Forse non è passato abbastanza tempo, o forse ne è già passato troppo, e non ricordiamo bene che la stagione 2012/13 fu quella della consacrazione definitiva dell’evoluzione del calcio tedesco. Il lungo percorso sperimentale iniziato nel 2009 da Jurgen Klopp a Dortmund e da van Gaal a Monaco sfociò in una finale di Champions League tutta tedesca, un unicum nella storia della competizione. Un evento che portò a teorizzare una “fine del dominio spagnolo” e l’avvento di una nuova ondata di supremazia teutonica sul calcio europeo. Era una previsione avventata. Il calcio tedesco negli anni successivi avrebbe continuato a regalare squadre affascinanti, come il Bayern di Guardiola, l’Hoffenheim di Nagelsmann, il Borussia di Tuchel. Ma la federazione, meno ricca di quella iberica o inglese, non è riuscita a esprimere con costanza ad alti livelli più di due squadre, nessuna di loro vincente in Europa proprio da quel 2013.
Intanto, quell’anno, la Germania aveva portato il calcio in una nuova dimensione: il pressing e il gegenpressing erano diventati il marchio di fabbrica delle squadre di alto livello. La riaggressione a palla persa non era una novità assoluta, già il primo Barcellona di Guardiola aveva contribuito a introdurla con successo nel ventunesimo secolo, mutuando principi cari al calcio totale olandese degli anni 70.
I tedeschi, però, raggiunsero un nuovo livello di elaborazione e diedero una diversa importanza a queste strategie. Per la prima volta, o forse per la seconda dopo Sacchi, l’identità di una squadra era connaturata al pressing. Come spesso è accaduto nella storia della loro lingua, ai tedeschi è bastata una parola, dal suono peraltro quasi onomatopeico, per riassumere questa visione del calcio. IlGegenpressing di Klopp a Dortmund divenne il benchmark definitivo, e gettò i semi da cui germogliarono squadre ancora più estreme, come il suo Liverpool o il Bayer Leverkusen di Roger Schmidt.
I percorsi di Borussia e Bayern
Grazie a questa filosofia, Klopp riportò la Bundesliga a Dortmund dopo 9 anni, vincendo addirittura due Meisterschale di fila. Quando aveva preso in mano il club, nel 2008, il BVB aveva appena chiuso il campionato al tredicesimo posto.
Klopp negli anni ha migliorato la rosa, promuovendo dalle giovanili Gotze, Schmelzer, Grosskreutz e Gundogan; ma è riuscito anche a integrare acquisti economici ma geniali come Hummels, Reus, Subotic, Lewandowski e Bender. L’evoluzione di Klopp è stata graduale dal punto di vista dei risultati, ma costante da quello tattico. Il sistema di riferimento era un 4-2-3-1 arrivato alla sua piena maturazione europea proprio nell’anno della finale, conquistata attraverso un gioco debordante, intenso e fenomenale sulle seconde palle e nelle fasi di transizione.
Una verticalità difficile da assorbire persino per il Real Madrid di Mourinho, massacrato in semifinale. Weidenfeller in porta; Piszczek, Subotic, Hummels e Schmelzer in difesa, Gundogan e Bender mediani, Kuba e Reus sulle fasce e Gotze dietro Lewandowski. Un undici iconico, quello del 2012/13, a cui è restato solo il rimpianto di aver perso qualche punto di troppo in campionato lasciando il titolo proprio al Bayern (con ben sei giornate di anticipo).
In Champions le cose sono andate meglio: primo posto nell’ostico girone con Real, Manchester e Ajax, gli uomini di Klopp sono rimasti imbattuti fino alla sconfitta della semifinale di ritorno al Bernabeu, ininfluente grazie alla larga vittoria dell’andata. Proprio contro gli spagnoli, il Borussia aveva dimostrato di essere una squadra completa, accettando il pressing alto dell’avversario e creando sovraccarichi in zona palla che esponevano le difficoltà del Madrid a coprire gli spazi alle spalle di Ronaldo e Ozil. Una squadra quindi ormai matura anche nella gestione di un possesso più elaborato.
L’anno in cui Lewandowski conquistò tutti.
Il Bayern, invece, arrivò alla finale del 2013 dopo un percorso tortuoso, fatto di psicodrammi e alternanza tra grandi picchi di gioco, buoni risultati e disfatte. Van Gaal venne esonerato ad aprile del 2011 dopo essere stato eliminato dalla Champions agli ottavi (dall’Inter di Leonardo) e aver perso parecchio terreno sul Borussia in campionato. Dal mese di marzo, però, era già ufficiale che l’allenatore per la stagione 2011/12 sarebbe stato (per la terza volta, e non l’ultima) Jupp Heynckes, reduce da un’ottima esperienza al Bayer Leverkusen. Il primo anno si è concluso con il secondo posto e la finale persa drammaticamente in casa contro il Chelsea nel 2012, risultati che misero Heynckes sotto pressione per la stagione successiva.
La continuità di progetto e i nuovi acquisti, però, lo hanno aiutato: Neuer estremizzò l’interpretazione del ruolo, diventando l’Antizipationskeeper per eccellenza; Boateng e Dante, al centro della difesa, gli diedero finalmente le giuste garanzie per proporre un pressing più aggressivo; Lahm iniziò a dare i primi indizi di consacrazione come giocatore totale, accentrando sempre di più il suo raggio d’azione; Alaba esplose senza pressioni grazie all’alternanza con Badstuber; Javi Martinez si integrò alla perfezione al fianco di Schweinsteiger. In attacco, invece, la scelta era ampia: Mandzukic era la punta titolare, garantendo un’interpretazione più fluida e aggressiva rispetto a quella classica di Mario Gomez e Pizarro. Alle sue spalle il trequartista/seconda punta titolare per buona parte della stagione fu Toni Kroos, con Muller impiegato da ala destra e Ribery a sinistra.
È stata una stagione bella e strana: il Bayern viaggiava sul velluto in campionato e in Champions, dove incontrò un sorteggio benevolo fino alla Juventus di Conte ai quarti. Eppure i bavaresi sembravano faticare più del dovuto; chiusero il girone di Champions al primo posto ma a pari punti con il Valencia. La squadra aveva superato gli ottavi contro l’Arsenal solo grazie alla regola dei gol fuori casa, dopo un’amara sconfitta all’Allianz. L’ombra di Guardiola, già annunciato a metà stagione, aleggiava su Heynckes. Ma il tecnico ne uscì paradossalmente rafforzato a inizio 2013. Il primo turning point arrivò proprio contro la Juventus, eliminata senza appello con un punteggio complessivo di 4-0.
Al sedicesimo minuto della partita di andata contro la squadra di Conte, Toni Kroos esce per infortunio e subentra Robben. Heynckes sposta Muller sotto Mandzukic e il Bayern diventa inarrestabile, con i movimenti a tagliare dell’olandese e il senso per lo spazio del tedesco spostato sulle zone centrali. Lo stesso undici verrà riproposto con successo anche in semifinale contro il Barcellona.
Un diverso utilizzo del Gegenpressing
Sia Bayern che Borussia sono arrivate in finale grazie soprattutto alla loro capacità di sovrastare l’avversario a palla persa. Il Gegenpressing portò un’autentica rottura nel contesto tattico della Champions League: se Guardiola aveva spostato l’attenzione sulla relatività dei ruoli, sull’importanza del dominio posizionale e sull’occupazione degli spazi, pur utilizzando ampiamente i principi dell’aggressione immediata a palla persa, concentrandosi soprattutto sulla copertura tempestiva delle linee di passaggio, il calcio tedesco è stato determinante per la definitiva consacrazione di questo aspetto. Klopp, certo, ne fu il primo promotore, ma il Bayern di Heynckes applicò l’idea su un piano strategico differente.
Sostanzialmente, il Gegenpressing consiste nell’essere capaci di pressare in maniera compatta pur partendo da una situazione di scaglionamento in teoria scomodo. Partendo da questo assunto, Klopp ha utilizzato un approccio sacchiano - ragionando sulla reattività a seconda della posizione della palla e della zona di competenza - mescolandolo ai concetti di scuola olandese. Le squadre di Klop collassavano collettivamente intorno al portatore, per togliergli tempo e spazio di giocata in avanti e costringerlo a un retropassaggio o a un passaggio orizzontale.
L’obiettivo era sempre quello di generare una ripartenza corta pericolosa. Lo stile di Gegenpressing del Borussia di Klopp era quindi orientato sul pallone e cercava di portare più uomini possibile intorno a dove si trovava o dove si sarebbe trovato.
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Due esempi, sul portatore e in preparazione alla seconda palla, del Gegenpressing di Klopp.
Il Gegenpressing del Bayern di Heynckes, invece, aveva un approccio più orientato sull’uomo. Il portatore veniva aggredito da un solo giocatore, che cercava di impedirgli ogni giocata progressiva, mentre gli altri si attaccavano subito all’uomo di riferimento. Questo stile era condizionato dai movimenti degli avversari e quindi richiedeva una grande attenzione nel posizionamento.
Il primo Bayern di Heynckes non si distinse granché sotto questo aspetto, ma nel 2012/13 c’è stata una vera e propria esplosione, grazie all’approccio dinamico di Mandzukic e alla consapevolezza tattica di Javi Martinez, Schweinsteiger e Lahm. Non solo nell’aggressione diretta dell’uomo, ma anche nella copertura degli spazi lasciati sguarniti dai compagni. Il Bayern era diventato, più che un blocco unico asfissiante come il Borussia, una sorta di mostro tentacolare capace di arrivare ovunque con qualsiasi giocatore.
Qui un esempio del Gegenpressing “a uomo” del Bayern di Heynckes.
Tra il Gegegenpressing del Bayern e quello Borussia c’erano differenze sostanziali sul come, ma non sul perché. In un calcio sempre più influenzato dalla gestione delle transizioni, per una squadra orientata all’attacco, il modo migliore di rimanere equilibrata ed evitare scompensi era aggredire immediatamente l’avversario, sfruttando l’istinto primario di ogni calciatore: quello di rivolere la palla il prima possibile.
Una finale intensa
La finale di Champions League tra Borussia e Bayern è stata una partita ricca di suspense e molto aperta. Possiamo definirla un compendio delle identità e delle potenzialità di entrambe le squadre. Il Bayern si è presentato con il suo undici tipo, con Muller dietro Mandzukic e Robben-Ribery sulle ali, come da previsioni. Per Klopp, invece, la grana più grossa da risolvere è stata l’assenza di Gotze per infortunio.
Nel mese di febbraio, Bayern e Borussia si affrontarono in una partita determinante per le sorti del campionato. Il Bayern riuscì a spuntarla per 1-0 con un gol di Robben a due minuti dalla fine, dopo una gara stranamente passiva da parte degli ospiti: Klopp aveva scelto di disporsi con un 4-5-1 orientato al contenimento, con Grosskreutz e Gundogan ai lati di Bender, e Gotze e Reus a operare più in basso del solito. Questa scelta fu probabilmente dovuta al timore delle giocate sulle catene laterali del Bayern, e per contenere meglio in particolare Robben sulla destra.
Heynckes, però, utilizzò Muller a destra, Robben a sinistra e abbassò la posizione di Kroos, riuscendo a trovare gli sbocchi necessari, ma soprattutto neutralizzò ogni tentativo di attacco da parte del Borussia, che a causa del baricentro più basso del solito non riuscì a ripartire con costanza, fino a un cambio di sistema nel secondo tempo.
Un’esperienza forse utile a Klopp per disegnare l’undici di Wembley: il suo solito 4-2-3-1 è stato ritoccato parzialmente: Reus è stato schierato al posto di Gotze e Grosskreutz sulla fascia sinistra. Si era più vicini a un 4-4-2.
Utilizzando due punte anziché una, Klopp è riuscito a tenere più bassi sia Schweinsteiger, che si portava in mezzo o a fianco dei centrali, sia Alaba e Lahm, che volevano garantire superiorità numerica contro il pressing alto delle due punte e dei due esterni, e dunque facevano più fatica ad alzarsi senza rischiare di creare scompensi dietro. Gundogan e Bender, che di solito venivano impiegati anche nel primo pressing, rimanevano più bloccati per esporre il meno possibile la difesa e controllare gli spazi laterali e centrali. Per buona parte del match, il Bayern ha fatto fatica a legare la manovra dalla difesa all’attacco in modo pulito.
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Una situazione di pressing alto del Borussia: Reus e Lewandowski allineati orizzontalmente per schermare il centro, Kuba e Grosskreutz pronti a uscire in pressione su Lahm e Alaba. Schweinsteiger si abbassa sul lato destro del Bayern, ma viene pressato dall’esterno sinistro del BVB. Inizia una sottofase di pressing più diretto, che separa i due centrali e Schweinsteiger dal resto della squadra, costringendo Dante a lanciare lungo alla ricerca di Mandzukic.
La grande forza offensiva del Bayern di Heynckes erano le giocate in uno contro uno dei suoi esterni, abili sia a tagliare verso l’interno che a trovare il fondo; la priorità per Klopp, quindi, era riuscire a ridurre al minimo le situazioni in cui Ribery e Robben avrebbero potuto puntare lo spazio tra terzino e centrale in parità numerica. Il Borussia ha costretto il Bayern a giocare un numero insolito di lanci lunghi per sfuggire al pressing alto, con conseguenti vantaggi nella gestione delle seconde palle, sia per la predisposizione del Dortmund a queste situazioni, sia per le distanze lunghe tra gli uomini di Heynckes. Il Bayern però è stato abile a limitare i danni e contenere le ripartenze avversarie. I gialloneri hanno cercato di attaccare sfruttando le verticalizzazioni su Lewandowski e le rotazioni dei quattro uomini offensivi attorno a lui per raccogliere le seconde palle.
L’inerzia positiva del Borussia si reggeva su un equilibrio sottile, i ritmi alti e le distanze dilatate gravavano sui mediani Gundogan e Bender, e in generale aprivano molti spazi per i fulminei ribaltamenti del Bayern, anche sul lato debole. Così, già nel primo tempo, Robben è arrivato per ben tre volte davanti a Weidenfeller, che gli ha negato il vantaggio mettendoci letteralmente la faccia, mentre dall’altro lato il Borussia è stato insidioso con le conclusioni da media distanza di Lewandowski e Reus.
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In questo caso, una buona rotazione posizionale del Bayern manda fuori giri il pressing del Borussia e trova Robben sul lato debole. Schweinsteiger si abbassa in posizione di terzino sinistro, Alaba riceve alto alle spalle di Kuba e attrae il pressing di Piszczek. A questo punto tutto il Borussia scivola in maniera estrema verso il lato forte. Muller si sposta dal centro verso sinistra, mentre Ribery si trova al centro della trequarti e occupa lo spazio alle spalle di Hummels, attirando Schmelzer. Muller riesce a ricevere alle spalle di Gundogan, girarsi e servire Robben, completamente solo.
In queste condizioni il gol è arrivato fin troppo tardi. L’azione è un ritratto delle qualità del Bayern, fin dalla giocata di Neuer, che controlla un passaggio alto di Schweinsteiger e palleggia dolcemente col ginocchio per preparare il rinvio, come in una partita di Beach Soccer. L’azione è un esempio della fluidità straordinariamente diretta dei giocatori offensivi del Bayern, e della capacità di Ribery e Robben di creare superiorità numerica e disorientare il sistema difensivo del BVB.
[video gol]
Nell’azione due incertezze di Subotic sono state fatali per il delicato equilibrio su cui si reggeva il sistema di coperture e pressioni della difesa a zona di Klopp. La sincronia dei movimenti e la fluidità delle giocate dei bavaresi trasmetteva un senso di ineluttabilità Bayern per certi versi sorprendente, per una squadra che sembrava sempre fuori tempo massimo per i massimi livelli, guidata da un tecnico démodé e sotto l’aspetto umano antitetico a Klopp.
Dopo il gol il Bayern è riuscito in modo più continuo e intenso. Le distanze si sono sistemate, il fraseggio ripulito. Il Dortmund è stato costretto a difendere più in basso di quanto desiderato, soprattutto dopo il pareggio, e non è riuscito a disturbare la costruzione avversaria come nel primo tempo, quando partiva da un pressing più alto.
Quando il Bayern ha iniziato ad attaccare in modo diretto dietro la linea difensiva avversaria, è venuta fuori la differenza di rapidità tra il blocco avanzato del Bayern e quello arretrato del Borussia. Nonostante le difficoltà, però, la squadra di Klopp è rimasta incisiva. Ha cominciato a sfruttare meglio l’attacco posizionale, portando tanti uomini all’attacco dell’area e sfruttando di più le catene laterali, come in occasione del fallo da rigore su Reus di un incauto (e fortunato) già ammonito Dante.
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Gundogan si abbassa al centro della difesa, attirando Mandzukic e aprendo spazio per la conduzione di Hummels. Il difensore lancia lungo per lo scatto di Schmelzer, ma la palla viene respinta. Sulla ribattuta, Grosskreutz è bravo a servire in maniera tempestiva l’inserimento di Reus, che si troverà isolato contro Dante.
La partita si sposta ulteriormente sul piano nervoso, con entrambe le squadre sfrontate. È stato però il Bayern ad avere le occasioni migliori: emblematico il salvataggio sulla linea di Subotic a porta vuota, un parziale riscatto non fu comunque sufficiente a evitare il raddoppio. Il gol di Robben, ancora una volta a rimorchio su una sponda dopo un lancio lungo (stavolta di Boateng, su punizione), con Ribery che riesce a trovarlo grazie a un colpo di tacco nonostante la profondissima diagonale di Piszczek. È stato il sigillo a un secondo tempo fatto di folate e scambi tennistici. Per tutti i novanta minuti i due portieri sono stati molto impegnati, e hanno risposto alla grande: l’unica sbavatura di Weidenfeller, in una situazione comunque complicata, ha contribuito al gol dell’1-0, iniziato provvidenzialmente proprio con una giocata deliziosa di Neuer. In questo senso, un altro elemento a favore della tesi che si sia trattato della finale forse più equilibrata degli ultimi dieci anni, o più, nonostante la pesantissima assenza di Gotze abbia tolto un po’ di incisività e varietà alle azioni offensive del Borussia.
Una gara memorabile, capace di fotografare chiaramente i punti di forza e di debolezza delle due squadre, nel momento in cui sembravano preannunciare un’alba del calcio tedesco che poi abbiamo visto solo in parte.