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Il cinque maggio
05 mag 2020
05 mag 2020
La ricostruzione di una delle ultime giornate più famose della storia della Serie A.
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25 min
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Una delle versioni più conosciute del videogioco di calcio manageriale Football Manager è quella relativa alla stagione 01/02, uscito in Italia con il nome di Scudetto. Da adolescente ho consumato quel CD: ho provato a rivincere lo scudetto con la Roma di Totti e Cassano, vincerlo con l’Inter del tridente Ronaldo, Vieri e Recoba, vincerlo con il Milan di Shevchenko e Rui Costa, o con il Parma di Nakata e Di Vaio, oppure fare meglio della fantastica stagione del Chievo neopromosso, far tornare grande il Bologna di Nervo e Signori o la mia preferita, provare a salvare una Fiorentina in piena crisi economica ma con a disposizione Chiesa e Adriano in attacco. Neanche nelle decine di simulazioni della stessa stagione è però mai accaduto quello che è successo nella realtà.

Per generazioni di italiani il 5 maggio era il titolo della più famosa ode della letteratura italiana, nell’anniversario della morte del grande Napoleone Bonaparte. Dal 2002 però è diventata la data in cui l’Inter ha perso all’ultima giornata contro la Lazio uno Scudetto che i tifosi aspettavano da 13 anni, sublimando la sua immagine di squadra pazza fino all’autolesionismo e mostrando quanto è veramente importante l’aspetto mentale in una partita di calcio.

A vincere, lo sappiamo, è stata la Juventus, che in estate aveva richiamato Lippi e posto le basi per un nuovo ciclo con gli arrivi, tra gli altri, di Buffon, Thuram e Nedved partendo dalle cessioni di Zidane, Inzaghi e van Der Sar. Ad inizio stagione le cose però non girano come dovuto: per mesi Lippi si trova in bilico, accusato di essere una minestra riscaldata, con una parte della stampa e dei tifosi pronta a chiederne l’esonero. In primavera, però, la Juventus accelera, dopo essere uscita dalla Champions League: ad aprile vince tutte e 4 le partite di campionato disputate, superando in classifica la Roma e recuperando 4 punti sull’Inter, che nel frattempo era uscita dalla Coppa UEFA in semifinale col Feyenoord e in campionato aveva perso contro l’Atalanta e pareggiato contro il Chievo. Una rimonta che porta i bianconeri a -1 dalla capolista quando manca una sola giornata. Una rimonta che, nonostante tutto, lascia ancora all’Inter il destino nelle proprie mani.

I giorni che precedono l’ultima giornata registrano un clima infernale di sospetti incrociati. In sostanza l’Inter ha paura che l’Udinese sarà troppo arrendevole, vista anche la salvezza conquistata la settimana prima grazie ad una vittoria all’ultimo minuto contro il Lecce, e la Lazio troppo motivata. La Juventus, invece, che la Lazio non sia motivata abbastanza. La Roma terza in classifica che la Lazio si scansi. Lippi dice di respirare un clima vomitevole. Il 5 maggio le partite iniziano tutte in contemporanea alle 15 e dopo appena due minuti la Juventus passa in vantaggio col capocannoniere del campionato David Trezeguet, che viene lasciato completamente solo su di un cross a difesa schierata da rimessa laterale e può colpire facilmente di testa. Non certo l’immagine idealizzata delle difese della Serie A di inizio secolo.

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La Juventus chiude la partita già al minuto 11, con Alessandro Del Piero che conclude un’azione iniziata da un calcio d’angolo dell’Udinese, che si fa trovare impreparata e permette agli avversari in tre passaggi di arrivare in area di rigore. Da questo momento la Juventus congela la partita e allunga un orecchio al risultato dell’Olimpico, dove praticamente in contemporanea Vieri porta in vantaggio l’Inter, facendo durare il sorpasso della Juventus appena 10 minuti.

Anni dopo Moratti confesserà di come nel prepartita Cúper fosse ossessionato dal ricordo delle due sconfitte consecutive nelle Finali di Champions League 2000 e 2001 e avesse confessato la paura di perdere anche questa volta. In quelle due partite il Valencia era sceso in campo con formazioni bloccate. Ed è forse per questo che il 5 maggio la sua Inter è schierata per provare ad indirizzare da subito l’incontro a proprio favore. Un 4-4-2 che vuole arrivare il prima possibile all’area di rigore avversaria, con la coppia Vieri-Ronaldo davanti, il rifinitore Recoba sulla fascia sinistra e l’ala pura Sérgio Conceição su quella destra. Una scelta che non è improvvisamente spregiudicata, ma che anzi rappresenta la normale prosecuzione di quanto fatto fino ad allora dalla sua Inter, che nella seconda parte di stagione non si è mai privata di Recoba (che è risultato decisivo tra le altre nella vittoria con la Roma e col Piacenza alla penultima giornata) e ha provato sempre ad avere due punte davanti da servire in profondità una volta recuperata palla a centrocampo.

In quel momento in Serie A regnano ancora le due punte e sulla carta l’Inter ha le migliori a disposizione. A 28 anni Vieri è nel picco della carriera, l’ideale di prima punta di scuola italiana, in grado di abbinare ad un fisico da bufalo e un sinistro potentissimo, una buona reattività in area di rigore e la capacità di farsi trovare al posto giusto al momento giusto. Sulla carta la coppia che forma con Ronaldo è praticamente immarcabile, almeno in teoria, perché il brasiliano rimane fuori per più di metà stagione. Ronaldo arriva alla partita con la Lazio con appena 700 minuti giocati in tutta la stagione, dopo aver saltato la prima parte e a seguito di un infortunio a gennaio che lo fa tornare in campo solo per l’ultimo mese di competizione.

Vieri in sua assenza fa la sua parte: dopo aver saltato anche lui l’inizio di stagione, torna a novembre e segna 19 gol in 22 partite di Serie A giocate consecutivamente sempre da titolare, mentre i suoi compagni d’attacco variano da Recoba, a Ventola, a Kallon. Ad aprile la coppia Vieri-Ronaldo è finalmente in campo e contribuisce alla vittoria contro il Brescia e quella contro il Piacenza, mentre Vieri salta la trasferta a Verona contro il Chievo in cui 1 gol e 1 assist di Ronaldo non bastano però per andare oltre il pareggio. Non è una sorpresa quindi se la partita contro la Lazio viene vista come di fatto la prima finale della coppia nata nell’estate del ’99.

Se l’Inter è messa in campo per vincere, la Lazio non è nella sua versione più offensiva. È l’ultima partita per Zaccheroni, arrivato alla quinta giornata per sostituire Dino Zoff dopo un inizio di campionato da incubo con 3 punti nelle prime 4 giornate e il terzultimo posto in classifica. La Lazio è una squadra ancora scottata dalla stagione precedente, che ha perso tra gli altri le stelle Nedved e Verón e i cui sostituti Mendieta e Fiore non hanno reso secondo le aspettative. Arrivato a stagione in corso, Zaccheroni ha le mani legate non avendo il materiale a disposizione per il suo rigido 3-4-3. Finisce quindi per appoggiarsi ai senatori dello spogliatoio, anche se non va sottovalutato il merito di aver capito prima di tutti gli altri che l’erede di Nedved era già in casa, ovvero Stankovic.

Nonostante la rosa di alto livello, quindi la Lazio arriva all’ultima giornata dopo una stagione travagliata: uscita da un girone abbordabile in Champions League (Nantes, PSV e Galatasaray), sesto posto in classifica dopo la sconfitta per 2-0 col Bologna e una sconfitta addirittura per 5-1 nel Derby di ritorno. Apparentemente la Lazio non ha nulla da giocarsi, si sa anche che il nuovo allenatore sarà uno dei protagonisti dello scudetto di due stagioni prima, Roberto Mancini, esonerato a stagione in corso dalla Fiorentina.

In realtà in caso di vittoria e contemporanea sconfitta o pareggio del Bologna, i biancocelesti accederebbero direttamente alla Coppa UEFA come sesta, invece di giocarsi l’accesso con quel torneo infernale che è l’Intertoto, che vorrebbe dire anche rivedere i programmi per le vacanze. La Lazio non è quindi proprio già in ferie come si è detto spesso, ma anzi la contemporaneità delle partite sarà una spinta fondamentale, perché se il Bologna (sesto a 52 punti, con due lunghezze di vantaggio rispetto ai biancocelesti) chiude il primo tempo in pareggio, nel secondo finirà per subire 3 gol dal Brescia. Ma non corriamo troppo.

Quello che appare evidente dallo stadio è che i tifosi della Lazio sono lì quasi solo per tifare Inter. Come notano anche i telecronisti, i nerazzurri in pratica giocano in casa: tutta la Curva Sud è per i tifosi interisti, ma ci sono bandiere nerazzurre anche negli altri settori, perfino in Curva Nord. In ballo c’è un gemellaggio tra le due tifoserie, ma anche il fatto che una vittoria dell’Inter scongiurerebbe l’infausta opzione di uno nuovo scudetto della Roma. Perché anche i giallorossi sono in ballo per la vittoria finale in quest’ultima giornata. Per vincerlo devono battere il Torino in trasferta e sperare che Inter e Juventus a loro volta non vincano, una situazione difficile, ma non impossibile. La Roma di Capello è la squadra meno battuta del campionato, ha perso solo due partite contro il Piacenza e l’Inter, ed è stata anche in vetta solitaria per cinque giornate a metà stagione, ma i 13 pareggi l’hanno portata a perdere il vantaggio nei confronti della Juventus e dell’Inter. All’ultima giornata, quindi, arriva da inseguitrice.

La Lazio è in campo con un 4-4-2 quasi simmetrico a quello dei nerazzurri, dove Fiore agisce però da rifinitore più che da seconda punta, Stankovic come esterno sinistro e Poborsky come esterno destro. Gli infortuni hanno portato Zaccheroni a poter contare solo con Simone Inzaghi come attaccante a disposizione, non considerando il giovane Felice Evacuo in panchina. A dimostrare quanto sia poco una squadra di Zaccheroni è la presenza di Jaap Stam come terzino destro, Nesta e Couto sono i centrali, con Favalli a sinistra impiegato come terzino più offensivo. Tutte e due le squadre si affidano a una coppia di centrocampisti centrali bloccati, Di Biagio e Cristiano Zanetti per l’Inter, Giannichedda e Simeone per la Lazio. Nessuna delle due squadre ritiene il centro del campo la zona preferita per lo sviluppo della manovra e preferiscono giocatori in grado di dare copertura e sostanza.

Anche per questo nei primi minuti il pallone è più in aria che sul terreno di gioco, con le due squadre che verticalizzano rapide con lanci dalla difesa o dal centrocampo nella speranza di trovare lo spazio giusto. L’Inter pur dovendo vincere non mette in mostra una superiorità schiacciante, ma va detto che a quel tempo in Serie A le migliori squadre usavano il possesso più come un’arma per ordinarsi nella metà campo avversaria che non come forma di controllo del gioco. Nonostante i richiami di Cúper per alzare il baricentro alla linea difensiva, la squadra finisce con attaccare con solo 4 uomini nella trequarti avversaria, mentre il centrocampista Di Biagio è a sostegno alle loro spalle e Cristiano Zanetti bloccato a proteggere la linea difensiva. Ma tanto basta perché, in un Olimpico pieno come ormai non si vede più neanche nel Derby, l’Inter segna effettivamente come da programma entro il primo quarto d’ora.

Il gol arriva per un errore di Peruzzi, che in uscita sul primo calcio d’angolo dell’incontro si perde il pallone che finisce sul sinistro di Vieri dopo un tocco di Di Biagio. Al momento della battuta si sente il tabellone dell’Olimpico indicare il gol del 2-0 della Juventus, ma non c’è reazione perché un secondo dopo arriva il regalo per un’Inter che non aveva creato un’azione da gol pulita fino ad allora.

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Il boato dello stadio è totale, anche perché il gol arriva sotto la curva Sud, quella occupata dai tifosi dell’Inter. In tribuna viene inquadrato il presidente Moratti che sorride e si fa il segno della croce. Racconterà in seguito Stefano Fiore: «In quel momento mi crollò il mondo addosso. Pensavo alla gente che mi avrebbe dato del venduto, pensavo pure ai miei ex compagni della Juventus che in quel momento avrei penalizzato». Anche se la scena più curiosa è quella di Di Biagio che appena l’Inter recupera palla chiede calma ai compagni della difesa, per poi provare alla prima occasione utile qualche secondo dopo un tiro da 35 metri che finisce in curva per il disappunto di Cúper.

L’inizio di Ronaldo non è da ricordare, le sue tante conclusioni sono svirgolate o bloccate dal difensore, come se il pallone gli scottasse tra i piedi e se ne volesse liberare alla prima occasione. Con Vieri che fuori dall’area tocca palla solo per i contrasti aerei, il giocatore più razionale è Cristiano Zanetti, ma anche - paradossalmente - Recoba, dipinto come genio sregolato e che invece è uno dei pochissimi che provano a mettere un po’ di ordine in campo.

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A differenza dell’Inter, la Lazio prova un accenno di sviluppo della manovra palla a terra, con la squadra in grado di far risalire il pallone fino all’area avversaria. Una gestione del pallone invidiabile per una squadra con minore talento dell’avversario e pur in svantaggio. L’obiettivo è di arrivare a Fiore tra le linee e poi da lì sulla fascia per il cross in area. Questo lavoro di cesello porta la Lazio a trovare il pareggio al minuto 20, al primo tiro in porta, ma non alla prima azione manovrata di livello.

Il gol arriva da una bella azione corale, impreziosita dall’intelligenza di Fiore e dall’invenzione di Stankovic che una volta scambiatosi di posizione col compagno ne riceve il passaggio dalla fascia sinistra e chiude il triangolo con un cucchiaio da fermo facendogli arrivare il pallone in area sulla corsa alle spalle di un immobile Javier Zanetti. Fiore arriva sul pallone di ritorno praticamente dentro l’area piccola, costringendo tutta la linea difensiva interista a collassare su di lui e lasciando ben tre giocatori della Lazio liberi di ricevere il suo cross a centro area. Quello che segna è Poborsky che arriva in corsa da fuori area e scarica su Toldo un collo destro imparabile.

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La reazione al gol è surreale: inizialmente arriva un boato dalla Nord, anche i raccattapalle festeggiano, ma dopo pochi secondi vengono subissati dai fischi del resto dello stadio. Anche l’autore del gol festeggia in modo rabbioso verso la curva, prima di girarsi per ricevere gli abbracci dei compagni. Questa è l’ultima partita alla Lazio per Poborsky, arrivato a gennaio 2001 dal Benfica, a stagione in corso litiga con dirigenza e ambiente e decide di tornare a Praga per terminare a casa la carriera. Pur essendo un giocatore di alto livello il suo periodo in Italia verrà ricordato solo per questa partita. Racconta il compagno di squadra Fiore: «Lui sapeva di andar via. Ma era talmente in lite con il mondo che quella partita la giocò alla morte. Era lontanissimo per ideologia politica da quei tifosi che ci chiedevano di perdere, e altrettanto distante dalla maniera italiana di vivere le partite». In questo momento l’Inter è nuovamente sotto alla Juventus in classifica.

Nonostante mancano ancora 70 minuti, la reazione dell’Inter è immediata e rabbiosa. Alza il baricentro in modo netto e prova a schiacciare la Lazio - il cui possesso è coperto dai fischi degli interisti - nella sua metà campo. Ronaldo e Vieri non sembrano avere molta chimica in campo o meglio non si cercano più di tanto. Ronaldo viene più incontro, giocando da seconda punta, mentre Vieri si muove nei pressi dell’area, ma è evidente come provino a vincere la partita più che altro relazionandosi con gli altri compagni che li servono a turno. Quando ricevono il pallone nei pressi dell’area guardano la porta e non dove si trova il compagno di reparto. A rivedere questa partita oggi è molto in controtendenza con l’idea platonica che avevamo dei due, come della coppia d’attacco perfetta.

Questa sterilità offensiva produce solo tiri da fuori, ma sono sufficienti: dopo quattro minuti dal pareggio, dal terzo calcio d’angolo arriva il nuovo vantaggio che raddrizza partita e classifica. Con le telecamere che riprendono a turno Vieri e Ronaldo, il cross di Recoba sul primo palo viene invece sfruttato da Di Biagio, che con un ottimo movimento ad uscire dal centro dell’area lo attacca avendo il marcatore alle spalle.

Con l’Inter nuovamente in vantaggio il copione riprende più o meno uguale: la squadra di Cuper più verticale e quella di Zaccheroni che prova ad imbastire con calma la sua manovra approfittando di una scarsa pressione sul portatore di palla (altri tempi), mancando però sempre del passaggio decisivo, nonostante i movimenti continui di Fiore e la partita praticamente perfetta di Stankovic a centrocampo.

L’allenatore dell’Inter è in piedi dal primo minuto, alternando momenti di silenzio ad altri in cui rimprovera platealmente i suoi giocatori per un tiro pigro da fuori o per un lancio intercettato dalla difesa. Zaccheroni invece è totalmente ignorato dalle telecamere. Da fuori sembra però che questo canovaccio vada bene all’Inter, che nonostante i frequenti cambi di possesso anche non forzati (ripeto, altri tempi) riesce con il passare dei minuti a trovare maggiore fluidità in attacco, dando l’idea di poter prima o poi trovare anche l’imbucata giusta per il gol del 3-1, che chiuderebbe chiudere definitivamente il discorso scudetto. Gli animi sono tranquilli e le telecamere inquadrano lo spettacolo della sciarpata nerazzurra della Curva Sud da dove sventola anche qualche bandiera tricolore.

MARCO ROSI / LAPRESSE

Proprio mentre il quarto uomo prende il tabellone per segnare i due minuti di recupero a fine primo tempo, arriva l’azione più famosa della partita, che cambierà tutto. Da un cambio di gioco di Nesta verso la fascia sinistra il pallone arriva a Stankovic, il cui cross in area verso Inzaghi marcato dai due centrali dell’Inter ha poche velleità. La traiettoria a scendere del pallone però sorprende Cordoba, forse a causa della luce del sole, e il suo colpo di testa invece di essere una respinta finisce per creare un campanile un paio di metri più dietro, dove c’è in vantaggio su tutti il compagno Gresko. Forse preoccupato solo del pallone, Gresko non si accorge della presenza di Poborsky nelle vicinanze e quando appoggia di testa la palla verso Toldo finisce per servire un perfetto assist all’avversario.

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Questa è l’azione che ne segna l’esperienza interista e in parte la carriera. Apparso in leggera difficoltà in tutta la stagione, Gresko regala il pareggio alla Lazio appena prima del riposo. Dopo il gol Poborsky si rivolge alla curva Nord che con parole che non conosciamo ma che possiamo immaginare, ricevendo solo un veloce abbraccio dei compagni. Il gol del pareggio proprio alla fine del primo tempo diventa una mazzata psicologica inaspettata per l’Inter, che fino ad allora sembrava effettivamente in controllo della situazione e che invece deve passare quindici minuti negli spogliatoi sapendo che la Juventus gli è davanti.

Cúper decide di non fare cambi tattici o di uomini per trasmettere tranquillità alla squadra. Al loro ritorno in campo si ferma ad uno ad uno con i giocatori, gli batte la mano sul petto e ripete: «Yo estoy contigo» (cioè: "Sono qui con te"), ma evidentemente il messaggio e le parole dell’allenatore non arrivano alla testa dei giocatori che dal rientro in campo appaiono evidentemente troppo tesi. Il possesso si impantana sulla trequarti dove la Lazio riesce a recuperare e ripartire, dando l’idea di poter essere pericolosa nonostante sia l’Inter a dover fare la partita. Anche quando Ronaldo e Vieri riescono ad imbastire le prime triangolazione sulla trequarti, la Lazio riesce a gestire i due, grazie ad un Giannichedda particolarmente ispirato in fase difensiva.

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Nella fase difensiva, invece, l’Inter dimostra determinazione, ma poca lucidità. Lo si vede quando dopo dieci minuti di gioco Materazzi atterra Inzaghi sulla fascia per provare a prendere il pallone invece di attendere il raddoppio. Dalla successiva punizione arriva il gol del primo vantaggio della Lazio. Il cross di Fiore è perfettamente calibrato per finire sulla testa di Simeone che sovrasta Cristiano Zanetti sul secondo palo, Toldo può solo guardare la palla che va in porta. Questa volta, mentre Simeone non festeggia il suo primo gol della stagione pur se attorniato dai compagni, l’immediato boato dei tifosi della Curva Nord si sente benissimo. Le telecamere inquadrano di sfuggita la smorfia di Ronaldo e indugiano su Massimo Moratti pensieroso in tribuna.

Dopo un’ora Cuper effettua il primo cambio, inserendo Stéphane Dalmat per un fumoso Sérgio Conceição. Va detto che è anche il cambio più logico (Dalmat viene preferito a Seedorf da Cúper), visto che le due punte sono intoccabili e Recoba è indispensabile per le capacità da calcio piazzato, da cui sono arrivati 3 dei 4 gol. La risposta di Zaccheroni arriva immediatamente per via dell’infortunio di Stankovic, che viene sostituito da César. La mossa forzata di Zaccheroni avrà maggiore successo di quella di Cúper, nonostante inizialmente sembra il contrario visto che il brasiliano non tiene un pallone nei primi minuti, mentre Dalmat in conduzione sembra poter saltare sempre il marcatore diretto.

Il nervosismo dei giocatori dell’Inter comincia ad essere evidente, ricorrono spesso al fallo per cercare di recuperare il pallone, consapevoli come a pochi minuti dalla fine sia fondamentale avere il possesso per costruire azioni da gol. Pur provando ad attaccare con insistenza, l’Inter va vicina al gol solo grazie ad un intervento di Favalli in anticipo su Vieri che sorprende Peruzzi in uscita. Vicino però è appostato Nesta che può intervenire facilmente. Neanche gli innumerevoli tiri da fuori di Di Biagio sembrano preoccupare i biancazzurri, anche perché per uno che entra nello specchio ce ne sono cinque che finiscono in curva.

Proprio quando Cúper decide di intervenire e rendere ancora più offensiva la sua squadra inserendo Emre per Cristiano Zanetti, César fa l’azione che ne giustifica la presenza in campo e decide il campionato. Con l’Inter spezzata in due da un tentativo di pressione a centrocampo andato a vuoto, riceve da Fiore un pallone sulla sinistra dove può puntare Javier Zanetti, che lascia fermo come una statua di sale quando tocca con l’esterno del sinistro il pallone e scatta improvvisamente per andare al cross sul secondo palo, dove Materazzi si dimentica di marcare Simone Inzaghi nonostante gli sia accanto. Curiosamente attaccato ad Inzaghi c’è anche Poborsky, che è arrivato quindi a centimetri dal segnare una tripletta che avrebbe raddoppiato il suo bottino con la Lazio nelle precedenti 45 presenze. Il ceco è anche quello che esulta di più, più dello stesso Inzaghi che rimane composto in un Olimpico ormai spaccato in due fazioni.

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L’azione di César segna la fine delle speranze di Scudetto dell’Inter. Tre gol in 20 minuti di gioco sono praticamente impossibili, soprattutto per una squadra già mentalmente fuori dalla partita. Addirittura il gol di Cassano a Torino fa scivolare l’Inter al terzo posto. Dopo il gol del 4-2 si moltiplicano le crudeli inquadrature della Curva Sud ora ammutolita e della disperazione dei singoli tifosi. Mentre a Udine la Juventus aspetta solo il fischio finale per far partire la festa scudetto, a Roma Materazzi viene colto dalle telecamere quasi in lacrime mentre dice ai giocatori della Lazio «Vi ho fatto vincere lo scudetto», riferendosi a quanto accaduto due anni prima a Perugia. C’è ancora tempo per la scena che diventerà la copertina di questa sconfitta e che ancora oggi significa “5 maggio 2002”, quella del cambio di Ronaldo. Uscito al minuto 78 per fare spazio a Kallon, lo si vede tornare in panchina correndo con lo sguardo basso, evitando di incrociare gli sguardi dei compagni. Poco dopo viene inquadrato con la testa sorretta solo dalla mano sinistra, forse inconsapevolmente a coprirsi gli occhi che fissano terra. In questo momento viene scattata una delle foto più famose nella storia della Serie A.

Al fischio finale tutti scappano negli spogliatoi, c’è chi si affretta a lasciare l’Olimpico come Poborsky che lascia per sempre l’Italia la notte stessa. I tifosi della Lazio che avevano chiesto ai giocatori di “scansarsi” provano a consolare quelli dell’Inter. Il gemellaggio tra le due tifoserie resiste a questo trauma, addirittura il presidente Cragnotti si lamenta a fine gara dei tifosi della Lazio che hanno tifato contro.

Non è facile dire quanto hanno pesato i fantasmi del passato - sia di Cúper che della squadra - e quanto i singoli errori. È bastato un gol prima dell’intervallo per fare a pezzi la psiche della squadra. Lo dirà lo stesso Cúper a fine partita: «Uno stadio tutto dalla nostra parte avrebbe dovuto darci una grinta maggiore. Nell'intervallo ho detto alla squadra di stare tranquilla, il pareggio della Lazio allo scadere è stato un brutto colpo però la partita non era difficile, stavamo facendo bene in difesa. Certo, andare a riposo con il risultato favorevole sarebbe stato meglio: nella ripresa abbiamo dovuto ricominciare da capo e siamo stati frenati dall’ansia».

Quando gli chiedono del perché non abbia sostituito Gresko a fine primo tempo, in un momento di evidente difficoltà mentale, l’allenatore fa capire con una punta di amarezza che dopo è sempre facile parlare: «Adesso si possono dire tante cose, quel che è certo è che sono scesi in campo gli uomini migliori. Mi piacerebbe rigiocarla, questa partita, farei certamente altre cose». Ma va detto che il secondo tempo di Gresko non è stato tanto peggio di quello dei senatori della squadra, di Zanetti, di Materazzi e delle due stelle Vieri e Ronaldo. Come detto tempo dopo dallo stesso Moratti: «Mi ricordo che intervenni, ma purtroppo si era ormai creato un clima sbagliato. Di certo mi dà molto fastidio quando si ricordano gli errori di Gresko, perché quella partita fu persa dai giocatori chiave, quelli che devono trascinare gli altri».

Mentre all’Olimpico ci si dispera, a Udine c’è l’invasione di campo di tifosi e giornalisti per circondare la squadra vincitrice. Un raggiante Lippi dichiara l’inaspettata vittoria della Juventus come la sua più bella: «La vittoria di oggi è sicuramente quella che mi ha dato più soddisfazioni. Ogni vittoria è bella, ma questa lo è di più. Cercate di capirmi, sono tornato a Torino dopo aver lavorato lontano per due anni e abbiamo subito rivinto lo scudetto, una soddisfazione grandissima. Sono felicissimo, avevamo ancora la speranza di diventare Campioni d'Italia ma non era facile crederci, all'Inter bastava vincere per diventare irraggiungibile, devo ammettere che non mi aspettavo questo finale». Una delle immagini che più rimarranno nella memoria vede un Antonio Conte fradicio di spumante che viene trascinato dai compagni nello spogliatoio mentre urla la sua gioia ai microfoni «Stiamo godendo» dice ricordando quanto successo nel diluvio di Perugia due anni prima.

A Milano intanto vengono cancellati in fretta i preparativi per la festa scudetto, la piazza del Duomo si è praticamente svuotata dai tifosi delusi e i giocatori e dirigenti tornati da Roma si sfogano ai microfoni dicendo cose che riportano al centro la dialettica del sospetto che aveva accompagnato tutta la rivalità tra le due squadre nell’ultimo lustro, come le dichiarazioni di Moratti nei confronti della Lazio che si è impegnata troppo: «Ha giocato con tanto impegno, come in una finale di Coppa. I miei giocatori sono dei poveri cristi, ma spero che la Lazio abbia vinto per se stessa e non per conto di altri». Materazzi rincara la dose: «Penso che almeno la palla al centro l’abbia battuta la Juventus oggi. Loro si aspettavano di sbloccare il risultato presto, ma 40 secondi, non so se i giocatori dell’Udinese abbiano preso alla lettere l’augurio di quelli della Juventus». Per capire di che tipo di situazione stiamo parlando, ancora a 6 anni dalle inchieste di Calciopoli, queste sembrano parole uscite da un racconto distopico, ma sono realmente quelle pronunciate da Luciano Moggi, all’epoca ancora dirigente della Juventus, a fine partita: «Chi alimenta sospetti lo fa per creare dei profitti. Il calcio è fatto di gol ed è più bravo chi la mette dentro. Chiunque alimenta sospetti ha delle responsabilità, il calcio è una materia pulita. Di conseguenza, tutto quello che viene detto e fatto dai dirigenti succede o perché hanno paura che si verifichino delle cose o perché vogliono evitare che se ne verifichino altre. I giornalisti scrivono».

L’unico che sembra riportare l’analisi su un terreno più umano e reale è Cúper, proprio quello che per sempre conviverà con l’ombra di questa ennesima pesante sconfitta: «Nel secondo tempo la squadra ha perso la testa. È difficile trovare delle spiegazioni, il calcio è fatto così». E se comunque i tifosi non lo dimenticheranno mai, per alcuni giocatori presenti in campo ci sarà l’occasione di rifarsi e addirittura di vincere molto di più che un singolo scudetto, riscrivendo la propria storia. Perché se tra le cose belle del calcio c’è che ogni stagione dà la possibilità di riscrivere la propria storia, per alcuni personaggi tragici di questa partita non ci sarà possibilità di farlo. Il 5 maggio 2002 sarà un marchio indelebile per Cúper e per Gresko, ma anche per il più forte di tutti. Ronaldo, ovviamente.

A fine partita, dopo che tutto il mondo ha visto le sue lacrime, Ronaldo preferirebbe non parlare, riescono a strappargli qualche frase inseguendolo con i microfoni, quella che ne racchiude il pensiero è raggelante ancora oggi: «Ormai l’ho capito: la delusione, nel calcio, è diventata la mia compagna». Ma le altre non sono da meno e fanno riferimento al fatto che proprio contro la Lazio all’Olimpico è arrivato l’infortunio che gli ha cambiato la carriera: «Doveva essere un sogno. Invece è un incubo. Ancora qui, ancora in questo stadio. Il calcio non regala niente».

Il giorno dopo Ronaldo, che è volato subito a Rio de Janeiro per iniziare la preparazione il Mondiale 2002, sembra aver riordinato le idee e assume un profilo più istituzionale: «Sono dispiaciuto per la mancata vittoria: per me, per i miei compagni e tutta la società, per il presidente e per i tifosi che comunque ringrazio per il sostegno in tutta la stagione. E, anche ieri, sono stati meravigliosi. Spero di ripagarli presto». Gli strascichi del 5 maggio 2002 però sono più forti di quanto forse si potesse immaginare. Nonostante alla ripresa della stagione prometta vendetta, in realtà si è convinto che non vuole più vestire la maglia dell’Inter: durante il precampionato si rivela non riconciliabile il rapporto con Hector Cúper, il giocatore chiede e ottiene proprio l’ultimo giorno di mercato la cessione al Real Madrid.

Dirà qualche anno dopo: «Ci ho pensato tante volte. Credo che siamo entrati in campo troppo convinti di vincere. In quella settimana si parlava troppo dell’acquisto di Nesta, che sembrava fatto e che forse non avrebbe giocato. Ci ha distratto. Poi, penso Cúper abbia sbagliato la formazione, mettendo un giocatore di troppo a centrocampo. Poi, ci si sono messi in mezzo anche gli errori individuali. Una delle più grandi delusioni della mia vita». Ronaldo tornerà a giocare all’Olimpico per la prima volta solo nel dicembre del 2004, segnando anche nella vittoria per 3-0 contro la Roma nel girone di Champions League. La prima partita contro l’Inter arriverà nel marzo 2007, vestendo la maglia del Milan nel suo primo derby dal ritorno a Milano, segnerà il gol del momentaneo vantaggio. L’Inter vincerà quel derby e a fine stagione il primo scudetto sul campo nel post calciopoli.

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