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Cesare Alemanni
Classici: Milan - Inter '09
18 nov 2015
18 nov 2015
Stavolta abbiamo riguardato il netto 4 a 0 dell'Inter che avrebbe vinto il triplete.
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Cesare Alemanni
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In un’ideale Iliade dei sentimenti il derby della propria squadra del cuore e l’anniversario di fidanzamento vestirebbero i panni rispettivamente di Ettore e Achille.

spesso che si scontrino

. Il 29 agosto 2009 cadeva di sabato ed ero fuori a cena con la mia ragazza di allora: festeggiavamo il primo anno insieme. Il 29 agosto 2009 alle 20.45, a San Siro, si giocava il derby di Milano e io lo avevo scoperto soltanto il giorno prima. Ero convinto si giocasse di domenica, che sei anni fa non eravamo così attenti agli anticipi al sabato. Non che avrebbe fatto una grande differenza, del resto sappiamo tutti come andò tra Ettore e Achille.

 

All’epoca non possedevo uno smartphone e a cena non potei buttare nemmeno un occhio al risultato con la scusa di rispondere a delle email improcrastinabili. Rimasi all’oscuro di tutto fino ben oltre il novantesimo quando, uscito dal locale per fumare una sigaretta, mi trovai di fianco a tre sciure molto milanesi e molto ingioiellate che parlavano del derby con tono da sciure molto milanesi, molto ingioiellate e un po’ alticce, in un clima da serata “solo donne”. A differenza di me i mariti erano evidentemente da qualche parte a vedere la partita: privilegi che si conquistano con l’età.

 

Dopo alcuni minuti con l’orecchio teso a quella tortura di “ma che roba!”, “o mamma chissà il Gigi come l’avrà presa!”, “beh almeno stasera il Filippo sarà contento!”, senza che nessun risultato o nome del vincitore venisse chiaramente pronunciato, mi rassegnai a chiedere con aria fintamente disinteressata: «Scusate, sapete com’è finita la partita?». È stato in questo modo che ho scoperto che mi ero perso l’affermazione più rotonda dell’Inter in un derby, degli ultimi… beh diciamo pure da quando tifo Inter.

 

Fino a pochi giorni fa non avevo mai visto la partita. Avevo visto, certo, i gol e anche delle sintesi piuttosto lunghe, ma la mia maggiore fonte d’informazioni erano stati gli altri interisti, quegli altri interisti che non avevano un anniversario da festeggiare quel giorno. In queste cronache l’affermazione assumeva sempre i contorni di una vittoria mostruosa, una dimostrazione di superiorità da tramandare ai nipoti, la rivincita definitiva sui cugini boriosi. L’effetto di quei resoconti era, ovviamente, di farmi sentire ancora più sfigato per non avere vissuto l’evento in diretta.

 

Ora che con sei anni di ritardo la partita l’ho finalmente vista, in un video un po’ sgranato su YouTube e con negli occhi l’offensivamente stitica Inter attuale, mi è venuta un po’ di nostalgia per quell’Inter che al 73.esimo poteva permettersi di effettuare un cambio Sneijder - Vieira, ma anche un dubbio: fu davvero così tanta gloria quel derby? Comunque: la partita.

 

https://www.youtube.com/watch?v=XIPGT3mZ2e4

Eccola per intero.



 

L’Inter, quella che a fine anno avrebbe vinto il Triplete, è reduce da un pareggio casalingo all’esordio—con il Bari, che avrebbe anche potuto vincere nel recupero—e deve fare a meno del suo metronomo Cambiasso, infortunatosi in un’amichevole estiva. In compenso da Madrid è appena arrivato, nel vero senso della parola, essendo atterrato il giorno prima a Milano, Wesley Sneijder, il raccordo tra centrocampo e attacco voluto a tutti i costi da Mourinho. L’allenatore portoghese schiera quindi l’11 titolare in un 4-3-1-2 disposto in questo modo da sinistra a destra: Júlio César; Chivu, Samuel, Lucio, Maicon; Thiago Motta, Stankovic, Zanetti; Sneijder; Eto’o, Milito.

 

Il Milan allenato da Leonardo, già bersaglio di qualche frecciatina di Berlusconi nel prepartita, invece viene da una vittoria a Siena, con doppietta di Pato, che ha rasserenato un po’ gli animi dopo un precampionato semidisastroso. Leonardo opta per un 4-3-1-2 / 4-3-3, con questi uomini: Storari; Jankulovski, Thiago Silva, Nesta, Zambrotta; Flamini, Pirlo, Gattuso; Ronaldinho; Borriello, Pato.

 



San Siro è tutto esaurito, la serata è calda e sugli spalti due facce su tre portano ancora i segni dell’abbronzatura. È un derby alla seconda giornata, il primo orfano di Ibra e Kaká, prematuro e anomalo, che il Milan comincia decisamente meglio dell’Inter. È la prima sorpresa, rispetto alla versione che mi era stata raccontata, che mi riserva questa visione con un jet lag di sei anni.

 

Come tutte le squadre di Mourinho, nei primi minuti l’Inter lascia infatti molto campo all’iniziativa dell’avversario, in attesa di un’occasione per spaventarlo in contropiede o con un cambio di gioco improvviso. Ed è infatti proprio con un rapido rovesciamento di fronte a tre tocchi che, già al minuto 1 e 45, addirittura Eto’o, in posizione di terzino, libera la palla da un intasamento sulla trequarti di destra dell’Inter e apre al centro per Motta, che smista subito in verticale per Milito, il quale ignora la proposta di sovrapposizione di Chivu e calcia alto da fuori area. Subito dopo le telecamere pescano Maldini in tribuna. Paolo ha giocato talmente a lungo che credevo si fosse ritirato più di recente, e invece proprio questo era il suo primo derby da spettatore. Anche se per ovvie ragioni di tifo non dovrebbe, la scoperta mi provoca un po’ di malinconia.

 

Dopo l’incursione di Milito, il Milan riprende campo, complice il fatto che Lucio e Samuel stanno molto bassi per coprire la velocità di Pato sulle eventuali deviazioni aeree di Borriello, con il quale duella Stankovic, mentre Thiago Motta segue Ronaldinho e a Sneijder è affidato il compito di non far ragionare Pirlo.

 

Altro momento nostalgia al quinto: Chivu, non uno dei più appariscenti di quella squadra, ma di sicuro tra i miei preferiti, esce a testa alta da un pressing con un dribbling sintetico ed efficace e serve Sneijder con un rasoterra di quindici metri che sfila preciso sulla linea laterale destra. Lo stesso Sneijder che, dopo pochi secondi, testa i riflessi di Storari con un tiro a giro da fuori area, al termine di una serie di scambi sul vertice destro dell’area del Milan. Un tipo di situazione che, riproposta dall’altra parte, si rivelerà la chiave per scardinare la partita.

 

https://youtu.be/XIPGT3mZ2e4?t=5m9s

L’appoggio di Thiago Motta non è da sottovalutare.



 

Nel frattempo, al settimo minuto, di sottofondo alla telecronaca si sente lo speaker di San Siro—quello di una volta, con la voce severa, molto “Caffè Borghetti” ed “Estintori Meteor” (chi c’era ricorderà) di quando andavo ancora allo stadio—che dice: «Un bambino di nome Andrea, Andrea [non si capisce il cognome] sta cercando il papà» o qualcosa del genere. Non faccio in tempo a decidere se preferisco lo stile “We Will Rock You” degli speaker moderni o quello neorealista delle vecchie voci, che, dopo un bel lancio di Gattuso e uno stop di petto a seguire da manuale, Flamini si beve Maicon sulla destra e si presenta in area da solo e con la possibilità, non sfruttata, di servire un tap-in a Pato. Esatto: Flamini.

 

Alzando ulteriormente il baricentro della squadra, da quel momento in poi il Milan diventa padrone della partita per almeno un quarto d’ora, tanto che persino Samuel sembra un po’ sbandare, un fenomeno osservato forse cinque volte nella storia del calcio. In leggera apnea, l’Inter si affida al contropiede, che però va spesso a sbattere contro gente come Thiago Silva e Nesta, il quale all’undicesimo fa una “nestata” di commuovente bellezza. Chiusura da ultimo uomo su un filtrante teso di Sneijder per Milito, con il piede di richiamo e in equilibrio precario, stop millimetrico sul campanile che ne segue, dribbling su Eto’o e uscita dalla difesa senza nemmeno spettinarsi. Una cosa che sta al gioco difensivo come tre veroniche di Zidane consecutive a quello offensivo.

 

https://youtu.be/XIPGT3mZ2e4?t=11m7s

 

Dopo un brutto liscio aereo di Lucio e una strepitosa accelerazione di Pato, la supremazia territoriale del Milan potrebbe concretizzarsi già al tredicesimo, se un Ronaldinho in condizione atletica imbarazzante non sparasse al secondo anello un sinistro da centro area. Sempre Dinho, peraltro, due minuti dopo mette al centro un cross che Júlio César non trattiene rischiando un pasticcio sull’arrivo di Borriello. La sensazione è che il gol del Milan sia una questione di minuti. La difesa dell’Inter, in particolare sul versante destro presidiato da Maicon e Lucio, fa acqua, ed è infatti lì che staziona di preferenza un Pato che, a vent’anni ancora da compiere (li avrebbe fatti esattamente tre giorni dopo, il 2 settembre), aveva già l’impatto di un craque sulle partite. Come abbia fatto a non diventare uno dei primi dieci al mondo è un mistero.

 



In questa fase l’unico interista a distinguersi è Eto’o, che porta a spasso mezza difesa del Milan al dodicesimo, ma in generale la squadra sembra ancora convinta di avere Ibrahimovic davanti e che basti “mandarla su” per mantenere il possesso in zona offensiva. Ibrahimovic però è a Barcellona per vincere la Champions (giggle) e così il baricentro rimane basso e le risalite sporadiche. Anche perché i compagni non sempre sanno leggere l’incredibile mobilità senza palla di Milito, che, per esempio, al 23.esimo fa un movimento splendido sull’out destro: finta di venire incontro al pallone portandosi dietro il marcatore per poi improvvisamente aggredire lo spazio alle spalle di Jankulovski, che inaugura così una personale via crucis che dura fino alla fine del primo tempo.

 

C’è infatti ancora giusto il tempo per un no-look di Ronaldinho a Zambrotta al 20.esimo, così ben coreografato da sembrare a velocità normale un dai-e-vai con un compagno invisibile, e per ricevere dal bordocampista la notizia che Mourinho è furioso con il preparatore dei portieri perché Júlio César continua a rinviare lungo anziché appoggiarla ai difensori, che l’Inter passa in vantaggio con un’azione effettivamente da manuale.

 

Giro palla che trova Maicon in corsa già ben oltre la linea di centrocampo, il brasiliano salta Flamini accentrandosi con un’accelerazione e la dà a Eto’o, spalle alla porta al limite dell’area milanista. Mentre Maicon gli gira intorno e va a coprire lo spazio del centravanti portando Thiago Silva fuori posizione, Eto’o dialoga indietro con Zanetti. Javier la cede centralmente a Motta che, con un appoggio di prima, serve nuovamente Eto’o al limite dell’area, il quale, sempre di prima, la cede a Milito e poi si butta nello spazio tra Silva e Nesta, mentre Motta si incunea in area, in una piccola prateria di campo lasciata sguarnita da Pirlo, che si è fatto risucchiare dal movimento di Eto’o, da Flamini, che ha letto in ritardo l’inserimento di Motta, e da Jankulovski, rimasto largo a coprire Maicon. Milito la controlla, dando a Motta il modo di trovare il passo giusto per l’inserimento, e poi gli serve un pallone nel corridoio creato dallo svuotamento del campo prodotto dalla rapida circolazione di palla interista. Motta deve solo spingerla dentro. Lo fa: 0 - 1 al minuto 29. Poco da dire: è un’azione così bella ed efficace che quasi da sola fa sembrare il vantaggio dell’Inter meritato.

 



 

Il Milan subisce il contraccolpo psicologico del gol e, con l’eccezione del solito incontenibile Pato che al 33.esimo fa ammonire Samuel, arretra l’altezza della squadra di almeno dieci metri. Forse è subentrata della paura, forse è solo un tentativo di riassestarsi. La partita in ogni caso non concede il tempo di appurarlo dato che, sulle conseguenze del calcio di punizione seguito al giallo a Samuel, Maicon si ritrova la palla tra i piedi sul lato destro della difesa interista e lancia Eto’o, clamorosamente solo, in contropiede dal limite della metà campo interista.

 

Il più vicino a Eto’o è Gattuso, che generosamente prova a rincorrere l’attaccante, e, complice il fatto che quest’ultimo perde un po’ il passo nell’aggiustarsi il pallone, riesce anche a raggiungerlo proprio quando il camerunese è sul punto di calciare in porta. Anziché concedergli un tiro dall’esito non così scontato (dopotutto la punta arriva da un’accelerazione di quaranta metri, sta rientrando verso il centro da posizione leggermente defilata e non sembra in ritmo perfetto per il tiro), “Ringhio” sceglie di cinturare Eto’o da dietro. Rigore netto, con Mourinho che chiede anche l’espulsione di Gattuso. Rizzoli, forse per le considerazioni tra parentesi qui sopra, decide che non era una chiara occasione da gol, che il giallo è sufficiente, e infine al 36.esimo Milito trasforma dagli undici metri con un tiro dritto per dritto sotto la traversa, mentre, sulla faccenda dell’espulsione, Bergomi si trasforma in un ultras dell’Inter in diretta.

 



 

Passano tre minuti e, al 39.esimo, Gattuso, che già alcuni minuti prima aveva richiamato in campo lo staff del Milan per un problema muscolare, chiede platealmente il cambio alla panchina. Leonardo manda a prepararsi Seedorf che, essendo Seedorf, lo squadra come dire: “Ah perché adesso devo anche giocare?” e così, con il cambio che tarda, Gattuso entra altrettanto in ritardo su Sneijder a un metro da Rizzoli. Secondo giallo, ineccepibile, Milan in dieci e partita virtualmente finita, con Leonardo che rimanda il cambio all’intervallo e decide di passare al 4-4-1 con Pato e Ronaldinho esterni di centrocampo. Grosso errore.

 



Già, perché a sigillare a doppia mandata la partita ci pensa Maicon al 45.esimo, concludendo l’opera di demolizione di Jankulovski, che “si fa saltare con troppa facilità” (Caressa) da un taglio all’interno del brasiliano, il quale scambia quindi con Milito vanificando il tentativo di intercetto di Thiago Silva uscito alto. Nonostante un controllo non facile, l’attaccante di Bernal chiude l’uno-due quando Maicon è ormai dentro l’area, completamente dimenticato da Pato, troppo fuori ruolo. A quel punto, a tre metri da Storari e con Nesta in scivolata disperata, Maicon scarica il suo classico destro, “severo ma giusto”, ed è 0 - 3 un attimo prima dell’intervallo.

 



 

Il derby in pratica finisce qui. Il secondo tempo è una lunga agonia del Milan, che si limita a contenere il passivo mentre—con l’eccezione di Maicon, che continua a giocare come se dovesse rimontare due gol in una finale dei Mondiali—l’Inter tiene un ritmo blando, limitandosi a qualche conclusione da fuori di Sneijder, Eto’o o Stankovic, che al sessantaseiesimo trova il 4 - 0, con uno di quei suoi splendidi tiri dalla distanza che assomigliavano a dei passanti tennistici.

 

Se proprio devo trovare un motivo per essere lieto di non aver visto questa partita in diretta è che, se lo avessi fatto, avrei passato il secondo tempo ad arrabbiarmi con l’Inter perché non stava sfruttando l’occasione di prendersi la rivincita per il famoso 6 - 0 del 11 maggio 2001. Un derby è anche questo e fortunatamente negli ultimi sei anni la mia sportività è molto migliorata. Ma all’epoca? Non so.

 



 

Un 4 - 0 in un derby resta comunque un’affermazione roboante, una grande vittoria. Grandissima, quasi epocale, come quella che avevo immaginato e mi era stata raccontata in questi sei anni? Non ne sono del tutto sicuro. Fu un derby strano e senza un vero padrone per almeno 30 minuti, nel corso dei quali, se ad andare in vantaggio fosse stato il Milan non ci sarebbe stato nulla da obiettare, e fu poi pesantemente indirizzato verso quel risultato da alcuni episodi, o meglio da alcuni grossolani errori del Milan e in particolare di Gattuso e Leonardo.

 

Il primo ha regalato un rigore e la superiorità numerica all’Inter, con due gesti troppo impulsivi nel giro di tre minuti. Il secondo ebbe la colpa di non sostituire Gattuso quando, già al ventesimo, si era lamentato per un dolore muscolare e di non aver saputo predisporre degli argini adeguati allo strapotere di Maicon sulla destra, lasciando Jankulovski da solo a farsi maltrattare per tutta la partita. D’altra parte è anche vero che l’organico del Milan di quell’anno non offriva molte alternative all’11 iniziale di Leonardo.

 

L’Inter dal canto suo cominciò quella sera a mostrare la fisionomia della squadra che avrebbe vinto il Triplete. Una squadra che sapeva soffrire senza andare mai in palla del tutto, mentalmente consapevole della sua forza e della sua superiorità rispetto a quel Milan; di avere eccellenze quasi in ogni ruolo e almeno quattro fuoriclasse di livello assoluto (Samuel, Maicon, Eto’o e, in quell’anno, Milito). Una squadra che, anche grazie alla duttilità e alla completezza di centrocampisti abili in entrambi le fasi di gioco (a differenza di quelli attuali), poteva lasciare il pallino per 90' all’avversario, ma a cui bastavano cinque tocchi per entrare in area contro chiunque.

 

E quindi la risposta alla mia domanda iniziale forse si trasforma in un sì più convinto: complici anche—inutile negarlo—alcune svolte favorevoli della partita, quel derby fu vera gloria. Fu un’espressione purissima del DNA storico delle Inter migliori. Quadrate, veloci, letali e tutto meno che pazze. Per ora l’Inter 2015/16 è ferma al primo aggettivo.

 
 

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