Il 27 luglio del 1998, durante la Grenoble-Les Deux Alpes, quindicesima tappa del Tour de France 1998, Marco Pantani scrisse una delle imprese più memorabili della storia del ciclismo. Sotto la pioggia, durante l'ascesa sul Col du Galibier, attaccò da solo a 47 km dal traguardo senza voltarsi mai indietro. Con quell'azione “il pirata” mise le mani sul Tour de France, distanziando Jan Ulrich, fino a quel momento maglia gialla, che arrivò sfinito sul traguardo finale con un ritardo di quasi 9 minuti. Ieri, a circa vent'anni di distanza, Chris Froome è riuscito a replicare quella storica impresa.
Non è irriverente paragonare la vittoria di ieri di Froome a quella di Pantani. Anzi, per certi versi, possiamo considerarla persino più significativa rispetto a quella del leggendario ciclista italiano. E questo per un motivo: a differenza di Pantani, Froome non solo ha compiuto un'impresa spettacolare di pari livello, ma lo ha anche fatto riscrivendo le regole che avevano dettato la sua carriera finora.
È riuscito in un solo pomeriggio, cioè, a decostruire quell’analisi comune che vede il ciclismo contemporaneo – di cui lui è il massimo interprete – come uno sport diverso dal passato, spesso più noioso, che vive speso di tattica, attendismo e poca fantasia. Il suo attacco a 83 km dal traguardo durante l'ascesa sul Colle delle Finestre, in solitaria, senza aspettare il supporto dei suoi compagni, è da considerare un'azione spettacolare e unica già di per sé, ma lo è ancora di più perché collocata nel contesto contemporaneo.
L'iniziativa di Froome potrebbe essere considerate illogica e folle a un primo sguardo, ma se osservata meglio può essere anche interpretata in modo diverso: il keniano ha preparato l'impresa di ieri nei minimi dettagli, non solo per provare a vincere il Giro d'Italia, ma per centrare un obiettivo ancora più ambizioso: conquistare definitivamente il cuore dei tifosi (forse, il suo vero obiettivo).
E per centrare un obiettivo simile, non bastava una semplice vittoria, ma per l’appunto un'impresa epica, degna di essere paragonata a quella di Pantani nel 1998.
Drammi sportivi
Forse si poteva prevedere che stavamo per assistere a una giornata memorabile guardando il percorso della diciannovesima tappa: partenza da Venaria Reale e arrivo a Bordonecchia, 184 km da affrontare con quattro GPM: Colle del Lys, Colle delle Finestre - la Cima Coppi di questa edizione, 18 km di ascesa con una pendenza media del 9,2% e punte al 14% - e poi Sestriere e Jafferau.
I corridori hanno movimentato la tappa fin dall’inizio: a 86 km dall'arrivo, all'attacco del Colle delle Finestre, il forcing del team Sky con in testa Salvatore Puccio, ha isolato la maglia rosa, staccando diversi compagni di squadra di Yates, tra cui Chad Haga. Rimasto solo, a 13 km dalla Cima Coppi, Yates è andato alla deriva. Il britannico, fin qui dominatore del Giro, brillante e capace di conquistare ben quattro tappe, non è riuscito a tenere le ruote dei suoi avversari.
Yates ha pagato la fatidica terza settimana del Giro, quella più terribile in assoluto, in grado di smentire qualsiasi risultato precedente. Probabilmente il ciclista britannico ha scontato anche lo sforzo durante la cronometro da Trento a Rovereto, dove non ha potuto risparmiarsi dando il massimo per poter limitare il più possibile il ritardo nei confronti dello specialista Dumoulin, suo diretto avversario per la vittoria finale.
Avvisaglie di una possibile crisi di Yates, della sua stanchezza generale dovuta a una condizione in progressivo calo, si sono intraviste anche il giorno prima, durante la diciottesima tappa da Abbiategrasso a Prato Nevoso quando, dopo i continui attacchi di Dumoulin, Froome e Pozzovivo, è stato costretto a cedere 28" rispetto all'olandese - secondo della generale - in appena 1,5 km.
Era, però, difficile immaginare una crisi così profonda: Yates ieri pomeriggio ha tagliato il traguardo con quasi 39 minuti di ritardo da Froome. «Ho perso 10 anni di vita», ha dichiarato esausto all'arrivo.
Un ruolo determinante forse l’ha giocato anche l’inesperienza del ciclista britannico. Forte di una condizione brillante, infatti, il capitano della Mitchelton-Scott forse avrebbe dovuto risparmiarsi di più e dosare le energie in modo più equilibrato per non arrivare alla terza settimane del Giro in riserva di energia e con l’acqua alla gola.
Va dato però anche il giusto merito alla Sky, il cui attacco durante l'ascesa sul Colle delle Finestre ha fatto esplodere la corsa, e ovviamente al vero artefice del dramma sportivo di ieri, e cioè Chris Froome.
Il suo attacco personale a 83 km dal traguardo non ha mandato alla deriva solo Yates, ma ha mietuto anche un’altra vittima illustre di questo Giro d’Italia: Domenico Pozzovivo. Il Giro del lucano fin qui era stato eccellente e mai come quest’anno era sembrato in grado di poter finalmente salire sul podio finale. Pozzovivo era stato bravo a difendersi a cronometro ed era sempre rimasto attaccato alle ruote dei migliori durante le salite. Ma anche lui, in un solo pomeriggio, ha dovuto dire addio ai suoi sogni.
All’attacco di Froome solamente Dumoulin, Pinot, Lopez Moreno, Reichenbach e Carapaz sono sembrati in grado di poter resistere, dando quantomeno l’impressione di non andare alla deriva. Ma piano piano anche loro, chilometro dopo chilometro, hanno dovuto alzare bandiera bianca.
L’epica di Froome
Forse ieri è la prima volta che gli appassionati di ciclismo hanno veramente iniziato a provare empatia per Chris Froome. Nonostante 44 vittorie in carriera, due bronzi olimpici, quattro Tour de France, un mondiale a cronometro e una Vuelta, infatti, il ciclista keniano è sembrato sempre un corridore condannato a rimanere antipatico ai tifosi.
Il suo modo di interpretare le corse, e di costruire le sue vittorie più importanti, lo hanno reso sempre poco incline a farsi amare dagli spettatori. Se a questo aggiungiamo poi la complessa vicenda di doping in cui è stato coinvolto, l’obiettivo di conquistare l’amore del pubblico è sembrato un traguardo ancora più difficile da raggiungere.
A differenza di corridori come Pantani e, più recentemente, Contador o Nibali, che hanno sempre dato spettacolo con attacchi spregiudicati anche a costo di rischiare di compromettere tutto, Froome è sempre stato un ciclista freddo, meticoloso, attento ai dettagli e soprattutto abituato a vincere grazie al supporto tattico di una squadra eccellente come la Sky.
Possiamo considerare Froome l’interprete principale di una narrazione ciclistica che vede nella biomeccanica e nella razionalità gli elementi predominanti per poter competere a vincere ad alti livelli: non c’è bisogno di estro, fantasia, o spettacolo; l’importante è il risultato, ancora meglio se ottenuto attraverso il minimo sforzo.
E non è solo una questione narrativa, ma anche estetica, a rendere Froome un corridore “antipatico”. Il suo modo di correre è sempre stato sgraziato: gomiti larghi, movimenti continui delle spalle, poco equilibrio e aerodinamica. Niente a che vedere, per esempio, con la danza elegante di Alberto Contador. Questo è stato quello a cui ci ha sempre abituato. Almeno fino a ieri.
Mentre l’attenzione di tutti per giorni interi è stata dedicata al duello Yates-Dumoulin, con un Froome considerato fuori dai giochi nonostante la bella vittoria sullo Zoncolan, il capitano della Sky è riuscito a compiere un upset senza eguali.
Ha attaccato a 83 km dall’arrivo, ha scalato da solo il Colle delle Finestre, ha aumentato il vantaggio anche in discesa con una velocità che ha raggiunto punte di 80 km/h, ha continuato a percorrere decine di chilometri senza voltarsi mai indietro, e ha scalato altri due GPM in solitaria – Sestriere e Jafferau - senza il supporto di nessuno. Un’azione spettacolare con cui non ha solo conquistato la maglia rosa, ma ha anche recuperato tutto il ritardo accumulato finora rispetto ai suoi avversari, guadagnando terreno su Dumoulin, che ha tagliato il traguardo con un ritardo 3’23” (distanziandolo ora di 40” in classifica generale).
Al termine dell’impresa Froome ha dichiarato: «Non avevo mai fatto qualcosa del genere, mai avevo attaccato da così lontano. Nemmeno al Tour. Mi sentivo bene, stamattina la maglia rosa era distante 3'22" e poi, quando sono partito a tutta, mancava ancora tanta strada verso il traguardo. Sapevo benissimo che avrei dovuto fare qualcosa di veramente straordinario per vincere il Giro d'Italia».
Froome è riuscito a vincere smentendo tutto quello che ha fatto finora nella sua carriera. Per una volta ha imitato i suoi rivali Nibali e Contador, giocando di estro, fantasia, imprudenza e follia. Una cavalcata solitaria che lo ha portato a mettere le mani su questo Giro d’Italia, superando sé stesso e riuscendo forse per la prima volta in assoluto nella sua carriera a far emozionare il pubblico.