sconfitto e incapace di reagire,  se non con l’anticalcio, a un’esibizione che vede gli olandesi ancora in grado di correre dietro al pallone a partita ormai conclusa. Più che la brillantezza atletica, però, il sistema funziona perché, come spiega bene Cruyff: «Tutti gli allenatori parlano di movimento, di saper correre molto. Io dico che non è necessario correre tanto. Il calcio è un gioco che si pratica con il cervello. Bisogna essere nel posto giusto al momento giusto, né troppo presto, né troppo tardi». L’Olanda, riscrivendo il concetto di spazio calcistico, è stata la prima a trovarsi con ogni giocatore sempre al momento giusto al posto giusto.

 

Veramente ironico, e forse crudele, come l’Argentina solo quattro anni dopo vincerà il Mondiale in casa anche grazie all’esperienza traumatica in Germania. La formazione fu ripulita quasi totalmente e affidata a un ct come Menotti, che molto si ispirò al calcio olandese.

 

Il Mondiale del 1974, e soprattutto la partita contro l’Argentina, hanno mostrato quanto l’Olanda giocasse un calcio avanti decenni rispetto ai suoi avversari. Se gli “Orange” non hanno alzato la coppa – battuti in finale dalla squadra di casa –devono innanzitutto rimproverare sé stessi e una loro tracotanza. Forse esasperata dal dominio proprio contro l’Argentina.

 

La più grande generazione di calciatori olandesi, in grado di rivoluzionare il gioco e di portare una Nazionale sconosciuta a due finali consecutive dei Mondiali, non potrà mai aggiungere la stella sopra lo stemma. Va però detto che, se pure perdendo, quell’Olanda ha davvero creato il calcio che vediamo ora. In questo la storia gli è stata clemente.

 

 

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