Anche in questa stagione sull’Ultimo Uomo assegniamo il premio “Calciatore del mese AIC” in collaborazione con l’Associazione Italiana Calciatori. Alla fine di ogni mese, sui nostri social e su quelli dell’AIC, da quest'anno potrete votare da una lista di quattro giocatori: a ottobre potevate scegliere tra l'evoluzione di Pjanic con Sarri, il sorprendente Lautaro Martinez, l'inaspettato inizio di Chris Smalling e l'incredibile mese realizzativo di Ciro Immobile. Alla fine ha vinto il centravanti della Lazio. Qui trovate i nostri articoli sui "Calciatori del mese AIC" di questa stagione.
Quando ho intervistato Ciro Immobile, ormai più di due anni fa, a metà della sua prima stagione in biancoceleste, avevo scritto che la sua intensità, la sua energia fisica e mentale, si percepiva nettamente anche mentre stava comodamente seduto davanti a me. Immobile cambiava postura, toccava gli oggetti sulla scrivania dell’ufficio stampa della Lazio e soprattutto mi aveva dato «l’impressione che se fosse entrata una palla nella stanza sarebbe stato pronto a scattare e ad arrivarci per primo».
Al momento del suo rientro in Italia, Immobile doveva dimostrare una volta e per tutte che tipo di calciatore fosse. Se era quello di Pescara (28 gol in 37 presenze) e della prima stagione al Toro (22 gol in 33 presenze) o piuttosto quello di Dortmund e Siviglia (5 gol in 28 presenze cumulate). Oggi, 100 gol dopo, tondi tondi, in tre stagioni e un pezzetto con la Lazio, abbiamo un’idea più precisa di quale sia il suo valore. Ma soprattutto sappiamo quanto sia difficile essere Ciro Immobile con questa costanza.
Basta un calo di tensione, un abbassamento della pressione che gli faccia perdere il fuoco sulla porta, che Immobile perde di precisione, di efficacia. E per un nove come lui l’efficacia è tutto. È la qualità che lo separa dalla classe media dei centravanti, giocatori che si dannano l’anima tanto quanto lui in giro per il campo per non essere tacciati di pigrizia, di non contribuire sufficientemente alla manovra, ma molto meno prolifici di quanto sa esserlo lui.
Dall’inizio della stagione 2019-20, solo in due partite di campionato con la Lazio non ha segnato (nel derby, in cui comunque ha realizzato un assist, e contro l’Inter) e nel solo mese di ottobre ha segnato 7 gol in 5 partite, con 3 doppiette e 2 assist. Adesso è capocannoniere della Serie A (con 13 reti in totale, considerando anche il gol contro il Milan della scorsa domenica) e il premio di Calciatore del mese AIC, per ottobre, sottolinea lo straordinario momento di forma che sta vivendo.
Ogni mese passiamo in rassegna i nomi degli altri possibili vincitori, in parte per togliere un po’ dell’ingiustizia che accompagna tutti i premi individuali in uno sport di squadra, ma anche perché effettivamente ogni mese ci sono altri calciatori meritevoli.
Ottobre ad esempio è stato ricco di rivelazioni. Tanto per cominciare Lautaro Martinez, arrivato a una manciata di voti da Immobile, ha segnato 6 gol in 7 partite con la maglia dell’Inter (tra campionato e coppa), e soprattutto è sembrato all’altezza delle responsabilità che il gioco di Conte gli assegna, e della competitività di una squadra che ha dimostrato di voler contendere sul serio la testa della classifica alla Juventus.
Ma anche se avesse vinto Miralem Pjanic non ci sarebbe stato niente strano, perché se al suo livello è ancora possibile alzare la qualità del proprio gioco allora forse significa che si è parte di quella ristrettissima élite di calciatori che può spostare verso l’alto il proprio limite a piacimento. E mai come in questo ottobre, in cui è stato anche infortunato, è apparso chiaro che Pjanic con Sarri ha assunto una nuova centralità.
Chris Smalling invece era arrivato a Roma nello stupore e nello scetticismo e ha finito per incarnare la nuova solidità della Roma di Fonseca - e dire che le candidature erano state fatte prima della partita con il Napoli, in cui Smalling ha salvato il risultato con una specie di rovesciata sulla riga di porta… E avremmo benissimo potuto candidare Kulusevski, forse la sorpresa più interessante di questo inizio di campionato; uno tra Gomez e Muriel, entrambi protagonisti del mese pazzo dell’Atalanta (con i pareggi pirotecnici con Napoli e Lazio e i 7 gol all’Udinese); De Vrij, Mancini (da centrocampista), Acerbi, Donnarumma e Meret… e la lista potrebbe continuare.
Insomma, detto che la differenza tra vincitori e non è sempre sottile ad altissimo livello, il Calciatore Del Mese AIC di ottobre 2019 è Ciro Immobile. Dopo una stagione come quella passata, che se non si può definire interlocutoria (ha comunque segnato 15 gol) non poteva neanche fare da benchmark alle sue prestazioni, l’attaccante della Lazio sembra partito per un’altra stagione da più di 20 gol. Facciamo 30, anzi, a giudicare dal rendimento statistico. Non male, se consideriamo che Immobile è anche l’attaccante della Nazionale e che la prossima estate ci saranno gli Europei.
Quando si parla di attaccanti i numeri grezzi non raccontano la differenza che c’è tra i diversi tipi di talento, e non ci dicono nulla del perché Immobile riesce a convertire in gol un numero di occasioni così alto. Per dire, il capocannoniere della Serie A non è neanche tra i primi 15 per xG prodotti: ci sono 19 giocatori, per la precisione, che hanno avuto più occasioni o comunque con una pericolosità più alta.
Il che non è solo positivo. Generalmente quando un attaccante produce un numero alto di xG significa che un po’ la sua squadra è brava a metterlo in condizione di segnare ma soprattutto - se l’attaccante ripete quei numeri su più stagioni, in più partite - è bravo lui a procurarsi le occasioni. Immobile invece è bravo a trasformare in oro occasioni che per altri attaccanti sarebbero complicate.
Prendiamo il primo gol segnato contro il Bologna - una partita in cui la Lazio è andata sotto due volte e due volte Immobile l’ha riportata in pareggio. È vero che Immobile calcia da dentro l’area, da una posizione leggermente defilata a sinistra in cui non è raro che un destro segni, ma quando lui calcia ha tre giocatori intorno, di cui uno, Danilo, a poco più di un metro di distanza. Immobile calcia sul primo palo, compiendo una torsione che lo porta a incrociare la gamba destra davanti a quella d’appoggio, e nei replay da dietro si vede bene che Skorupski non si è mosso in anticipo pensando a un tiro a giro lungo, che era vicino al palo.
È solo che il tiro di Immobile è troppo secco e preciso perché ci arrivasse (anche contro il Torino, dopo una corsa palla al piede da centrocampo con il difensore, N’Kolou, che sorprendentemente lo accompagna fino all’area di rigore, Immobile ha calciato secco sul primo palo, fulminando anche Sirigu).
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Nella sua stagione migliore alla Lazio, quella, quella 2017-18 ha avuto un tasso di conversione (la percentuale di tiri che diventano gol, cioè, esclusi i rigori) del 21.1%. Più alta della media degli attaccanti, che è del 15-16%. In quelle peggiori invece è sceso sotto la media: 12.9% il primo anno, addirittura 9% la stagione passata. A conferma, appunto, di quanto sia difficile per Immobile essere la versione migliore di se stesso, di quanto tutto il set di movimenti e contromovimenti di un centravanti di questa classe e di questa esperienza possa comunque non bastare per differenziarlo dalla massa.
Quest’anno il suo tasso di conversione è il migliore da quando veste la maglia biancoceleste: 29%. Considerando anche la partita con il Milan ha segnato 9 gol (esclusi quindi 4 rigori) con solo 4 xG a disposizione.
Un’overperformance così assurda che è difficile dire se sia un ritmo sostenibile. Di sicuro, se confermasse lo stato di forma attuale, quella 2019-20 diventerebbe la sua migliore stagione di sempre dal punto di vista realizzativo.
E a 29 anni saremmo costretti a pensare che sia proprio questo il vero Ciro Immobile.
Ogni tanto Immobile fa anche dei gol bellissimi. Tiri al volo complessi; a giro sul secondo palo; gol preparati con dribbling urticanti; finalizazzioni creative e persino geniali, come quello che forse è il suo gol più bello: il pallonetto di tacco al volo contro il Cagliari. Ma non è questo il suo pane quotidiano, il suo brand. Ciro Immobile deve essere il più preciso possibile e costante. Deve farsi trovare al posto giusto, con il corpo posizionato nel modo giusto e deve aver già pensato alla conclusione giusta, da eseguire il più rapidamente possibile.
Prima ancora, deve essersi liberato del marcatore. Per questo Immobile non sta mai fermo (neanche quando sta seduto per un’intervista). E quando si gioca alla velocità a cui gioca lui può capitare di sbagliare di un paio di centimetri (tipo quando nel derby con la Roma ha colpito un incrocio dei pali “a botta sicura”, come si dice; o tipo quando ha preso la traversa contro il Milan, giusto la scorsa domenica). Non ci sarebbe niente di strano se le prestazioni di Immobile subissero una leggera inflessione, si tratterebbe di una semplice normalizzazione.
Il miglior Ciro Immobile però, quello che abbiamo visto in questo ottobre, è un centravanti costante come pochissimi, un moto perpetuo anche in fase difensiva, che partecipa al gioco anche facendo assist (6 nella stagione passata, 9 in quella ancora prima, già 4 in questa) e sotto porta è immarcabile e infallibile.
Il talento di Ciro Immobile, quello che lo distingue, sta proprio nel far sembrare un rendimento incredibile e straordinario per chiunque altro, una cosa per lui normale. Solo un altro giorno di lavoro.