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Classici: Ajax-Juventus '96
23 mag 2016
23 mag 2016
Abbiamo riguardato la storica finale di cui ricorre il ventennale.
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Dentro al primo minuto c’è già quasi tutto. Si inizia come due eserciti che impattano, con Torricelli che assalta Bogarde, Bogarde che gli va via in tunnel, Torricelli che lo abbatte e lo lascia a terra per almeno venti dei suoi primi trenta secondi di partita. Certo, c’è una nobiltà nel tunnel di Bogarde a Torricelli. C’è coraggio, creatività, precisione, attenzione al palato di chi guarda lo spettacolo. E c’è cruda concretezza nella stecca che Torricelli rifila a Bogarde. Il risultato, in quel primo scontro all’ottavo secondo della finale di Champions, è che l’Ajax batterà una punizione da una zona del campo non pericolosa, Torricelli si riposiziona in difesa e il sistema nervoso di Bogarde adesso sa che quella sarà una serata dolorosa.

L’Ajax batte quella punizione tirando un campanile direttamente in area juventina ed ecco un altro elemento chiave che emerge: l’incertezza di Peruzzi fuori dai pali, che smanaccia male, con fatica e poco lontano. E poi Paulo Sousa recupera il pallone anticipando Finidi e fa quello che Lippi ha scelto di fare, verticalizzare subito per il primo attaccante disponibile, in quel caso Vialli, lanciando nello spazio dietro alla già alta difesa olandese. Vialli mette giù bene e poi cerca un pallone in area che finisce fuori, dall’altra parte del campo, sorvolando l’accorrente Del Piero.

Del Piero. Per noi dodicenni juventini che guardavamo quella partita, Del Piero era la risposta alla delusione che anni prima ci aveva dato Babbo Natale. La vita era davvero magica, esistevano gli eroi e avevano un’estetica ultraterrena, una levità contagiosa. Del Piero in campo, di mercoledì sera, sull’erba umida di qualche campo europeo, è stata l’illusione che il nostro destino fosse chiaro e meraviglioso, punteggiato da miracoli e palloni sotto l’incrocio, sera dopo sera, vittoria dopo vittoria. La regolarità del nostro stupore era essa stessa stupefacente. E lo era addirittura per i grandi, pure loro abbandonati a sognare infinita quell’impossibile escalation di grazia. Ma una partita non è infinita, anche se lo può sembrare, e Del Piero era la mia garanzia che per lo meno quella notte, se le cose si fossero messe male, ci sarebbe stato rimedio: avrebbe chiamato a sé il pallone e superato Van Der Sar in qualche modo nuovo e inconcepibile. Del resto, il livello d’ispirazione era quello consueto: la prima palla giocabile della sua partita – sempre che una palla a mezz’aria in corsa con la riga del fallo laterale davanti ed Edgar Davids dietro si possa definire giocabile – è praticamente la declinazione calcistica di quello che, nel basket, è conosciuto come passaggio dietro-la-schiena.

Dall’altra parte, l’Ajax di Van Gaal campione d’Europa in carica è un meccanismo tremendo e apparentemente irrisolvibile, dove ogni calciatore è un pezzo con dei compiti di base da assolvere. Si schiera con un 3-4-3 a rombo, e i tre dietro sono Sonny Silooy, Frank de Boer e Winston Bogarde. Frank è l’uomo da cui parte la costruzione del gioco. Ha un sinistro e una visione di gioco che gli consentono di raggiungere i compagni su tutta la superficie del campo. Silooy, sul centro-destra, è l’uomo di esperienza che meno si spinge in avanti. Bogarde, sul lato opposto, ha il dovere di salire, in determinate situazioni, e automaticamente viene rimpiazzato da un compagno, come da manuale d’istruzioni del calcio totale olandese. Il vertice basso del centrocampo è Danny Blind, in grado di proteggere la difesa, scendendo anche a fare il centrale aggiunto, e allo stesso tempo contribuire con semplicità e precisione allo sviluppo della manovra. Accanto a lui Edgar Davids e Ronald De Boer, mentre il vertice alto è Jari Litmanen, in quegli anni un calciatore straordinario. Si muove tra i reparti cercando spazio ed è perfetto nell’inserirsi in area, in sostituzione o supporto della punta centrale, che nel primo tempo è Nwankwo Kanu, quarta e ultima vertebra della spina dorsale olandese completata da Frank, Blind e Litmanen. L’ala sinistra è Kiki Musampa, quella destra Finidi George, nigeriano che la stampa sportiva ha quasi sempre chiamato con il nome proprio, Finidi (che significa “futuro pieno di sole”: facile da pronosticare in Nigeria, un po’ meno in Olanda). Costruzione della manovra da dietro, a partire dai piedi di Van Der Sar, e possesso palla fluido, con pochi tocchi, in cui per ogni calciatore che va incontro ce n’è un altro che corre nello spazio. Ali larghissime, mezz’ali mobili e rapidi cambi di gioco da una fascia all’altra, per cercare spazi nella difesa avversaria. Difesa alta, grande ritmo, grande intensità in entrambe le fasi di possesso e non possesso.

L’ambizione della Juve, quella sera, non era quella di inceppare questo meccanismo, ma di portare ogni suo singolo pezzo a smettere spontaneamente di funzionare. L’aggressività con la quale la Juventus gioca la partita è impressionante. Il ritmo e l’intensità simili, e a tratti superiori, a quelli dell’Ajax. L’obiettivo di Lippi è far dimenticare agli olandesi che esistono le giocate facili, il possesso palla indisturbato, il tempo per prendere fiato. La Juventus fa tutto il possibile per sporcare, rallentare, deautomatizzare il meccanismo, giocando tantissimo in quella zona grigia che sta tra prendere la palla e commettere fallo. Una zona grigia che l’Atletico Madrid di Simeone ha allargato ed esplorato più a fondo negli anni recenti, e che invece non è contemplata nella visione del calcio pura, ideologica, scacchistica di Van Gaal, che prima della partita, consapevole di ciò che lo attendeva ma indisponibile a scenderci a patti, aveva messo le mani avanti in una conversazione con Foppe de Haan: “La nostra idea di calcio è molto migliore, ma loro hanno giocatori come Vialli e Ravanelli. E quei due hanno una mentalità che noi non abbiamo. Non si fermano mai; si spingono sempre, sempre al limite di quel che è tollerato. E forse i nostri giocatori questo non sapranno affrontarlo. Non sono duri abbastanza, non sono abituati. Saremo la squadra migliore, giocheremo il calcio migliore, ma la probabilità di perdere è alta. Non abbiamo quel genere di killer.”

Peruzzi in porta, Torricelli a destra e Pessotto a sinistra, Ferrara e Vierchowod i due centrali della difesa a quattro. Tre centrocampisti che, al di là delle dote tecniche e fisiche, mettono assieme un cocktail di personalità e conoscenza del gioco abbastanza unico: illuminato dalle loro carriere da allenatori, il valore di Didier Deschamps, Paulo Sousa e Antonio Conte è oggi ancora più evidente che allora. Sousa fa il vertice basso, Deschamps l’interno sinistro, Conte quello destro. I primi due verticalizzano ogni volta che possono e altrimenti provano a mettere in ordine, il terzo gioca per aumentare il livello di caos. Davanti i due “killer” Vialli e Ravanelli formano, assieme a Del Piero, l’ipercinetico tridente della prima Juve lippiana. Si comportano da difensori avanzati, interscambiandosi all’inseguimento dei portatori di palla olandesi con applicazione, naturalezza e un’aggressività che a tratti sfocia nell’accanimento. Vialli è genericamente più centrale e più avanzato, mentre Del Piero e Ravanelli scendono fino ad aiutare i terzini. Un approccio complessivamente offensivo nel quale il bersaglio dell’offesa, prima che la porta avversaria, è l’avversario stesso.

Analizzato in quest’ottica, il gol al 12’ di Ravanelli diventa molto meno casuale di quanto si possa pensare a vederlo decontestualizzato. Un errore di Frank DB, e poi un’incomprensione clamorosa tra lui e Van Der Sar, che sono figli anche del disorientamento dovuto a quella pressione sorprendente. Penna Bianca, poi, fa due cose difficilissime.

Dentro un Olimpico infuocato, il nostro destino vittorioso e magico è tornato ineluttabile. È l’apice della carriera di Fabrizio Ravanelli. È il terzo e ultimo gol subito dall’Ajax in quella edizione della Champions League, a fronte di 21 fatti.

Dopo il gol, la partita non cambia. Riguardandola oggi, via via che passa il tempo ci si accorge che, esattamente come il primo, anche gli altri minuti, presi singolarmente, contengono dentro di loro quasi tutto, come se l’essenza di questo scontro fosse diffusa omogeneamente per la sua intera durata. Si può aumentare il livello di zoom del microscopio, ma il nostro occhio vede sempre lo stesso disegno, e forse, se si potesse arrivare agli atomi di questa partita, troveremmo uno degli elementi chimici della tavola periodica, che non possono essere decomposti in sostanze più semplici. Ajax-Juventus è un duello elementare.

Il primo tempo è disseminato di sforzi eccezionali per prevalere sull’avversario, per non soccombere. L’Ajax che incessantemente cerca se stesso, la Juventus che gli impedisce attivamente di trovarsi. Ogni pallone conteso come se fosse la coppa stessa, tipo con questo doppio tackle scivolato di Vialli e Deschamps, oppure un doppio colpo di testa, prima di Conte, poi di Vialli, e un intervento a gamba tesa, a puro scopo intimidatorio, di Ravanelli.

Dentro a questo infernale dimenarsi di corpi e animi, ogni tanto spunta Del Piero a illustrarci che giocare una finale di Champions può anche non essere così complicato e faticoso. O anche a mostrare a Bogarde che da un tackle può nascere una cosa bella (Bogarde non la prende bene).

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Ma il livello di caos della partita è testimoniato anche da questa reazione a catena, con Kanu abbattuto da Ferrara abbattuto da Davids abbattuto da Vierchowod.

La Juventus commette 9 dei primi 10 falli della partita. Ma il primo giallo, al fallo numero 11, è per Finidi, che entra da dietro, di frustrazione, su Pessotto. Non c’è un intervento davvero cattivo in tutta la partita. Le rare volte in cui l’Ajax riesce a funzionare diventa pericolosissimo. Qui l’esterno alto Finidi, recuperata palla in mezzo al campo, va centrale dal terzo elemento della spina dorsale olandese, Litmanen, che si appoggia sul secondo, Blind. Questi va immediatamente dall’altro esterno, Musampa, il quale chiede e ottiene un uno-due di prima con la vertebra più alta, Kanu, volando via a Torricelli fino a dentro l’area. Potrebbe tirare ma sceglie di passarla al centro per Litmanen, che era arrivato coi tempi giusti, come da copione. Lo segue e anticipa Deschamps.

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Seguiranno un angolo con un’altra uscita incerta di Peruzzi e conseguente quasi gol olandese, anche se a gioco fermo.

Se invece vogliamo fare un esempio di come attacca la Juventus, c'è un'azione corale in cui si manda al tiro Deschamps (che poi, mandare al tiro un uomo da 25 gol totali in carriera non è poi questa gran cosa) Lo Zar da dietro trova direttamente Vialli, che viene incontro seguito dal centrale di destra Silooy e si appoggia indietro a Pessotto. Immediato lancio in avanti per Del Piero, infilatosi nel buco lasciato da Silooy, sul quale esce Frank DB. Ravanelli attacca la profondità a destra impegnando il centrale di sinistra Bogarde. Del Piero si gira, Frank rincula e lo lascia al rientrante Blind. Del Piero premia l’inserimento di un centrocampista nello spazio, Deschamps, che salta in corsa Frank, messo male col corpo perché ancora fuori posizione.

Poi il gol di Litmanen arriva, e arriva casuale. Su un duello aereo tra Vierchowod e Kanu, viene fischiata una punizione da 20 metri all’Ajax. Il sinistro di Frank DB non è né troppo forte né particolarmente angolato, e la sua unica qualità è probabilmente quella di essere così centrale da sorprendere Peruzzi, che evidentemente si interroga troppo a lungo sul bloccarla o meno e finisce per respingere la palla a terra, cinque metri davanti a lui. Il pallone rimbalza addosso a Ciro Ferrara e resta lì. A Litmanen basta un primo tocco orientato per proteggersi senza affanni dall’intervento di Vierchowod, già fuori equilibrio. Poi, con calma e feroce accuratezza, punisce Peruzzi e la Juve tutta per l’unico vero errore della partita. Anche Van Gaal ha i suoi killer.

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Prima dell’intervallo c’è un cambio importante: esce Conte infortunato ed entra Jugovic, che aumenta il tasso tecnico della Juventus senza farle perdere granché né in dinamismo né in interdizione. Guiderà la carica con cui la Juve inizia il secondo tempo.

Van Gaal ha messo dentro Patrick Kluivert, l’uomo decisivo della finale dell’anno prima contro il Milan di Capello. È entrato al posto di Musampa, Kanu è andato a fare l’interno destro a centrocampo con Ronald DB che passa esterno alto a sinistra. Senza uno scattista come Musampa da tenere d’occhio, Moreno Torricelli si fa più coraggioso.

Da quella parte sta giocando una partita eccezionale anche Edgar Davids, l’unico olandese davvero a suo agio a quei livelli di fisicità, capace di rispondere all’aggressività bianconera con altrettanta aggressività, aggiungendo però anche qualità tecniche ampiamente sopra la media.

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Nella prima metà del secondo tempo c’è poi un bel momento in cui la regia della partita riesce a cogliere, uno dopo l’altro, i due allenatori in due momenti significativi. Van Gaal in un faccia a faccia con l’arbitro Díaz Vega nel quale LVG scruta il volto che ha davanti senza stabilirci nessun contatto emotivo o comunicativo, con una fissità che, combinata alla distanza troppo ravvicinata tra i due volti, suscita un certo disagio anche in chi guarda. LVG è lo stesso uomo che un anno prima, durante la finale, ha mimato un calcio volante. Nel suo libro “O, Louis” il giornalista olandese Hugo Borst ipotizza che Van Gaal possa essere affetto dalla sindrome di Asperger e questo è uno di quei momenti in cui mi viene da pensare che sia vero. Sull’altra panchina invece Lippi fuma l’iconico sigaro, ed è bello in modo assurdo.

Van Der Sar è stato uno dei primi portieri a essere coinvolti nella costruzione del gioco. Calcia bene con entrambi i piedi, ma non lo fa spesso, cercando invece il più possibile di smistare la palla ai compagni vicini. A Ravanelli questa cosa non va giù, e si lancia in tackle per farglielo sapere. (Anche la Juventus di oggi ha un paio di giocatori capaci di minacciare fisicamente i portieri per l’intero arco di un match, e sono Mandzukic e Zaza).

Attorno all’ora di gioco esce Paulo Sousa, che stava soffrendo i ritmi forsennati, ed entra Soldatino Di Livio. Deschamps passa vertice basso del centrocampo, ultimo rimasto della mediana titolare. Di Livio va a piazzarsi sul centro-destra, con un certo riguardo per Davids.

Al 69’ esce Frank DB, infortunato, ed entra Arnold Scholten, un uomo talmente biondo da risultare quasi bianco, e anche per questo soprannominato nientemeno che Witte Socrates, il Socrates bianco. Se sul colore ci siamo, il paragone tecnico con Socrates resta abbastanza misterioso, anche perché Scholten va a fare il terzo difensore a destra con Silooy che si sposta centrale.

Torricelli ha il primo accenno di crampi al settantesimo. Torricelli è un uomo crudamente epico, è neorealismo disneyano: la corsa legnosa con i gomiti bloccati ad angolo retto e le mani aperte; i capelli ciondolanti, il volto scavato, l’espressione devastata; la sua storia di ripescato dal calcio minore. Ha una sua forza tragica che in quella finale si libera e diventa palpabile, diventa quasi parte del gioco. Domina la fascia fisicamente ed emotivamente, con tutti i suoi limiti, che sono anche i suoi primi avversari.

La partita sta finalmente perdendo intensità. Lippi vede la Juventus rallentare e si prende un rischio per cercare di vincerla nei tempi regolamentari, facendo il terzo cambio al 77’. Esce Ravanelli, stanchissimo, ed entra Michele Padovano, che in quella situazione, con spazi più ampi e gambe avversarie più lente, può trovare l’accelerazione decisiva. L’occasione arriva. Jugovic sfrutta il lavoro difensivo di Del Piero e soffia palla a Scholten sulla sinistra, lanciando Padovano in campo aperto. Padovano scappa in area e rientra sul destro, sul suo tiro smorzato Vialli arriva coi tempi giusti per dribblare Van Der Sar in uscita. La porta è vuota, Vialli tira subito, troppo presto, ed è esterno della rete.

Vialli ha poi raccontato: “Ero molto più nervoso degli altri. Avevo già giocato quella finale con la Sampdoria nel ’92 a Wembley, una partita che finì male e dove io sbagliai due o tre buone occasioni, indossando la maglia della Samp per l’ultima volta. Nel 1996 era la stessa situazione: stavo indossando la maglia della Juventus per l’ultima volta, quindi era probabilmente la mia ultima possibilità di vincere la Champions League. Sentivo molta tensione, un vero peso sulle mie spalle, un reale senso di responsabilità.”

La partita che Lippi ha chiesto alle sue tre punte è così dispendiosa che è difficile aspettarsi da loro anche lucidità in fase conclusiva. In un certo senso, Lippi espone i suoi tre attaccanti a degli errori sotto porta, tanto è il lavoro che devono fare in copertura. Eppure quel gol sembrava fatto, a cinque minuti dal 90°. Vialli resta in ginocchio per un po’ accanto al palo, poi si rialza con una capriola all’indietro e rientra cercando di non pensarci. Un capitano emotivo ed espressivo come Vialli la Juventus non lo ha più avuto.

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Due minuti dopo la Juventus ha un’altra chance. Torricelli si lancia drammaticamente sul fondo e crossa appena un po’ troppo alto per Padovano che sale tantissimo, ma non riesce comunque ad abbassare il pallone sotto la traversa. E arrivano, finalmente, i crampi per Torricelli, crampi veri stavolta, dolorosi, da uscire dal campo, e che vanno ad aggiungere ulteriore pathos alla sua partita.

L’idea di Van Gaal per i supplementari è quella di accelerare di nuovo a sinistra e consumare fino alla fine le gambe di Torricelli. Esce Ronald DB ed entra Wooter, un velocista. Lippi risponde invertendo Torricelli con Pessotto, che ha speso molto meno e che, al primo confronto con Wooter, gli porta via il pallone toccandoglielo tra le gambe. Wooter lo trattiene e si prende il giallo.

Dei supplementari sono da segnalare una bella azione imbastita dai tre più eleganti e longilinei dell’Ajax: le potenzialità e la polivalenza di Kanu, il cross di Finidi, il movimento in area di Kluivert. E la trance agonistica di Vladimir Jugovic.

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Poi il momento decisivo, a 30 secondi dai rigori. Jugovic entra splendidamente in area da sinistra, il pallone finisce in qualche modo verso Alex Del Piero. Tutto accade rapidamente, ma non così rapidamente da impedirmi di arrivare a determinate conclusioni. Del Piero carica il tiro: eccoci, questo è l’istante. Il tiro parte bene, forte: è gol. Abbiamo vinto. La rete sta per gonfiarsi e resta solo da capire in quale punto, è l’unico dubbio rimasto della serata. Per il resto, dubbi non ce ne sono. La vita è come pensavo, si soffre e poi si vince in bellezza.

Van Der Sar non para il tiro, Van Der Sar lo blocca. Lo accoglie nel suo ventre e lì lo neutralizza, senza dramma, senza fatica, senza sollievo. La distanza tra premessa e risultato, per me che guardo, è scioccante. Sembra uno scherzo.

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È stato in quel momento che ho deciso che non avrei visto i calci di rigore. L’esito di quei tiri dal dischetto stava definendo la natura della vita stessa. “Non ce la faccio, babbo, non li voglio vedere, esco”, e mio padre è troppo teso per dirmi qualcosa. Rientro in casa dopo minuti spesi a girare per il quartiere a origliare le case d’altri nella speranza di apprendere che il mio mondo fosse destinato a un giusto e definitivo splendore, nella paura di scoprire che non fosse così. Al cancello mi viene incontro un mio compagno di classe comunicandomi che siamo campioni d’Europa. Vedo Vialli che piange, poi bacia la coppa e la alza in due tempi, prima serio, come se volesse mostrarcela, poi la porta in basso e la risolleva con violenza, urlando Sì!, che era anche la risposta che cercavamo, io e lui, alla domanda sulla bontà del mondo. Neanche lui aveva visto i rigori, nascosto dietro Ciro Ferrara.

Qualche mese dopo, Del Piero avrebbe ribadito la sua sovrannaturale propensione a dispensare bellezza e vittorie, a Tokio contro il River Plate, e sembrava non dovesse e non potesse smettere mai più. Se mi avessero detto in quel momento che avrei visto la Juve giocare altre quattro finali di Champions, e perderle, non avrei saputo come crederci. Non era quella la mia realtà. La mia realtà era l’Ajax che alla fine crolla e ci lascia il testimone di squadra più forte d’Europa, dopo una partita infinita, ma che in realtà finiva e ricominciava ogni minuto. Solo col tempo ho e abbiamo capito che Ajax-Juventus non ha risposto a nessuna domanda. Però, forse, potrebbe aver risolto un paradosso. Ha rivelato cosa succede nell’universo quando una forza inarrestabile trova un corpo inamovibile: si va a finire ai rigori, e l’ultimo lo segna Jugovic.

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