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Foto Hulton Archive
Calcio Mattia Pianezzi 17 marzo 2018 5'

Chi ha ucciso la media inglese?

Luigi ci ha chiesto che fine ha fatto quella statistica vintage con cui si misurava la forma delle squadre. Risponde Mattia Pianezzi.

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Questo articolo fa parte della rubrica La Posta del cuore, che esce in esclusiva sulla nostra newsletter. Per iscrivervi alla newsletter potete cliccare qui, per farci delle domande – qualsiasi domanda – scrivete a ultimouomomailbag@gmail.com. Grazie, siete preziosissimi.

 

Nell’intervallo di Napoli-Benevento, cullato dagli effetti di una cannetta fatta per smaltire la tensione dovuta alla vittoria della Juventus nel pomeriggio e dal ricordo fresco dell’ennesima magia di Mertens, mi sovviene il ricordo meno fresco dei campionati di quando ero bambino e la vittoria valeva due punti, quando leggevo su Repubblica la classifica che riportava sempre anche la media inglese. La mia domanda è: nell’era dei tre punti, ha ancora senso tenere conto della media inglese?

 

Luigi

 

Risponde Mattia Pianezzi

 

Caro Luigi, la risposta breve è: no. La risposta lunga è: no ma dipende da cosa stiamo cercando di tenere conto, e non sono i tre punti ad aver eliminato l’utilità della media inglese.

 

La media inglese è un sistema di punteggio alternativo e parallelo, teoricamente da mantenersi il più prossimo allo zero o, in casi di eccezionale rendimento, con valori positivi, ai punti classici dei campionati coi gironi all’italiana (con andata e ritorno) che indica l’andamento di una squadra. Una squadra è “in media inglese” quando la sua media inglese è 0. A differenza del sistema classico, questa tiene conto di dove si è tenuta la gara, se in casa o in trasferta, con dei punti assegnati per risultati positivi che sono maggiori se si gioca fuori le mura casalinghe. L’assunto alla base della media inglese è che una squadra che voglia vincere il campionato debba raccogliere il 100% dei punti in casa ed il 50% dei punti fuori casa; in caso di sconfitte o pareggi casalinghi dovrà “rimediare” con vittorie esterne.

 

Fino al 1994, termine dell’era dei due punti a vittoria, la media inglese assegnava 0 punti in caso di vittoria, -1 in caso di pareggio, -2 in caso di sconfitta interna e 1 punto in caso di vittoria, 0 in caso di pareggio e -1 in caso di sconfitta esterna. Dicevo inizialmente che non sono stati i tre punti a far sballare la media inglese, che era stata adattata anche al nuovo sistema di punteggio (perché ci vogliono tre pareggi per recuperare una vittoria, e non due come in precedenza): 0 punti in caso di vittoria, -2 in caso di pareggio, -3 in caso di sconfitta interna e 2 punto in caso di vittoria, 0 in caso di pareggio e -1 in caso di sconfitta esterna; la media inglese funzionava ancora.

 

Ad aver insabbiato la media inglese è stato ben altro. Azzarderei che la prima mina alle fondamenta di questo sistema di conto è stata la modifica al regolamento dei portieri del 1992, quando si impedì loro di prendere la palla con le mani sul retropassaggio in seguito ad alcune tattiche esplicitamente furbe durante i mondiali di Italia ’90, con delle perdite di tempo reiterate e inarrestabili dei portieri. L’ultimo retropassaggio avvenne in un Danimarca Germania degli Europei del 1992; da lì in poi quella sorta di galanteria d’altri tempi che portava tutte le squadre a giocare alla ricerca del pareggio fuori casa e i padroni di casa a fare risultato e perdere tempo fu bandita. Forse è stato quello il momento in cui è risorta un’attitudine al calcio più corsara – sfruttata per primo dal Milan di Capello, già preparato grazie al lavoro di Sacchi che si prese due campionati e una Champions League tra il ’93 e il ’94 – che voleva fare gioco e vincere sempre.

 

La seconda mina è l’allargamento del roster del campionato, mosso da 16 a 18 e infine a 20 squadre, che ha portato all’aumento del dislivello tra i grandissimi e le piccole (da anni almeno una neopromossa all’anno ricade in Serie B a fine stagione) – per l’assunto di base della media inglese, il Napoli dovrebbe presentarsi a Ferrara con la SPAL non disdegnando l’idea di un pareggio. Il dislivello fra i pochi grandi club di un campionato e tutti gli altri rende impensabile un andamento nettamente diversificato fra partite in casa e trasferta.

 

Facciamo un esempio: la Juventus dei record di Conte, quella dei 102 punti, ha come media inglese +26: un’autentica mostruosità. Se si considerano solo gli ultimi 5 anni (diciamo da dopo calciopoli) di Serie A, la media punti a partita guadagnati dalle prime in classifica è cresciuta rispetto al periodo 1994-1999, da 2,09 a 2,37. Volendo, causa e conseguenza dei due fattori precedenti, c’è anche da considerare il declino del fattore campo, che ha visto da ventitré stagioni a questa parte un restringersi del rapporto, in particolar modo negli ultimi sette anni, tra le vittorie fuori casa e quelle in casa: si vince sempre di più fuori. Per tutte queste ragioni la media inglese non è più un dato affidabile per farci capire chi ha il passo buono per vincere il tricolore.

 

La media inglese è stata ed è una misura tarata sulla realtà, non un valore assoluto a cui la realtà deve sottostare. Insomma è una convenzione, ma tutto il nostro mondo è fatto di convenzioni: sapevi che il secondo, inteso come unità temporale, viene definito come la durata di 9.192.631.770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra due livelli iperfini, da (F=4, MF=0) a (F=3, MF=0), dello stato fondamentale dell’isotopo 133 dell’atomo di cesio, e che il metro non è nient’altro che la distanza percorsa dalla luce nel vuoto in un intervallo di tempo pari a 1/299.792.458 di secondo? Noi ce la prendiamo comoda, e li usiamo come convenzioni.

 

Voglio quindi lasciarti con una nota di speranza: possiamo utilizzare ancora la media inglese, c’è ancora spazio per lei, basta trovarle un posto o qualcosa da indicare! Purtroppo, con le fluttuazioni odierne e i pochi dati a disposizione non sono riuscito a confermare che l’arrivare a fine stagione in media inglese intorno allo 0 sia sinonimo di qualificazione in Champions League; ovviamente aiuta, e ovviamente chi ha la media inglese più alta solitamente vince il campionato, oltre a qualificarsi alle coppe, ma non sono riuscito a trovare ricorrenze tra i numeri della lista dell’Europa che conta. Forse tocca proporre, caro Luigi, una nuova ritaratura della media inglese basata sulla media punti delle prime in campionato e su nuovi assunti di punteggi in casa o trasferta, con un complesso sistema di valutazioni e momenti e avversari. Siamo pronti a ritrattare tutto, come sempre.

 

Altrimenti, visto che le cose si farebbero un tantino complicate, possiamo usare la media inglese come l’utopia: Galeano, uno che di pallone ha scritto qualche riga, diceva che l’utopia, come l’orizzonte, anche se non si raggiunge mai serve a continuare a camminare. E allora, se tanto sappiamo che più alta è la media inglese e migliore è il rendimento della nostra squadra, di cos’altro abbiamo bisogno per camminare?

Tags : la posta del cuoremedia inglese

Mattia Pianezzi scrive di pallone anche per Crampi Sportivi, di musica per Deer Waves e DUDE Mag, ispirato da Simon Reynolds e Zalayeta.

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