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Marco Gaetani
Classici: Germania Ovest - Inghilterra '90
20 lug 2020
20 lug 2020
Abbiamo rivisto la semifinale delle lacrime di Gascoigne.
(di)
Marco Gaetani
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Il primo a sentire il rumore dei fragili vetri della psiche di Paul Gascoigne che vanno in frantumi è Gary Lineker, il più vicino a lui, una colonna della Nazionale inglese. L’attaccante si avvicina al giovane compagno di squadra appena ammonito, lo guarda, gli parla, poi si volta verso la panchina dove è seduto Bobby Robson, bistrattato timoniere di un’Inghilterra alle prese con l’avventura mondiale più bella dai tempi della rassegna casalinga del 1966.


 

Gary Lineker e Paul Gascoigne hanno giocato insieme al Tottenham prima della decisione del primo di accettare la corte del Barcellona, il numero 10 conosce meglio di tanti altri i fantasmi che sono soliti albergare l’anima di Gazza. L’ammonizione appena presa a causa di un fallo “di generosità”, un intervento in scivolata fuori tempo massimo su Berthold, costerà a Gascoigne l’eventuale finale. Le telecamere colgono l’attimo in cui Lineker si volta verso la panchina, la sua smorfia diventa la fotografia del Mondiale inglese tanto quanto quella conclusiva, “Gazza” in lacrime davanti al mondo intero, lo sbruffone che per un attimo mette in piazza un dolore evidentemente difficile da comprendere per chi non l’ha mai provato, ma non per questo meno intimo e pungente.


 

Il numero 19 dei “Tre Leoni” ha già gli occhi gonfi quando Lineker gli parla, probabilmente non lo ascolta nemmeno, con le orecchie ovattate dalla rabbia e il frastuono che lo circonda si attenua in un meccanismo di autoprotezione. Ha la bocca aperta, poi stringe le labbra come un neonato alle soglie del pianto: «Il mio labbro inferiore sembrava un elicottero». Il suo compagno è preoccupato, chiede alla panchina di tenerlo d’occhio, di parlargli, di coccolare quel talento straripante e ingovernabile. Bobby Robson lo farà a fine partita, prima dei calci di rigore, spendendo parole da padre saggio più che da allenatore appeso a un filo lungo undici metri che lo porterebbe in finale, ma non basterà ad arginare l’ondata emotiva di Gazza, piombato in un tunnel di disperazione dal nono minuto del primo supplementare.


 

Non è il momento che cambia le sorti di una semifinale ritenuta da molti la finale anticipata di Italia ’90, anche se il centrocampista doveva essere uno dei prescelti per la lotteria dei rigori, ma forse è quello che indirizza la carriera di “Gazza”, che all’improvviso vede i giorni più esaltanti della sua vita finire per colpa di un cartellino giallo.


 

A Torino, il 4 luglio del 1990, si scrive l’ennesima pagina dell’infinita rivalità tra Germania e Inghilterra. Ed è anche la notte in cui Gary Lineker, secondo i racconti dell’epoca, conia la sua celebre massima: «Football is a simple game: 22 men chase a ball for 90 minutes and at the end, the Germans always win». 



Robson cerca di arginare il crollo emotivo di Gascoigne alla fine dei supplementari, ma non c’è verso. Nel consolarlo, gli dice che si tratta del suo primo Mondiale: Gazza ha 23 anni e tutta la vita calcistica davanti. Robson non può immaginare che sarà il suo ultimo Mondiale: l’Inghilterra non prenderà parte a Usa 1994 e Paul sarà tagliato prima di Francia 1998.


 

Il contesto


Il rapporto di Bobby Robson con la stampa inglese non è certo stato sempre rose e fiori, anzi. Il commissario tecnico, entrato in carica nel 1982 dopo il sontuoso lavoro svolto alla guida dell’Ipswich, iniziò ad attirare critiche in occasione della sconfitta con la Danimarca che portò alla mancata qualificazione a Euro 1984, unico KO in 28 gare di qualificazione da CT inglese (il conto comprende anche il cammino verso i due Mondiali del 1986 e del 1990, e quello verso Euro 1988), ma sufficiente per aprire il conto con i tabloid. Robson arrivò a rassegnare le dimissioni, respinte dal numero 1 della Football Association, Bert Millichip. Ci fu poco da dire nei confronti del CT dopo l’eliminazione maturata in Messico, per mano – letteralmente – di un Diego Armando Maradona in stato di grazia.


 

La battaglia dei tabloid prese piede prevalentemente dopo il pessimo Europeo giocato nel 1988: tre sconfitte in tre gare, compreso l’umiliante ko con l’Irlanda, diedero fiato e convinzione ai critici, con l’apice toccato nel novembre del 1988. Il paginone dei “Mirror” con la scritta a caratteri cubitali “Go! In the name of Allah, go!”, in seguito all’1-1 in amichevole con l’Arabia Saudita, resta una delle sparate più altisonanti della storia della stampa britannica, a richiamare il precedente “Go! In the name of God, go!”. Ancora dimissioni, altro no di Millichip.


 


Non bastasse il titolo, anche l’aggiunta “Robbo should be a train driver”.


 

Centrata la qualificazione per il rotto della cuffia grazie a un rabberciato 0-0 in terra polacca e soltanto come una delle due migliori seconde, l’Inghilterra si era però redenta nel cammino di amichevoli di inizio 1990: 1-0 al Brasile, 4-2 alla Cecoslovacchia, 1-0 alla Danimarca. Subito dopo questo successo, però, iniziarono a farsi largo le voci di un addio di Robson dopo il Mondiale: le indiscrezioni crebbero a dismisura, a metà tra la scelta del tecnico di prendere un’altra strada e quella della FA di sottrarsi al mare di critiche che avevano travolto la federazione negli ultimi due anni.


 

Alla fine fu Robson a uscire allo scoperto: «Ho ricevuto un’offerta dall’estero e ne ho parlato apertamente con Millichip, mi ha detto che la Federazione non avrebbe comunque rinnovato il mio contratto e allora ho deciso di accettare la proposta del PSV Eindhoven. Qui non c’era più un lavoro per me e ho ottenuto il permesso di parlare con i dirigenti olandesi». A innervosire ulteriormente Robson, le voci maligne relative al legame tra il suo addio e l’imminente pubblicazione di un libro da parte di Janet Rush, una sua vecchia fiamma: «Queste notizie sono state pubblicate in un momento davvero poco tempestivo, il morale del gruppo era alto e nessuno stava pensando a qualcosa di diverso dalla Coppa del Mondo. È immondizia, sono rimasto sconvolto quando mi è stato riferito il tutto. Ora la nostra preparazione è disturbata da una storiella del genere». Seguirono quindi una sconfitta interna a Wembley con l’Uruguay e l’1-1 in casa della Tunisia, manna per una stampa pronta ad azzannare Robson anche per il cambio tattico – il passaggio dal 4-4-2 alla difesa con il libero - durante la fase a gironi, superata con quattro punti in tre partite nel “girone delle isole” con Irlanda (1-1), Olanda (0-0) ed Egitto (1-0). Clima rivoluzionato dai successi con Belgio e Camerun, per quanto sofferti: una semifinale è pur sempre una semifinale.


 

Era in uscita dalla panchina della nazionale tedesca anche il rivale di Robson, ma il suo nome ammantato di leggenda gli permetteva di avere più credito nei confronti di una stampa decisamente meno agguerrita di quella inglese. Franz Beckenbauer aveva ottenuto un secondo posto al Mondiale messicano, un’eliminazione in semifinale nell’Europeo casalingo contro l’Olanda – all’ultimo respiro proprio come il ko in finale con l’Argentina all’Azteca – e un cammino di qualificazione verso l’Italia nettamente più morbido rispetto a quello inglese: secondo posto anche per la Germania Ovest, alle spalle dell’Olanda. Certo, qualche critica per il pareggio con il Galles non era mancata, ma nulla a che vedere con le prime pagine tonanti dei tabloid inglesi.


 

Il girone non era dei più semplici, con la Colombia di Pacho Maturana e la quotatissima Jugoslavia, che i tedeschi avevano agevolmente spazzato via con un 4-1 firmato da Matthäus, Klinsmann e Völler. Giocare a Milano si era rivelato un aiuto in più per una squadra molto italiana e a trazione interista, ma negli ottavi di finale lo stadio si era ritrovato spaccato in due: dall’altra parte c’era l’Olanda dei tulipani rossoneri. Era la notte dello sputo di Rijkaard sul coppino di Völler e del successo tedesco sui rivali più agguerriti di quel periodo, che permetteva a Matthäus e soci di accedere ai quarti per poi superare la Cecoslovacchia con un rigore proprio del numero 10, sublime tuttocampista e perno dell’architettura tattica messa in piedi da Beckenbauer, il CT destinato all’Olympique Marsiglia di Bernard Tapie alla fine del torneo.


 


Foto di Bongarts/Getty Images.


 

I tempi regolamentari


Insomma, Inghilterra e Germania si incontrano a fine ciclo - ed entrambe sembrano voler lasciare un ricordo. L’Inghilterra parte forte, guadagna tre angoli in un minuto e scalda subito i guanti di Illgner con un sinistro da fuori area di Gascoigne. Con il passare dei minuti, però, emerge la strana scelta di Robson. Sospinto dal gol-vittoria contro il Belgio, il CT aveva già lanciato David Platt dal primo minuto contro il Camerun, in un quarto di finale tribolatissimo, togliendo dalla formazione tipo un equilibratore come McMahon. Contro la Germania, Robson conferma questo assetto: davanti alla difesa a 5 – Butcher libero, Wright e Walker marcatori, Parker e Pearce esterni – si crea uno strano triangolo composto da Waddle sul centro-destra, Platt sul centro-sinistra e Gascoigne vertice alto.


 

Gazza è un giocatore frizzante ed energico, e soprattutto è nel miglior momento della carriera. Robson gli chiede di alzare la pressione sul primo possesso palla tedesco, schermando Matthäus e provando a sporcare le linee di passaggio di Augenthaler, schierato libero da Beckenbauer. Nonostante le buone intenzioni, però, qualcosa non torna. Le ricezioni di Waddle sono spesso meccaniche: il giocatore del Marsiglia è abituato a correre sull'esterno con campo davanti a sé e non sembra particolarmente a proprio agio quando deve ricevere spalle alla porta. Tutta la fatica che l’Inghilterra fa in fase di costruzione bassa e di transizione difensiva viene però compensata dalla grande qualità a disposizione quando si arriva nei 30 metri finali del campo.


 

Nell’azione qui sotto, Lineker fa un grandissimo lavoro nel dare il la all’azione: riceve molto basso, chiede e ottiene lo scambio stretto dal compagno di reparto Beardsley e si ritrova a essere l’uomo più avanzato dei suoi, anche se ancora lontano dalla porta. Chiama quindi in causa il rimorchio centrale di Platt, scalato in mezzo dopo che i due attaccanti hanno affollato il quadrante sinistro della trequarti. Il centrocampista vede i difensori tedeschi totalmente attirati dal pallone e temporeggia in attesa dell’inserimento di Pearce sulla sinistra, aiutato anche dal movimento in profondità di Lineker che dopo aver scaricato va a portare via un uomo e a sfilacciare la retroguardia. Il cross di Pearce va a cercare proprio il nuovo taglio del numero 10, letto però magnificamente da Kohler.


 


 

 

Decisamente più scolastiche le scelte di Beckenbauer, che dà grande responsabilità ad Augenthaler in fase di costruzione, protetto da Buchwald e dalla capacità di Kohler di coprire grandi zone di campo. Il diligente Berthold a destra compensa la presenza di un regista occulto sulla corsia opposta come Brehme. La schermatura di Gascoigne su Matthäus funziona spesso ma la Germania può contare sulle ricezioni di altri due centrocampisti estremamente tecnici come Häßler e Thon. Importante anche il lavoro della coppia d’attacco Völler-Klinsmann, capace sia di cucire il gioco che di allungare la difesa avversaria.


 

I tedeschi attendono gli errori inglesi per provare ad attaccare rapidamente una volta avvenuta la riconquista del pallone. Ne è un esempio lampante quest’azione che porta Thon al tiro dopo una rifinitura imprecisa per Klinsmann - un'occasione nata dalla decisione di lasciare spazio all’impostazione balbettante di Butcher, che finisce per regalare palla. Il tacco visionario di Matthäus poi fa il resto, regalando metri sulla trequarti a Thon.


 


 

 

La sfida scivola lenta e sonnacchiosa verso la fine del primo tempo con le squadre che alternano fasi di possesso palla e difesa statica, senza mai andare ad aggredire, con la Germania più portata a cercare la verticalità appena possibile e l’Inghilterra che sollecita l’abilità di Lineker e Beardsley a venire incontro e a lavorare con i centrocampisti. L’unico a scuotere la contesa dal torpore è Waddle, che calcia all’improvviso da 40 metri costringendo Illgner al colpo di reni per spingere il pallone all’impatto con la traversa: tutto inutile, l’arbitro Wright aveva già fischiato un fallo di Platt. Beckenbauer perde Völler per infortunio e inserisce Kalle Riedle, il che ci dice molto della profondità dell’organico tedesco. La Germania si accende nel finale di frazione, Augenthaler impegna Shilton da lontano ma la fase difensiva della squadra di Robson, che nei momenti più difficili si ridisegna con un 5-4-1 richiamando Beardsley a fare l’esterno sinistro della linea da 4 con Waddle a destra, regge l’urto fino allo 0-0 dell’intervallo.


 

Nella ripresa lo spartito non sembra cambiare più di tanto. La Germania continua a rendersi pericolosissima quando ha tanto campo da attaccare, sfruttando l’abilità degli attaccanti in conduzione e dei centrocampisti a rimorchio, come nell’occasione in cui Thon impegna Shilton.


 


 

 

La pressione tedesca porta al vantaggio in maniera un po’ fortuita, con una punizione di Brehme deviata dalla barriera in maniera beffarda: Shilton è scavalcato e l’Inghilterra si ritrova sotto. La squadra di Robson in preda alla disperazione riprende in mano le redini del gioco mentre la Germania si rintana, tutt’altro che aiutata dal cambio di Beckenbauer, che richiama in panchina l’acciaccato Häßler per Reuter, interprete più conservativo per il ruolo di mezzala. Robson cerca di cambiare qualcosa inserendo Steven al posto di Butcher: la difesa si risistema con i 4 in linea, il nuovo entrato si piazza sulla fascia destra, Waddle prende nominalmente l’out sinistro lasciando comunque spazio alle scorribande di Pearce e giocando molto nel mezzo spazio di sinistra. Anche se il gol del pareggio nasce da un grave errore della retroguardia tedesca, da qualche minuto troppo passiva, bisogna comunque rendere onore alla giocata di Lineker, che corona una partita di grande sacrificio con una rete da attaccante di livello mondiale.



Kohler calcola malissimo la traiettoria del pallone lanciato da Parker, Lineker reagisce da serpente velenosissimo: sbilancia leggermente Augenthaler per mandarlo fuori tempo, controlla a seguire con la coscia aggirando il tentativo di recupero di Berthold e incrocia splendidamente col mancino.


 

Supplementari e rigori


I dieci minuti di regolamentari rimasti da giocare non offrono spunti, se non una maggiore aggressività inglese nel pressing, forse dovuta alla nuova disposizione in campo: il 4-4-2 sembra decisamente più nelle corde della formazione di Robson, che aveva varato l’assetto con il libero solamente nel match contro l’Olanda durante la fase a gironi. I problemi nascono quando la Germania riesce a far circolare il pallone con rapidità, muovendo un centrocampo che non ha, in Platt e Gascoigne, due calciatori abituati a dividersi gli spazi centrali in fase di non possesso.


 

La prima grande chance dei supplementari è la fotografia dei problemi inglesi nel difendere in ampiezza: l’azione parte da Berthold sulla destra, tocco per Reuter che entra nel campo pesca Thon, preso frontalmente da Steven – e non da uno dei due intermedi di centrocampo – lasciando spazio a Brehme sulla sinistra. Parker si ritrova in area di rigore e l’interista ha tempo e spazio per calibrare un cross perfetto per la testa di Klinsmann: incornata centrale, Shilton respinge. Il terzo uomo tedesco in area di rigore è addirittura il libero Augenthaler.


 


 

 

Il movimento del libero della Germania, che va ad aggiungersi costantemente ai tre centrocampisti, manda totalmente in tilt la mediana inglese. Klinsmann ha un’altra occasione incredibile, stavolta costruita per via centrale. Augenthaler cerca la sponda del centravanti dell’Inter e si propone per un possibile scambio che viene in realtà chiuso da un terzo uomo. Quando il libero tedesco riceve il pallone di ritorno, è Wright a dover uscire su di lui, lasciando Walker alle prese con il taglio di Riedle. L’attaccante, con il suo movimento appena accennato verso destra, libera un corridoio che Augenthaler legge alla perfezione servendo Klinsmann, il cui sinistro termina a lato di un soffio.


 


 

 

Si tratta senza dubbio del momento migliore della Germania ma Robson decide di non spendere il secondo cambio, provando a scommettere sul talento dei suoi. L'Inghilterra però sembra stanca e l’unico modo che ha per risalire il campo rapidamente in questa fase del match è affidarsi agli strappi palla al piede di Gascoigne. Si arriva così al fatidico minuto 99, Gazza si allunga la sfera nell’ennesimo assolo della serata e abbatte Berthold. È un attimo così generazionale da finire nella sigla di “This is England ’90”, al pari delle manifestazioni contro la “poll tax”, gli scontri di piazza e il malcontento nei confronti di Margaret Thatcher. Il pubblico inglese sugli spalti del Delle Alpi capisce il momento e inizia a intonare “We love you Gazza”.



La Germania è ormai totalmente padrona del campo ma rischia di prendere nuovamente gol in via del tutto fortuita. Augenthaler libera l’area di testa dopo un cross di Steven, che si ritrova a raccogliere la sfida in un duello aereo che innesca improvvisamente Waddle: diagonale mancino che Illgner forse pizzica con le dita quanto basta per spedire il pallone sul palo, qualche secondo prima della fine del primo tempo supplementare. È una fiammata che, a posteriori, ci lascia soprattutto una domanda: come sarebbe andata questa sfida se Waddle avesse avuto modo di agire dall’inizio nel suo ruolo? Il secondo supplementare è un lento cammino verso i rigori, caratterizzato da un’entrata durissima di Brehme (con Gascoigne che però reagisce come se nulla fosse; il terzino se la cava con un giallo) e dal gol annullato a Platt sulla punizione che ne consegue, partendo da una posizione di presunto offside mai del tutto chiarita. Ma anche dal palo colpito da Buchwald in extremis, ennesimo potenziale punto di svolta di una partita di livello tecnico e tattico decisamente superiore a quello complessivo del torneo.


 


 

 

Rimane la serie di calci di rigore che regala alla Germania la finale e all’Inghilterra il volo per Bari a giocarsi il terzo posto contro l’Italia. Per i “Tre Leoni” sbagliano i due mancini, “Psycho” Pearce e Chrissie Waddle, che trasformano Italia '90 nella coppa delle lacrime di Gascoigne, singhiozzante come un bimbo al termine della sfida e immortalato quasi per caso in una sequenza fotografica rimasta nella storia. Gazza non avrebbe mai più rivissuto giorni così felici, trascorsi arando i campi di mezza Italia palla al piede e divertendosi con i compagni nei vari ritiri.


 

«Non volevo che finisse», ha ripetuto spesso nel corso degli anni, quasi a certificare la perdita improvvisa della spensieratezza in una notte d’estate all’ombra della Mole. Nonostante ciò, per l'Inghilterra rimane uno dei momenti più iconici della sua storia ai Mondiali. Perché Italia '90 è anche la coppa della fantastica sigla della BBC, che abbinava Nessun Dorma alle immagini di Pelé, Cruijff, Maradona e altri campioni che avevano scritto la storia del torneo; è la coppa dei rimpianti, di Bobby Robson che prima della semifinale prende da parte i suoi e gli sibila nelle orecchie “We could be immortal”. Alla fine, si potrebbe dire che per l'Inghilterra quei giocatori sono divenuti immortali davvero, nonostante la sconfitta, con tanto di bagno di folla a Luton al ritorno in patria.


 

Germania Ovest-Inghilterra è forse la partita che più di tutte ha contribuito a costruire il mito di Gascoigne, inafferrabile in campo e tristemente piegato alla sua emotività così terrena. Allo stesso tempo, c’è chi la identifica come una delle differenze innate tra tedeschi e inglesi. Dietmar Hamann, ex centrocampista tedesco con un lungo trascorso inglese tra Newcastle, Liverpool e Manchester City, nel 2013 ha scritto quanto segue nella sua biografia: «Gascoigne incarna i motivi per cui l’Inghilterra non riesce a progredire. Non lo conosco personalmente, so che ha avuto i suoi problemi fuori dal campo e non voglio giudicarlo. Se chiedete a un tifoso inglese di nominare alcuni grandi giocatori degli ultimi anni, il suo nome sarà tra i più gettonati. È amato in una maniera che in Germania non potrebbe mai essere possibile. Se Gascoigne fosse tedesco, sarebbe una “persona non grata” (Hamann usa proprio l’espressione solitamente utilizzata in ambito diplomatico, nda). Mi riferisco a quello che è accaduto nella semifinale di Torino. […] Gascoigne è rimasto sotto shock per l’ammonizione. Ha realizzato che non avrebbe preso parte alla finale ma la partita era ancora in parità, c’era un lavoro da portare a termine, eppure il suo pensiero era concentrato solamente sulla sua assenza. Avrebbe dovuto chiedersi: “Cosa posso fare per la mia squadra?”. Non lo ha fatto, e ha anche chiesto di non calciare il terzo rigore inglese. Il calcio è un gioco di squadra, ma in quel momento pensava soltanto alle sue emozioni. Se fosse stato tedesco, il suo comportamento avrebbe creato uno scandalo nazionale e sarebbe stato dimenticato per sempre come calciatore».


 

Un modo più brutale per dire quello che, alla fine, aveva già sostenuto Lineker. E cioè che, alla fine, quasi sempre, vincono i tedeschi.


 

 

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