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Foto di J Pat Carter / Getty
NBA Dario Vismara 13 febbraio 2017 7'

Ciò che poteva essere

La rivalità tra Warriors e Thunder è già finita prima ancora di cominciare sul serio.

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Se c’è una cosa che abbiamo imparato dalla partita di sabato notte, è che la sfida tra Oklahoma City Thunder e Golden State Warriors non sarà una partita normale per diverso tempo a venire. Il problema, semmai, è capire se e quando potrà tornare a essere anche una rivalità — perché la differenza tra le due squadre nei tre incontri di questa stagione è stata tanto palese quanto scoraggiante per i Thunder.

 

Nonostante un’atmosfera elettrica, nonostante il più grande dispiegamento di forze di hateraggio dai tempi del primo ritorno di LeBron James a Cleveland, nonostante soprattutto un Russell Westbrook da 47 punti, 11 rimbalzi e 8 assist (più 11 palle perse, ok), la sfida contro gli Warriors non è mai realmente iniziata. Troppo ampio il divario di talento tra le due squadre, troppo grande la differenza tra avere e non avere Kevin Durant. E per quanto possa essere stato divertente seguire i percorsi opposti di queste due squadre dopo quello che è successo in estate, rimane una punta di rammarico perché la (legittima, sia chiaro) scelta di KD ci ha privato di quella che sarebbe stata una straordinaria rivalità nel corso della stagione.

 

 

Cupcake

 

Vi ricordate che i tifosi dei Cavs al primo ritorno di LeBron distribuirono perfino un libretto dei cori degli insulti, tipo quelli che vengono utilizzati per la messa? Beh, sabato a OKC hanno provato ad alzare un po’ la posta in gioco, spingendo sul tema dei cupcakes con striscioni, pitture sulla pancia, cori durante i tiri liberi, perfino un vestito stile carnevale. Tutto per merito di quell’aneddoto scovato dallo strepitoso Lee Jenkins sul nomignolo dato da Kendrick Perkins ai suoi compagni quando si comportavano in maniera soft, e rispolverato in maniera sottile da Westbrook con un post su Instagram appena dopo l’annuncio di KD.

 

A mia memoria non era mai successo che il contenuto di un articolo diventasse il tema di un’intera partita — compagni giornalisti, contiamo ancora qualcosa! —, il che ci dice molto dell’impatto che un certo tipo di giornalismo può ancora avere sulle vite delle persone e dei giocatori stessi. Perché per i tifosi dei Thunder la serata di sabato è stata tanto un’occasione per esprimere il proprio disprezzo nei confronti di KD (e di sua madre, non esattamente elegantissimo) quanto per testimoniare ancora una volta l’amore per Westbrook, come a rimarcare ancora una volta la differenza tra chi è andato e chi è rimasto. O, per meglio dire, tra chi ha “tradito” e chi è “fedele” — sempre che questa distinzione voglia ancora dire qualcosa al di fuori del Great State of Oklahoma.

 

 

Adrenalina

 

Il pubblico della Chesapeake Arena è stato, nel bene e nel male, il protagonista della serata, e sostanzialmente l’unico motivo per cui i Thunder sono riusciti a rimanere in partita almeno nel primo quarto. La carica che arrivava dagli spalti ha galvanizzato a tal punto i giocatori fino a toccare il +7 grazie a un eccellente contributo di Domantas Sabonis e alla classica partenza rilassata di Golden State in difesa, con Steph Curry battuto per due volte in backdoor da Victor Oladipo. Westbrook ha resistito alla tentazione di attaccare immediatamente Durant alla prima occasione, servendo invece un eccellente assist per il push shot di Steven Adams (una conclusione sempre più presente nell’attacco dei Thunder e su cui stanno lavorando tanto sia lui che Sabonis), ma non appena Billy Donovan ha dovuto iniziare a inserire un po’ dei suoi panchinari e l’adrenalina del palazzetto ha iniziato a scendere, il vero tema della partita ha iniziato a palesarsi.

 

 

La partita dei Thunder in qualche secondo: Westbrook prima regala una tripla apertissima a Roberson, poi cattura un rimbalzo d’attacco insensato, quindi ne regala un’altra a Anthony Morrow, che di lavoro farebbe lo specialista da tre: solo ferri.

 

 

I Thunder hanno tirato 0/11 da tre in tutto il primo tempo, e con percentuali del genere non puoi pensare non dico di battere, ma anche solo di rimanere in partita contro Golden State. Anche per un penetratore di élite come Westbrook diventa impossibile attaccare contro una difesa che si chiude a riccio in questo modo ogni volta che prova ad arrivare in vernice, e le sue undici palle perse di serata si spiegano anche dalle pessime spaziature che i suoi compagni gli forniscono. ESPN Stats & Info ha fatto sapere che nel corso della partita i suoi compagni hanno sbagliato 10 dei 18 tiri derivanti dai passaggi di Russ, di cui 3/7 completamente smarcati: percentuali di per loro non così terribili, ma insostenibili contro questi Warriors.

 

Dopo l’inizio gigioneggiante, Curry ha iniziato a prendere in mano la partita in maniera sempre più continua, finendo con 9 punti e 5 assist — tra cui questo meraviglioso di sinistro per JaVale McGee — che raccontano solo in minima parte la fiducia con cui ha giocato il due volte MVP. Il suo ritorno ai livelli abituali, dopo un paio di mesi iniziali in cui si è preoccupato fin troppo di inserire per benino Durant nei meccanismi della squadra, è allo stesso tempo la miglior notizia possibile per gli Warriors e la peggiore in assoluto per le altre 29 squadre della lega. Perché quando Curry attacca dritto per dritto senza pensare per forza agli altri, l’intero motore di Golden State sale di giri e diventa la schiacciasassi da 114.3 punti su 100 possessi di questa stagione.

 

 

Westbrook si schianta contro Durant per tirargli una botta? No problem, Steph ne approfitta per portare Adams a fare un giro sulla macchina dello step back che fa molto stagione 2015-16.

 

 

 

La mareggiata

 

In molte delle partite di regular season degli ultimi tre anni gli Warriors si sono tenuti da parte il meglio per il terzo quarto, aprendo in due la gara al rientro dagli spogliatoi. Stavolta invece il parzialone è arrivato nel secondo, con la panchina di Golden State — sempre che di panchina si possa parlare quando in campo ci sono comunque Draymond Green, Andre Iguodala e Shaun Livingston, tutti e tre in doppia cifra di plus-minus dopo la prima pausa — sfruttando le mancanze dei Thunder non appena Westbrook prova a rifiatare, per di più acuite dall’assenza di Enes Kanter, terzo miglior realizzatore di squadra.

 

 

Qui il povero Cameron Payne, che nel primo tempo ha chiuso con -13 di plus-minus in meno di 4 minuti, viene brutalizzato al ferro da Draymond. Una sera dopo aver realizzato la prima tripla doppia di sempre senza punti, Green ha chiuso la solita partita da dominatore delle hustle stats: 15 tiri contestati, 4 deviazioni, 3 “screen assist” e uno sfondamento subito.

 

 

Il parzialone con cui gli Warriors hanno toccato anche il +16 a inizio secondo quarto ha di fatto chiuso la partita. Da lì in poi i Thunder non sono mai rientrati sotto i 12 punti di scarto, mostrando tutti i loro problemi in attacco quando Westbrook non riesce a prendersi cura di tutto quanto (-9.5 di Net Rating negli 11 minuti senza Russ in campo). Normale, quando una squadra pensata e costruita per funzionare attorno a due superstar ne perde una senza avere alcuna possibilità di sostituirla. Una situazione che si è palesata in tutta la sua crudele realtà quando Kevin Durant ha ripreso il discorso lasciato aperto dopo i 79 punti realizzati nelle prime due partite contro i suoi ex compagni.

 

 

Regolamento di conti

 

Dopo aver cominciato in maniera visibilmente contratta (2/8 al tiro per iniziare la gara), forse anche per le parole che gli arrivavano dai suoi ex tifosi, KD ha approfittato della partita già decisa per togliersi un po’ di sassolini dalle scarpe nel terzo quarto, sia segnando 12 dei suoi 34 punti di serata nella frazione, ma soprattutto per andare faccia a faccia contro il suo ex amico Russell Westbrook. La mossa di Steve Kerr (di sua iniziativa o voluta da Durant? Sarebbe interessante saperlo) di metterlo in marcatura diretta su Westbrook non ha avuto effetti straordinari — anche perché KD non è un difensore sulla palla abituato a navigare tra i blocchi, mentre è al suo meglio quando può proteggere il ferro — ma ha di sicuro mandato un messaggio agli ex compagni, cercando di togliere Westbrook dalla partita.

 

 

Qui Durant si disinteressa così palesemente di tutto il resto da finire a marcare Westbrook persino fuori dall’inquadratura, mentre Oladipo va a segnare anche per il suo mancato aiuto sulla penetrazione.

 

 

 

Pungolato dal confronto diretto, Westbrook ha finito col segnare 20 punti nel solo terzo quarto, continuando a ripetergli “Non puoi marcarmi” per buona parte del tempo ed esplodendo con l’ormai celebre “I’M COMING” catturato dalle telecamere a metà campo. Quello che ABC non è riuscita a cogliere è invece la risposta di Durant, che pare abbia detto solo «Sì però stai perdendo» — cosa che indubitabilmente era vera, visto il vantaggio accumulato dagli Warriors. La rimonta, nonostante i tentativi feroci di Russ e le testatine tra Durant e Roberson, non si è mai concretizzata, anche perché Durant ha continuato a segnare di tutto, portando al 63% la sua percentuale dal campo nei tiri contestati nelle tre partite disputate in stagione contro OKC. Una tortura in piena regola, suggellata dalla tripla con cui ha di fatto chiuso la partita.

 

 

Definizione di dagger.

 

 

 

Ciò che poteva essere

Se due indizi fanno una prova, le tre partite tra OKC e Golden State ci dicono che queste due squadre, pur detestandosi, non potranno più dare seguito alla rivalità appena abbozzata nella scorsa stagione. Proprio ricordando le fantastiche sfide di un anno fa, tanto in regular season quanto ai playoff, è inevitabile pensare a quanto sarebbe stata più divertente l’intera stagione NBA se Russ e KD fossero rimasti insieme per dare — anche solo un’ultima volta con un contratto annuale prima di ripensare alla free agency nell’estate 2017 — l’assalto al trono degli Warriors.

 

Sfortunatamente non lo sapremo mai, perché il passaggio di Durant a Golden State ha ucciso una contender elevandone un’altra a un livello che in questo momento appare irraggiungibile per il resto della lega.

 

 

Tags : golden state warriorsoklahoma city thunder

Dario Vismara è caporedattore della sezione basket de l'Ultimo Uomo. Laureato in linguaggi dei media con una tesi sulla costruzione mediatica della carriera di LeBron James, ha lavorato come redattore a Rivista Ufficiale NBA e nel 2016 è passato a Sky Sport curando la sezione NBA del sito. Ha tradotto "Eleven Rings. L'anima del successo" (Libreria dello Sport) ed è il curatore della "Guida NBA 2017-18" (Baldini & Castoldi).

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