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Daniele V. Morrone
Classici: Manchester UTD - Arsenal '03
20 ott 2015
20 ott 2015
Nuova puntata di Classici, rubrica nella quale analizziamo grandi partite del passato. Stavolta abbiamo riguardato la "Battaglia di Old Trafford" che ha avviato il ciclo degli "Invincibili" di Wenger.
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Daniele V. Morrone
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Nel giugno 2003 Roman Abramovich acquista il Chelsea e nella sua prima campagna acquisti estiva spende 100 milioni di sterline, una cifra che dichiara ufficialmente aperta l’epoca contemporanea della Premier League.

 

Nonostante la campagna acquisti faraonica, i Blues concluderanno il campionato al secondo posto e dovranno aspettare il successivo arrivo di Mourinho per vincere, per la prima volta dopo mezzo secolo, il campionato. In prima posizione, 11 punti sopra il Chelsea, finirà l’Arsenal, con la squadra passata alla storia come “gli Invincibili”: il primo club a chiudere un campionato da imbattuto dal Preston North End 1889 (che giocò solo 22 partite).

 

Con 26 vittorie e 12 pareggi, quell’Arsenal rappresenta l’apogeo del ciclo di Arsène Wenger, un picco ineguagliato e capace di assicurargli un credito infinito, che dura ancora oggi. Il tecnico alsaziano, che fino a quel momento aveva avuto una carriera abbastanza strana, culminata con un’esperienza nella J. League giapponese, stava rivoluzionando la Premier, grazie soprattutto ai suoi metodi di allenamento, ai regimi alimentari e all’attenzione allo scouting. Wenger riesce a imprimere anche un certo “french touch” all’ambiente conservatore dei Gunners.

 

Eppure, l’Arsenal costruito da Wenger non era nulla di rivoluzionario dal punto di vista tattico: faceva esattamente quello che all’epoca erano in grado di fare le grandi della Premier, solo molto meglio. Se le squadre erano fisiche al centro, l’Arsenal poteva contare sulla coppia Vieira e Gilberto Silva a centrocampo e Sol Campbell e Kolo Touré al centro della difesa, ovvero quattro blocchi di granito con le scarpette.

 

Era normale cercare transizioni veloci e l’Arsenal disponeva di quattro mostri nel controllo dello spazio e del pallone giocato a terra in velocità come Henry, Bergkamp, Pirès e Ljungberg. La squadra di Wenger aveva quindi posto lo standard di gioco più alto in un contesto piuttosto omogeneo.

 

Era ancora una Premier League dalla forte identità britannica nello stile di gioco sul campo (nonostante i tanti tecnici stranieri presenti) e le novità portate fuori dal campo da Wenger, oltre alla sua capacità di costruire una rosa altamente competitiva, risultarono decisivi per far sbocciare una corazzata senza apparenti punti deboli.

 

https://youtu.be/S_07W3C4tSw?t=29s

Il ciclo di partite senza sconfitte.



 

Il punto di svolta della stagione è stato lo scontro di fine settembre con il nemico di sempre: il Manchester United di Ferguson campione in carica. Una saga che aveva avuto l’ultimo capitolo la stagione precedente, quando i Red Devils riuscirono a laurearsi campioni recuperando otto punti di svantaggio sull’Arsenal e chiudendo al primo posto per l’ottava volta in undici anni.

 

La nuova stagione, iniziata con la cessione di David Beckham al Real Madrid, può essere considerata un’annata di transizione, nella quale Ferguson avvia l’opera di lento ricambio generazionale: nel successivo biennio lascerà la squadra costruita sulla “generazione del ‘92” (quella di Neville, Beckham e Scholes) in mano ai vari Cristiano Ronaldo, Wayne Rooney e Carlos Tévez. Il gruppo che alzerà la Champions League a Mosca nel 2008.

 

Dopo anni di rivalità (per niente nascosta), la sfida tra Arsenal e United aveva raggiunto tali vette di intensità da essere soprannominata dalla stampa “The Battle of Old Trafford”.

 

Nel mio cervello di adolescente la partita ormai aveva assunto contorni epici, che la facevano somigliare alla Battaglia di Stalingrado più che a una partita di calcio. Ho ricordi abbastanza chiari di Bergkamp che insegue un giocatore per diversi metri solo per fargli fallo da dietro; di scontri verbali violenti tra Keane e l’arbitro e dell’epica rissa finale con tanto di intervento dalle panchine.

 

Dopo aver rivisto la partita però, ad anni di distanza, devo dire che, nonostante il nervosismo evidente, il livello di scontro non si avvicina alle più calde partite dell’Europa del Sud.

 

Forse anni di YouTube con video di risse senza senso dai campi del Sudamerica mi hanno assuefatto a certi gradi di violenza. Fatto sta che la partita è fallosa, ma non c’è nessuna ricerca continua del contrasto, l’arbitro non diventa protagonista fino a dieci minuti dalla fine e il pubblico passa quasi tutto il tempo a incitare la squadra con gli stessi cori che utilizzerebbe contro qualsiasi avversario. La sfida segue un percorso più o meno stabile fino a dieci minuti dalla fine, quando l’intensità si alza in un climax che culmina al minuto 89, quando viene assegnato un rigore al Manchester United.

 



La discrepanza tra ricordo e realtà non ha però a che fare tanto con la partita, quanto con quell’Arsenal. Anni di “brandizzazione” su un calcio di possesso offensivo hanno quasi cancellato la memoria di come giocassero davvero gli Invincibili.

 

La squadra è sistemata con un classico 4-4-2 e rispetto alla formazione tipo mancano soltanto Sol Campbell (assente per un lutto in famiglia) e Robert Pirès (escluso dall’11 dopo una deludente prestazione contro l’Inter in Champions League in settimana), sostituiti da due veterani come Keown e Parlour, schierati rispettivamente nei ruoli di centrale di difesa ed esterno destro.

 

A battere il calcio d’inizio è il Manchester United e non appena la palla varca il centro del campo la fisicità del centrocampo dell’Arsenal permette un recupero immediato della sfera, grazie a Parlour che si è gettato in pressione sul portatore.

 

Pensare che il Manchester United di Ferguson possa subire da subito l’aggressività e la fisicità dell’Arsenal fa impressione oggi. L’Arsenal con il tempo perderà totalmente questa prerogativa e finirà per far scrivere a Ferguson nella propria biografia di aver trovato un template infallibile contro Wenger: basta attendere di intercettare il pallone giusto a centrocampo (dove è facile avere la meglio sull’Arsenal) e lanciare il contropiede. In questo modo sia Ferguson che Mourinho risolveranno i futuri scontri contro l’Arsenal del “progetto giovani”. Invece contro gli Invincibili è chiaro fin da subito che sotto l’aspetto fisico sarà una partita, a tenersi stretti, alla pari.

 

La strategia dei Gunners è quella di impostare una partita con pochi rischi: la squadra non ha particolare interesse né di controllare il pallone né di recuperarlo alto. Tranne rari casi in cui, a seguito di un errore personale, si cerca di andare immediatamente in pressione per porvi rimedio (qui torna l’esempio di Bergkamp che fa 20 metri per andare a fare fallo). Ci sono momenti in cui i due attaccanti letteralmente passeggiano per il campo mentre i centrali avversari alzano la testa per pensare su chi lanciare l’azione.

 

Il concetto di pressing di squadra non sembra interessare l’alsaziano. In possesso l’idea è quella di mantenere un atteggiamento cauto, non alzando mai troppo la difesa ed eseguendo appena possibile verticalizzazioni per andare in porta, utilizzando binari più o meno prestabiliti (come lo scatto improvviso e imperioso di Vieira per sorprendere la retroguardia sul lancio di un difensore).

 

La strategia di Wenger forza l’esecuzione delle famose cavalcate in velocità dei suoi giocatori offensivi: tolto un singolo movimento studiato da tutto il reparto, per il resto sembra più la caratteristica dei vari giocatori a prevalere nel costruire il sistema offensivo. Quindi Ljungberg attacca continuamente lo spazio con tagli anche di trenta metri verso l’area; Parlour dalla parte opposta si rende utile più per tentare cross o riciclare il possesso; Henry prova a muoversi per trovare il punto giusto dove ricevere prima di innescarsi e Bergkamp si occupa di dare la giusta “pausa” al fronte offensivo, gestendo i tempi di gioco quando la palla arriva nella sua zona di competenza.

 


Bergkamp fa da sponda per Vieira, che prova a trovare il movimento di Ljungberg: sembra l’unico movimento studiato da Wenger e tornerà spesso durante la partita.



 

In realtà neanche il Manchester UTD sembra molto interessato a prendersi dei rischi. La squadra a disposizione non permette il vorticoso movimento senza palla che renderà celebre il Manchester United 2008: senza Scholes e con Butt solo in panchina, anche Ferguson rinuncia al regista a centrocampo, preferendo suddividere il ruolo di interno tra l’energico capitano Keane e il più tattico Phil Neville, adattato per l’occasione.

 

L’undici è schierato su un 4-4-1-1 asimmetrico: Cristiano Ronaldo è inserito da ala destra mentre Fortune deve dare equilibrio rimanendo più bloccato a sinistra; Giggs ha il compito di muoversi tra le linee dietro Ruud van Nistelrooy. L’olandese è la stella della squadra e anche il centro di un sistema offensivo che si regge quasi totalmente sulla sua capacità di alternare azioni da torre pura per far salire i compagni a movimenti in profondità (più sporadici) per cercare di ricevere il pallone dietro la retroguardia dell’Arsenal.

 

Con la retroguardia attenta a non concedere la profondità a Henry anche lo United non è in grado di eseguire alcun pressing coordinato e sta al singolo scegliere il momento per andare in pressione. Tranne che per Keane ovviamente: per lui ogni momento è adatto per andare in pressione, anche se dopo neanche venti minuti ha già preso il primo cartellino giallo della partita.

 



Il calcio diretto dello United viene alimentato, come da tradizione britannica, dall’uso delle fasce nel caso in cui la punta centrale non è raggiungibile con verticalizzazioni.

 

In questo l’assetto asimmetrico porta alcuni vantaggi e altre lacune. A sinistra si può creare una società dedita alla gestione del pallone tra Fortune e Giggs (che si muove per l’occasione dalla posizione di partenza centrale) così da calamitare le attenzioni degli avversari e poter facilmente cambiare gioco sul lato debole per favorire gli uno contro uno di Ronaldo. Lo svantaggio è che si carica la responsabilità di definire tutto il gioco offensivo sulle invenzioni del portoghese.

 

Cristiano Ronaldo merita un piccolo approfondimento: a 18 anni è un giocatore ben diverso da quello attuale, e non c’entrano le ciocche bionde, fuori moda già nel 2003. In quel momento Ferguson ha avuto ancora poco tempo a disposizione per modellare il ragazzo, che allo stato attuale è a tutti gli effetti un’ala che, pur potendo disporre di uno strapotere fisico e tecnico sugli avversari, ama giocare confinato sulla linea laterale, da dove può saltare l’uomo e arrivare al cross.

 

Il portoghese tende a ricevere da fermo anche i lanci lunghi dei compagni che lo cercano sia con i cambi di campo, che direttamente in verticale dalla difesa. Altra caratteristica che salta all’occhio è che si tratta di un giocatore molto attento anche senza palla: è uno dei pochi a tornare sempre indietro quando non in possesso e sfrutta lo strapotere fisico già evidente per entrare in modo aggressivo sul pallone.

 


Questo è il Ronaldo diciottenne che nella partita più importante della stagione ha il compito di partire da fermo e puntare sempre l’uomo. Cole lo aspetta contando sul raddoppio del compagno che inutilmente Neville prova a evitare, facendo il movimento contrario e sperando di chiamarlo a sé. Ronaldo riuscirà a prendere il fallo dal quale nascerà la prima occasione della partita: una punizione di Giggs che finisce sul palo.



 

La vera occasione da gol del primo tempo arriva poco dopo il palo di Giggs. Ancora da calcio da fermo (questa volta una di quelle punizioni definite “corner corto”) il gallese riesce a mettere un pallone in teoria facilmente gestibile dal portiere Lehmann, che però esce in modo disastroso.

 

Quasi senza volerlo van Nistelrooy si trova il pallone sulla testa da posizione alquanto defilata, ma con abbastanza spazio per colpire bene: la palla finisce però a meno di una trentina di centimetri dalla traversa. Van Nistelrooy non perde fiducia dopo l’errore e prova continuamente a trovare nuovi modi per dar fastidio ai due centrali per il resto della partita, ma un’occasione nell’area piccola non gli capiterà più.

 



Le squadre fanno fatica a dare un minimo di criterio alle azioni offensive. La prima e unica vera occasione da gol per l’Arsenal viene creata dalla stella annunciata Henry, che finalmente riceve un pallone a terra a centrocampo e ha spazio per gestire la transizione offensiva.

 

Dopo aver avanzato dal centro-sinistra in diagonale palla al piede, si accorge del movimento di Ashley Cole e lo premia lasciandogli spazio al limite dell’area. Il terzino trova un tiro di discreta potenza e tempistica, ma la palla prende un giro in meno e l’occasione non si concretizza.

 

La prima e unica occasione del primo tempo dei Gunners arriva con un tiro da fuori di Cole, a dimostrazione che una squadra abituata a vincere facendo solo valere la propria supremazia fisica e tecnica, quando trova una squadra alla pari, fatica a costruire gioco.

 

L’Arsenal si accontenta di vincere le piccole battaglie personali nelle pieghe della partita più che la guerra vera e propria. Che sia questo il motivo per cui in Europa la squadra di Wenger non è mai riuscita a replicare i successi ottenuti in patria? Peccava un po’ di ingenuità tattica?

 

Ci sono alcuni tentativi di razionalizzare la partita, ma sembra più forte la corrente di una partita bloccata, in cui per i due tecnici sembra contare soprattutto non prendere gol. A centrocampo senza un regista (o Pirès) a gestire il pallone ci pensa Vieira che si autonomina capitano, regista, primo baluardo della difesa e organizzatore delle folate di pressione.

 

Il carisma del francese è entusiasmante. Il centrocampista centrale più influente d’Europa in quel periodo domina fisicamente ogni avversario, ma è tecnicamente che ancora adesso impressiona. Se il pallone deve passare da una fascia all’altra non c’è una volta che non tocchi i suoi piedi e se serve una verticalizzazione è sempre disponibile a trovare il tempo o addirittura a farsi trovare con lo scatto. Ha una sfera di influenza che va letteralmente da area ad area sia dal punto di vista del gioco che mentale. Li tiene tutti in pugno.

 

Bergkamp ha invece giocato una partita “normale”, quasi noiosa. Invece di abbassarsi per gestire l’azione offensiva e darle ordine, preferisce mettersi in attesa di poter approfittare di qualche situazione di gioco. Si tratta chiaramente di un giocatore che pensa calcio e la scelta pare rispettabile, ma il risultato di questa sua decisione di lasciarsi trasportare dal ritmo della partita ne limita l’influenza all’appoggio corretto per il compagno, niente di più.

 

Finisce per fare una partita simile a Ljungberg, che però, va detto, non ha la stessa capacità di poter modificare il contesto di gioco. Lo svedese lavora sui movimenti, per lo più ignorati dai compagni, fino al momento giusto in cui quello buono lo trova solo davanti alla porta.

 


La più chiara occasione da gol arriva sui piedi Ljungberg, che viene finalmente trovato con il solito giochetto della sponda di Bergkamp per la verticalizzazione. La diagonale difensiva di Gary Neville sarà fortunata, perché dal contrasto sbagliato lo svedese perderà comunque l’equilibrio, finendo per non poter calciare solo davanti al portiere.



 



Nel secondo tempo lo United non cambia la scelta di limitarsi al duopolio van Nistelrooy-Ronaldo come unico approdo del gioco offensivo. I due giocatori però, rispetto al primo tempo, si fanno più decisi (deve aver influito uno dei famosi discorsi motivazionali di Ferguson nello spogliatoio), con van Nistelrooy che riesce a vincere anche i duelli aerei con le sponde per i compagni e il portoghese che si fa anche finalizzatore e non solo assistente.

 

Un’azione che ricorda più il Ronaldo contemporaneo vede il portoghese trovare lo spazio per ricevere il passaggio di van Nistelrooy per sorprendere la difesa avversaria e andare alla conclusione invece che al solito cross. Che un diciottenne decida di assumersi tante responsabilità in un contesto di gioco dove non sembra essere premiato il rischio (dimostrando poi i mezzi atletici e tecnici per poterle portare a termine) mostra come stiamo parlando di un fuoriclasse. Anche a distanza di più di dieci anni, nello United di Giggs e van Nistelrooy nel momento più alto della loro carriera, il giocatore che sembra poter fare la differenza è già il portoghese.

 

Con una partita bloccata e spezzettata dai tanti falli che non permettono uno sviluppo continuo delle trame di gioco, l’unico che prova a forzare la propria presenza è Henry. Il francese prende su di sé tutto il volume di gioco offensivo della squadra, finendo per ergersi sia a creatore che a definitore di gioco per i Gunners: è lui che va al cross o tenta il passaggio vincente per i compagni ed è sempre lui che prova conclusioni improvvise, fondamentali per aumentare l’autostima della squadra.

 

Ancora più delle conclusioni sono le uscite palla al piede dai contrasti avversari da parte di Henry che sembrano aiutare i compagni: il francese è chiaramente di un altro livello in quanto a velocità ed esecuzione del gesto, ma la cosa più sorprendente è la capacità di uscire indenne con il pallone attaccato al piede anche dai contrasti più sicuri degli avversari. Non c’è cosa più rassicurante per i compagni del fatto che Henry non verrà mai minimamente toccato dall’avversario. Per quanto Vieira stupisca per le capacità di controllo in rapporto al fisico, Henry meraviglia per l’impossibilità di perdere un pallone quando in progressione.

 

L’Arsenal dimostra di non voler abbandonare la possibilità di far male allo United nonostante non trovi formule alternative alla verticalizzazione veloce. È una squadra fortemente determinata e consapevole dei propri mezzi e questo forse è l’aspetto che stride di più rispetto a tutte le versioni future della squadra di Wenger. Psicologicamente non va mai sotto e non sembra mai tirare indietro la gamba rispetto all’avversario.

 

Di fronte ha tra l'altro una squadra che dispone di mostri sacri nell’arte della battaglia psicologica come Keane e Gary Neville, eppure non c’è una volta in cui lo United sembra poter avere il controllo mentale della partita.

 


Quanto fosse verticale il gioco dello United lo si intuisce dalle piccole azioni come questa di Fortune che, una volta visto il movimento di O’Shea alle spalle di Parlour, preferisce comunque passare alto in verticale per la propria punta.



 



Con un quarto d’ora di partita alle spalle e una gara che non sembra poter continuare in eterno sugli stessi temi, arriva il momento per Ferguson di provare a vincerla intervenendo sulla formazione. Il terzino sinistro O’Shea esce per fare spazio a un giovane Forlán, che viene posizionato accanto a van Nistelrooy, con Fortune che scala terzino sinistro e Giggs ala sinistra, per un 4-4-2 decisamente offensivo. In questo momento della propria carriera Forlán è decisamente più una seconda punta di movimento e lo scopo sembra essere quello di provare a smuovere la partita aumentando gli uomini in grado di attaccare la difesa palla al piede.

 

È il minuto 76 e la partita cambia, ma non per le modifiche tattiche di Ferguson. Vieira prende un giallo per un fallo abbastanza ingenuo, niente di grave se non fosse che pochi minuti dopo arriva il secondo giallo. L’espulsione arriva per un’azione talmente strana da essere difficilmente interpretabile se non dopo un paio di replay: sull’ennesimo lancio verso van Nistelrooy l’olandese prova a prendere il pallone, nonostante significhi chiaramente finire addosso a Vieira. Nel ricadere sul francese la punta dello United indugia più del dovuto nel movimento spingendolo a terra con il contrasto e accompagnando il gesto con un ulteriore spinta con il piede in contrasto.

 

Il francese, aspettandosi solo l’impatto, viene sorpreso dal secondo gesto dell’avversario e una volta crollato a terra istintivamente prova a scalciare l’avversario. Il calcio di Vieira non arriva neanche a dieci centimetri dal corpo di van Nistelrooy, che però reagisce saltando all’indietro con le braccia alzate e forzando la mano dell’arbitro, che a quel punto non può fare altro che dare il secondo giallo.

 

La partita a quel punto cambia registro. I giocatori si addensano nella zona dello scontro, circondando un van Nistelrooy stupito e un Vieira furioso. Il gruppo impedisce lo scontro tra i due giocatori, ma non la divertente (adesso per noi a mente fredda) situazione con Vieira che, improvvisamente calmo, spiega a Keane di non avere nulla contro di lui, ma solo di volersi fare giustizia contro van Nistelrooy. Una situazione tipo “veniamoci incontro, consegnatemi il giocatore e nessuno si farà male”.

 

Con la squadra in dieci e senza il proprio leader a centrocampo, Wenger evita di inserire Wiltord già pronto al cambio e decide di andare invece con il centrocampista brasiliano Edu a fare le veci dell’espulso, passando a un 4-4-1 con Henry come unica minaccia offensiva. La mossa ovviamente è forzata, ma si dimostra comunque inadeguata, perché lo United esaltato dal vantaggio numerico e dal pubblico di casa aumenta il ritmo e il numero di palloni che arrivano in area.

 

Forlán lavora la palla nella terra di nessuno per poi scattare ad accompagnare van Nistelrooy in area e in uno di questi movimenti, quando manca un minuto alla fine, Neville riesce a trovarlo crossando. Avendolo attaccato in velocità, per poterlo fermare, Keown decide di buttarlo a terra provocando il rigore.

 

Vista adesso, la situazione del rigore perde molto dell’impatto che deve aver avuto durante la diretta. Rimane però tangibile la tensione del momento: van Nistelrooy si incarica della battuta e non riesce a smettere di smuovere il dischetto del rigore mentre Lehmann inizia a ballare incessantemente sulla linea di porta. Con la palla che prende in pieno la traversa tutta la tensione accumulata per la responsabilità dell’errore che poteva costare la partita viene incanalata da Keown in un grido di gioia in faccia all’olandese, per quello che è il preludio al gesto simbolo della partita.

 

Poco dopo il fischio finale il centrale dell’Arsenal non riesce a controllarsi e finisce per eseguire uno strano salto animalesco alle spalle dell’olandese, che prova a uscire dal campo il più velocemente possibile. Ritenuto artefice dell’espulsione del capitano, la punta viene però circondata da tutta la retroguardia dell’Arsenal e spinta da dietro dal solitamente affabile Lauren. Il gesto ovviamente fa scattare la seconda mischia della partita e quella che poi porterà alla pioggia di squalifiche e multe nella settimana successiva, con Ronaldo che è il primo (ma non il solo) a gettarsi in difesa dell’olandese, che nel frattempo trova il momento giusto per infilarsi negli spogliatoi.

 

Lo United non si riprenderà mai veramente dalla traversa di van Nistelrooy e chiuderà la stagione terzo. La partita ha aiutato a scrivere la storia dell’Arsenal, ma ha segnato anche quella dello United, perché ci vorrà più di un anno per esorcizzare la delusione con la vittoria in casa (doppietta di van Nistelrooy), e ben altre due stagioni prima di ritornare ad avere un gruppo veramente competitivo e consapevole per poter vincere tutto come da tradizione per Ferguson.

 

«Il Manchester United è una delle squadre contro cui ho provato più emozioni. Li ho odiati, ma anche amati. Perché senza lo United i miei ricordi non sarebbero così potenti» dirà anni dopo Vieira, confermando l’importanza della partita nello sviluppare il carattere della squadra che, salvata dalla traversa di van Nistelrooy, non perderà per altre 48 partite consecutive in Premier League, un record ancora imbattuto. La partita con lo United ha dimostrato che per creare una squadra invincibile bisogna partire dalla giusta dose di supremazia fisica e tecnica, ma ci vuole anche fortuna e determinazione. Una combinazione di fattori tanto rara che, anche con dieci anni di lavoro alle spalle, Wenger ancora non è riuscito a replicarla.

 
 

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