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Chi mal comincia
28 ago 2014
28 ago 2014
L'eliminazione del Napoli nei Preliminari di Champions League è l'ennesima dimostrazione che c'è qualcosa che non va nel calcio italiano.
(articolo)
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INTRODUZIONE

Quindi saranno soltanto due le squadre italiane presenti nell’urna più prestigiosa, a Nyon. Juventus e Roma avevano già acquisito il diritto di giocare la fase a gironi della Champions League 2014-15. Non ci sarà il Napoli di Rafa Benitez, che è stato eliminato nel turno preliminare dall'Athletic Bilbao, dopo il 3-1 esterno di ieri sera e il pareggio 1-1 della settimana scorsa al San Paolo. Non è la prima volta che una squadra italiana viene estromessa prima dei sorteggi, clamorosa fu l’eliminazione dell’Udinese di Guidolin nel 2011: dopo aver giocato bene a Londra sul campo dell’Arsenal all’andata perdendo 1-0, i friulani persero anche in casa, 1-2, giocando ancora meglio e con un errore decisivo dal dischetto di Totò Di Natale. Ma il rammarico per l’eliminazione dei Partenopei è addirittura maggiore: nella scorsa edizione il Napoli mostrò gioco e carattere, riuscendo a battere i vice-campioni in carica del Borussia Dortmund e proprio l’Arsenal; non si qualificò alla fase finale per la differenza reti e fu la prima volta nella storia della competizione per una squadra con 12 punti. Inoltre gli Azzurri sono usciti parecchio ridimensionati nelle proprie ambizioni dal match di ritorno a Bilbao. Come ha fatto una buona squadra come l’Athletic, con ottimi giocatori ma senza vere e proprie stelle (o comunque, diciamo, come giocatori il Napoli era migliore), a mettere in scacco la squadra di Benitez? C’è qualcosa di più dietro agli errori individuali visti ieri sera al San Mames.

Il Napoli in Champions mancherà anche per il suo pubblico. È stato sfortunato abbastanza però da pescare una delle poche squadre che anche sotto questo aspetto ha poco da invidiare.

IL PRESSING

I primi quarantacinque minuti di gioco delle partite di andata e ritorno hanno avuto un andamento molto simile. Il piano tattico dell’Athletic era chiaro: ostacolare l’inizio dell’azione del Napoli andando a pressare alti i quattro giocatori deputati all’impostazione: i due mediani – Jorginho e Gargano – e i due centrali di difesa – Albiol e Koulibaly. Nella partita di andata i baschi hanno pressato gli avversari facendo però attenzione a mantenere le distanze dei reparti (gli uomini di Valverde erano praticamente tutti in meno di quaranta metri di campo).

Ieri sera invece l’Athletic ha elevato di gran lunga il livello della propria aggressività: il pressing dei baschi era portato uomo contro uomo in tutta la metà campo napoletana, ma particolare cura è stata riservata proprio a Jorginho, ritenuto l’uomo d’ordine da disinnescare a tutti i costi. Il regista brasiliano veniva preso in consegna da Mikel Rico in prima battuta e raddoppiato successivamente da Beñat. Jorginho ha così completato una percentuale di passaggi del 83%, più bassa del 89% di passaggi riusciti in tutto lo scorso campionato. In entrambe le partite, i calciatori partenopei hanno abusato dei lanci lunghi – ben 30 eseguiti col 66% di successo – per sfuggire alla pressione degli avversari, finendo in pratica per regalare il possesso. Nelle rare occasioni in cui il Napoli è riuscito a far arrivare il pallone sugli esterni, quelli dell’Athletic sono riusciti quasi sempre a fermare l’azione con un fallo ed avere così la possibilità di recuperare le proprie posizioni.

Il pressing immediato dell'Athletic nella partita di ritorno al San Mames.

Il Napoli ha giocato per quarantacinque minuti in apnea, rincorrendo e scappando da avversari più in forma senza riuscire a scaricare verso i propri attaccanti per permettere ai propri difensori di recuperare. E’ vero, gli Azzurri a Bilbao sono arrivati per lo meno all’intervallo col risultato sullo 0-0, concedendo in fin dei conti occasioni vere solo sui calci piazzati. Ma in questo modo hanno finito per bruciare energie nervose e fisiche, dettaglio fondamentale nella gestione del match e negli episodi.

Gli uomini di Benitez non si sono allungati sul campo, come subito avevano fatto al San Paolo, e questo è indice del fatto che la condizione fisica, in soli sei giorni, è comunque salita di livello. A proposito della partita di andata, è stata netta la sensazione che il Napoli sia riuscito a far gioco proprio quando la pressione del Athletic è calata e, a parità di corsa, la qualità tecnica superiore degli Azzurri ha iniziato a fare la differenza. Il Napoli ha raggiunto il pareggio con Higuain e avrebbe meritato il raddoppio con Callejon. La differente freschezza atletica non può essere imputata alla differente età anagrafica: i dieci uomini di movimento di entrambe le squadre avevano la stessa età media, 26.5 anni. E’ vero però che in Spagna il campionato è partito sette giorni prima della nostra Serie A e Benitez non ha potuto lavorare con i reduci dal Mondiale brasiliano. C’è stato un altro fattore che è risultato altrettanto determinante.

L'INTENSITÀ

L’Athletic ha giocato con un’intensità superiore all’avversario: in ogni fase di gioco, i Baschi hanno superato il Napoli per attenzione, per aggressività, per numero di giocatori coinvolti. Prendiamo come esempio la ripresa dell’azione con una rimessa dal fondo: almeno quattro baschi circondavano l’area di rigore del Napoli, costringendo il portiere Rafael ad assumersi un rischio o a calciare lungo; i difensori del Athletic, posizionati molto in alto nel cerchio di centrocampo, sovrastavano nei colpi di testa gli avversari: il possesso del Napoli durava pochi secondi. Nella stessa situazione di gioco, il solo Higuain provava a portare un pressing solitario e veniva regolarmente messo in mezzo dai due centrali e dal regista basso Iturraspe.

Le difficoltà del Napoli all'inizio dell'azione. L'uomo libero è Maggio, con Muniain non distante. Higuain resta da solo contro i due centrali per ricevere l'eventuale lancio lungo.

Nell’unica occasione nella quale l’Athletic ha mancato di intensità, è subito diventata una squadra “normale” ed ha preso gol: al quarantasettesimo, Rico e Beñat ripiegano all’indietro anziché andare a chiudere in avanti, come sempre avevano fatto fino a quel momento. Jorginho può così ricevere palla sulla trequarti avversaria: il brasiliano è libero di alzare la testa e fare gioco praticamente per la prima volta in una partita e mezza. Vede lo scatto di Callejon e prova a servirlo alle spalle della difesa basca. Il terzino Balenziaga, in affanno, colpisce di testa andando all’indietro e spazza il pallone centralmente dove Hamsik può controllarlo e metterlo con un sinistro preciso alle spalle del portiere Iraizoz.

La mancata chiusura su Jorginho è determinante per il gol dell’illusorio vantaggio napoletano.

L’Athletic ha pareggiato dopo poco grazie ad un errore grossolano nella gestione delle marcature su calcio d’angolo – è chiaro a tutti il modo in cui Maggio perde Aduriz, con la complicità del blocco di Britos. Da questo momento i napoletani escono mentalmente dalla partita (lo stesso Maggio lo sottolinea nell’intervista post-partita) e arrivano altri due gol: ma sarebbe poco utile soffermarsi sul singolo episodio – l’errore sul corner – a fare la differenza è stato l’intero andamento del doppio confronto.

Le Grandi d’Italia non sono abituate a questi livelli di intensità perché nel nostro campionato nessuna squadra, soprattutto quelle di seconda fascia ma non solo, prova a giocare contro le prime della classe in modo aggressivo. Certe situazioni di gioco sembrano essere ignorate nel lavoro in allenamento dai nostri club, ma probabilmente è anche una questione culturale (sopratutto se il confronto lo facciamo con il livello di intensità del calcio inglese). L’ultima squadra che in Italia ha provato a giocare ad altissimi livelli di intensità è stata la prima Juventus di Antonio Conte, stagione 2011-12. La squadra torinese veniva da due settimi posti e mostrò caratteristiche differenti rispetto agli anni precedenti: pressione alta ai limiti dell’area avversaria, raddoppi continui sul portatore di palla. I quotidiani notarono il cambiamento e mostrarono apprezzamento a modo loro titolando “Juve provinciale”, utilizzando un aggettivo che porta con sé anche una certa accezione negativa e che, per quanto detto sopra, è paradossale. A nessuno venne in mente di titolare “Juve europea” oppure “Juve vincente”.

Una dimostrazione lampante ci è stata data martedì sera: il nuovo Manchester United di Van Gaal preso a schiaffi in Coppa di Lega dai carneadi del MK Dons, una squadra che milita in League One (la nostra Lega Pro). Quelli del Dons hanno giocato con un’intensità, venendo ad aggredire gli avversari che provavano ad iniziar gioco fin dentro la loro area di rigore. Anche lo United ha subito gol per errori individuali della difesa (e forse con il Napoli condivide la difficoltà di iniziare il gioco con la difesa schierata) : ma non è un caso, nel tennis parleremmo di “errori forzati” dal gioco dell’avversario.

A memoria non riesco a trovare un parallelo tra squadre della stessa serie in Italia, figuriamoci tra una squadra di Serie A e una squadra di Lega Pro.

CONCLUSIONI

Lo si dice ormai a ogni occasione ma l'intero movimento calcistico italiano deve cambiare marcia. I nostri preparatori atletici non sono più al top, come avveniva negli anni ’90, ma il cambiamento deve partire prima dalla testa e poi dalle gambe. Si legge spesso che il PSG soffre in Europa perché stravince in un campionato non probante, forse dovremmo cominciare a dire lo stesso della nostra Serie A. Peccato che sia toccato al Napoli uscire così dalla CL, una delle poche squadre capaci di giocare davvero un calcio intenso e aggressivo. La prova sono i confronti diretti tra Napoli e Roma in campionato e coppa Italia, quella è la strada da seguire, e forse non è un caso che entrambe le squadre siano guidate da allenatori stranieri.

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