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Calcio Emanuele Atturo 27 gennaio 2017 7'

Chiesa il giovane

L’impatto incredibile in Serie A di Federico Chiesa, figlio di Enrico.

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Dopo la partita vinta dalla Fiorentina contro la Juventus Federico Chiesa è andato davanti ai microfoni e ha interpretato il ruolo del giovane eroe locale. Ha dichiarato che quella tra Juventus e Fiorentina è la partita. Che era impossibile non essere carichi con quel pubblico. Che la maglia viola è la sua seconda pelle.

 

Al nono minuto del secondo tempo una palla rimbalzava apparentemente innocua intorno a Badelj sulla trequarti, quando la calcia di collo in verticale Chiesa è fuori inquadratura, ha già tagliato verso la porta. È in anticipo sulla diagonale pigra di Alex Sandro e il suo movimento per toccarla d’esterno, pur non toccandola effettivamente, mette fuori causa Buffon.

 

La Lega in un primo momento gli aveva assegnato il gol, cambieranno idea ma al momento dell’intervista post-partita quando il giornalista glielo fa notare lui crolla per un momento dall’emozione. Una commozione simile a quando, appena una settimana dopo, ha trovato il suo primo vero gol in Serie A contro il Chievo. Al 93’, sul 2 a 0, ha racimolato la forza e la voglia per scattare come una furia su tutto il campo per andare a ricevere il servizio di Vecino e chiudere un tiro in spaccata sul secondo palo. Dopo il gol Chiesa è crollato in ginocchio con le mani sulla faccia e quando gli hanno chiesto il motivo della mancata esultanza, che tutti hanno apprezzato come un certificato di autenticità, ha detto che, semplicemente, “non sapevo che fare”.

 

 

Diventare calciatore
Per apprezzare a pieno la sua spontaneità – in una stagione in cui i pianti di Locatelli rischiano di farci sembrare tutto troppo scontato – bisognerebbe aver presente che, nonostante il suo cognome e la genetica condivisa con uno dei più grandi talenti del calcio italiano, Federico Chiesa non ha niente del predestinato. Vale la pena sottolinearlo non tanto per il gusto di far cadere i cliché, ma perché è il modo in cui ha dovuto ricavarsi il proprio posto a questi livelli che non ha niente di scontato, e questo ha influito sul giocatore che è oggi.

 

Nei giovanissimi e negli Allievi Chiesa giocava poco e non sembrava per forza di cose adatto a diventare un calciatore. «Feci una sola partita, e neppure dall’inizio spesso mi mandavano con i ’98, quelli più piccoli». Anche per questo motivo, su consiglio della famiglia, era impegnato a costruirsi un futuro fuori dal calcio. Era iscritto all’International School of Florence, dove frequentava lezioni solo in inglese, e da due anni è iscritto all’università, nella facoltà di Scienze Motorie: «Mio padre mi disse che sarebbe potuto servirmi anche per il calcio».

 

Fino a un anno e mezzo fa, quando era già esploso in Primavera segnando 8 gol, continuava a dire: «Se non dovessi sfondare nel calcio avrei tante porte aperte». Un mese fa ha invece firmato un rinnovo che lo lega alla Fiorentina per altri 4 anni: «Non ho ancora un procuratore, mio padre mi ha assistito per il rinnovo».

 

Federico Chiesa ha iniziato a diventare un calciatore quando, in Primavera, ha trovato Federico Guidi e uno schema più cucito sulle sue caratteristiche. Il tecnico è passato dal 4-4-2 con due punte pesanti al 4-3-3, dove Chiesa ha trovato posto come esterno d’attacco. Fa impressione pensare che persino a un livello dove i percorsi dovrebbero essere guidati dalla coltivazione della tecnica e del talento puro, l’aspetto tattico può fare la differenza tra un giocatore che esplode e uno che non esplode. Ma allo stesso tempo aiuta a definire l’idea di un giocatore come Chiesa, che ha dovuto aspettare di diventare innanzitutto un atleta per trovare il proprio posto in campo.

 

Ala entropica

In primavera Chiesa giocava da attaccante esterno del 4-3-3 o da ala in un 4-2-3-1. Per Sousa è stato naturale inserirlo come esterno destro del suo 3-4-2-1 asimmetrico. Un ruolo particolare, quasi unico nel contesto del nostro campionato, dove lo scorso anno Bernardeschi ha giocato la sua prima stagione da titolare in Serie A. Giocando lì bisogna essere disposti a lunghi ripiegamenti difensivi per assorbire gli inserimenti avversari, ma poi bisogna anche avere la forza per ripartire velocemente e mangiarsi la fascia in profondità. Fornire un appoggio laterale per risalire il campo, ma anche uno sbocco in profondità che sleghi le difese avversarie. Senza l’attacco dell’ala destra la Fiorentina rimane priva di ampiezza e deve confidare solo nei continui tagli in verticale di Kalinic in versione Sisifo.

 

In quella posizione, con i piedi a pestare la linea laterale, le opzioni di passaggio di Bernardeschi erano semplicemente dimezzate, troppo isolato per poter incidere a livello offensivo. Per questo dopo poche giornate Sousa lo ha tolto da lì per metterlo più alto, sulla linea dei trequartisti, dove si sta consacrando definitivamente. Per Chiesa la limitazione della linea laterale diventa invece una sicurezza ulteriore, la gabbia dentro cui può liberare la sua visione energica del calcio. Tra la conduzione a testa alta, a osservare, di Bernardeschi e quella a testa bassa, a caricare, di Chiesa si nota la differenza tra un 10 – comunque individualista – e un 7. Tra un trequartista e un’ala.

 

Chiesa fa parte di quel tipo di giocatori che amano giocare su un binario immaginario dal quale non possono deviare. Quando riceve palla sulla linea laterale, la prima cosa che l’istinto gli suggerisce è di partire in dribbling, portare palla per risalire più metri di campo possibili, con uno stile che non dà tanto valore all’intelligenza delle proprie scelte quanto all’energia con cui si mettono in pratica. Per questo Chiesa ha una buona influenza su tutte le situazioni in cui l’atletismo è più importante dell’intelligenza. Quando arriva a ridosso dell’area non diminuisce la propria velocità per cercare un’assistenza complessa: abbassa la testa e punta l’uomo, o verso la porta o verso il fondo, per cercare il cross o il tiro.

 

Quest’attitudine a giocare spesso con gli occhi chiusi potrebbe essere una frenesia generata dall’inesperienza (19 anni), dalle poche partite in Serie A (5 da titolare) o semplicemente dal suo stile di gioco. Per ora Chiesa somiglia a quelle ali pure – penso a Candreva – dalla grande produzione statistica: tanti dribbling, tanti cross, tanti tiri.

 

Ma a questa quantità non corrisponde sempre una grande qualità. Come i giocatori abituati a giocare ad alti ritmi, disposti ad accettare l’entropia dell’intensità, Chiesa deve sbagliare molte giocate per indovinarne altre. Questa contro il Napoli, di pochi giorni fa, è un’azione abbastanza paradigmatica.

 

Entra in area con in testa solo l’idea di dribblare, manca lo scarico per Bernardeschi, si lascia chiudere dai difensori e perde palla. Per poi, però, riconquistarla in un secondo momento arrivando prima di tutti sul rimpallo.

 

Queste situazioni sono moltiplicate dal fatto che Chiesa non ha una grande pulizia tecnica, anche se sia nel primo controllo che in conduzione ha un buon tocco, col destro e col sinistro. E la varietà delle sue soluzioni in velocità lo rende difficile da fermare in dribbling, anche grazie a un notevole cambio di passo.

 

Ma quando è il momento di calciare verso la porta o a cercare un compagno in area, tornano i limiti tecnici, di lettura e di precisione. Chiesa ha un’ottima potenza e una grande capacità di coordinarsi – oltre che un coraggio che lo ingolosisce anche sui palloni più difficili – ma calcia quasi sempre in modo istintivo, frettoloso e spesso stiracchiato. Come se prima o poi la quantità arriverà a bilanciare la scarsa qualità (anche in questo caso torna in mente Candreva). Tira mediamente 3 volte verso la porta ogni 90 minuti, e almeno una da fuori. I suoi dribbling riusciti per ora sono meno della metà di quelli tentati (1.7 su 4).

 

Nella partita contro la Juventus è possibile apprezzare la sua audacia nel tentativo di saltare ripetutamente Alex Sandro. O potremmo sottolineare l’irrazionalità di un’impresa simile. Alla fine della partita il duello tra i due parla in questi termini: 1 dribbling riuscito, 3 sbagliati, 3 subiti. Un giocatore come Chiesa, che vuole portare sempre la sfida sul piano atletico, rischia di sgonfiarsi di fronte a giocatori atleticamente più dotati di lui.

 

Nato in campo

Allo stesso tempo, l’istinto a fidarsi della propria esuberanza atletica è al momento la dote migliore di Chiesa. Ciò che, tra le altre cose, lo rende utilissimo in fase difensiva. Chiesa è molto generoso quando ripiega all’indietro, e questo è in sostanza ciò che per ora lo rende preferibile a Tello in quel ruolo (quando è stato chiesto a Chiesa del dualismo con Tello ha risposto con un’ingenuità quasi offensiva: «Lo prendevo a Fifa: velocissimo»). Rispetto allo spagnolo si muove anche di più senza palla e offre sempre il proprio riferimento largo con personalità quando la Fiorentina vuole risalire il campo.

 

Il coraggio con cui offre linee di passaggio ai compagni, anche quando è fortemente pressato alle spalle, è una delle cose più impressionanti dell’impatto di Chiesa sulla Serie A. Dalla malizia con cui usa il corpo – qui ad esempio ruba il tempo a Chiellini – è evidente che Chiesa sia cresciuto sui campi da calcio sin da quando era bambino. I suoi primi calci li ha tirati alla Settignanese, la società che ha lanciato anche Tonelli, allenato addirittura dalla leggenda “viola” Kurt Hamrin. Maurizio Romei, un altro dei suoi primi allenatori, sottolinea che la caratteristica che lo accomuna al padre è la capacità di calciare con entrambi i piedi.

 

Per ora fa impressione soprattutto la capacità di Chiesa di essere diventato così influente in poco tempo sul gioco della Fiorentina, di essere cresciuto al semplice contatto con il livello più alto. Nella partita esterna contro il Chievo, la sua migliore finora, ha toccato quasi lo stesso numero di palloni di Borja Valero e Badelj. Il problema, per ora, è anche il numero delle sue palle perse in zone pericolose del campo (in questo caso ad esempio, o in questo). Un altro segno delle sue difficoltà quando è costretto a pensare troppo.

 

Chiesa ha giocato per ora meno di 500 minuti in Serie A ed è ancora difficile farsi un’idea completa su di lui. Qualche giorno fa il suo nome è stato accostato alla Juventus, lui ha dichiarato di voler rimanere alla Fiorentina per sempre e nel frattempo Giampiero Ventura ha già detto che lo porterà al prossimo stage della Nazionale. Segno che ha superato il primo e più grosso scoglio della propria formazione calcistica, quello di non essere più “figlio di”.

 

Forse proprio perché viviamo in una società fluida e con pochi punti di riferimento siamo ancora affascinati alle storie dinastiche, e in queste prime partite abbiamo fatto di tutto per scoprire tracce del padre nel figlio. Il giovane Chiesa però, ha fatto di tutto per smentirci: nessun tiro a giro sul secondo palo, nessun missile che spacca le porte. È evidente invece che appartiene a un’epoca calcistica in cui il talento puro – di cui abbondava il padre Enrico – non basta di per sé ad emergere ad alti livelli.

 

L’esuberanza atletica, oltre all’inverosimile maturità mentale, è ciò che per ora ha portato Federico Chiesa ad avere un forte impatto nel nostro campionato, ma è anche ciò che lo rende per ora un giocatore monodimensionale. La quantità di idee e di dimensioni che saprà aggiungere alla propria forza atletica definirà lo spessore calcistico di Chiesa.

 

Come si dice in questi in casi?

Il tempo è dalla sua parte.

 

 

Tags : ACF Fiorentinafederico chiesa

Emanuele Atturo è nato a Roma (1988). Laureato in Semiotica, è caporedattore de l'Ultimo Uomo. Ha scritto "Roger Federer è esistito davvero" (66thand2nd, 2021).

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