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Nell'intervallo di Napoli-Benevento, cullato dagli effetti di una cannetta fatta per smaltire la tensione dovuta alla vittoria della Juventus nel pomeriggio e dal ricordo fresco dell'ennesima magia di Mertens, mi sovviene il ricordo meno fresco dei campionati di quando ero bambino e la vittoria valeva due punti, quando leggevo su Repubblica la classifica che riportava sempre anche la media inglese. La mia domanda è: nell'era dei tre punti, ha ancora senso tenere conto della media inglese?
Luigi
Risponde Mattia Pianezzi
Caro Luigi, la risposta breve è: no. La risposta lunga è: no ma dipende da cosa stiamo cercando di tenere conto, e non sono i tre punti ad aver eliminato l’utilità della media inglese.
La media inglese è un sistema di punteggio alternativo e parallelo, teoricamente da mantenersi il più prossimo allo zero o, in casi di eccezionale rendimento, con valori positivi, ai punti classici dei campionati coi gironi all’italiana (con andata e ritorno) che indica l’andamento di una squadra. Una squadra è “in media inglese” quando la sua media inglese è 0. A differenza del sistema classico, questa tiene conto di dove si è tenuta la gara, se in casa o in trasferta, con dei punti assegnati per risultati positivi che sono maggiori se si gioca fuori le mura casalinghe. L'assunto alla base della media inglese è che una squadra che voglia vincere il campionato debba raccogliere il 100% dei punti in casa ed il 50% dei punti fuori casa; in caso di sconfitte o pareggi casalinghi dovrà “rimediare” con vittorie esterne.
Fino al 1994, termine dell’era dei due punti a vittoria, la media inglese assegnava 0 punti in caso di vittoria, -1 in caso di pareggio, -2 in caso di sconfitta interna e 1 punto in caso di vittoria, 0 in caso di pareggio e -1 in caso di sconfitta esterna. Dicevo inizialmente che non sono stati i tre punti a far sballare la media inglese, che era stata adattata anche al nuovo sistema di punteggio (perché ci vogliono tre pareggi per recuperare una vittoria, e non due come in precedenza): 0 punti in caso di vittoria, -2 in caso di pareggio, -3 in caso di sconfitta interna e 2 punto in caso di vittoria, 0 in caso di pareggio e -1 in caso di sconfitta esterna; la media inglese funzionava ancora.
Ad aver insabbiato la media inglese è stato ben altro. Azzarderei che la prima mina alle fondamenta di questo sistema di conto è stata la modifica al regolamento dei portieri del 1992, quando si impedì loro di prendere la palla con le mani sul retropassaggio in seguito ad alcune tattiche esplicitamente furbe durante i mondiali di Italia ’90, con delle perdite di tempo reiterate e inarrestabili dei portieri. L’ultimo retropassaggio avvenne in un Danimarca Germania degli Europei del 1992; da lì in poi quella sorta di galanteria d’altri tempi che portava tutte le squadre a giocare alla ricerca del pareggio fuori casa e i padroni di casa a fare risultato e perdere tempo fu bandita. Forse è stato quello il momento in cui è risorta un’attitudine al calcio più corsara – sfruttata per primo dal Milan di Capello, già preparato grazie al lavoro di Sacchi che si prese due campionati e una Champions League tra il ’93 e il ’94 – che voleva fare gioco e vincere sempre.
La seconda mina è l’allargamento del roster del campionato, mosso da 16 a 18 e infine a 20 squadre, che ha portato all’aumento del dislivello tra i grandissimi e le piccole (da anni almeno una neopromossa all’anno ricade in Serie B a fine stagione) – per l’assunto di base della media inglese, il Napoli dovrebbe presentarsi a Ferrara con la SPAL non disdegnando l’idea di un pareggio. Il dislivello fra i pochi grandi club di un campionato e tutti gli altri rende impensabile un andamento nettamente diversificato fra partite in casa e trasferta.
Facciamo un esempio: la Juventus dei record di Conte, quella dei 102 punti, ha come media inglese +26: un’autentica mostruosità. Se si considerano solo gli ultimi 5 anni (diciamo da dopo calciopoli) di Serie A, la media punti a partita guadagnati dalle prime in classifica è cresciuta rispetto al periodo 1994-1999, da 2,09 a 2,37. Volendo, causa e conseguenza dei due fattori precedenti, c’è anche da considerare il declino del fattore campo, che ha visto da ventitré stagioni a questa parte un restringersi del rapporto, in particolar modo negli ultimi sette anni, tra le vittorie fuori casa e quelle in casa: si vince sempre di più fuori. Per tutte queste ragioni la media inglese non è più un dato affidabile per farci capire chi ha il passo buono per vincere il tricolore.
La media inglese è stata ed è una misura tarata sulla realtà, non un valore assoluto a cui la realtà deve sottostare. Insomma è una convenzione, ma tutto il nostro mondo è fatto di convenzioni: sapevi che il secondo, inteso come unità temporale, viene definito come la durata di 9.192.631.770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra due livelli iperfini, da (F=4, MF=0) a (F=3, MF=0), dello stato fondamentale dell’isotopo 133 dell’atomo di cesio, e che il metro non è nient’altro che la distanza percorsa dalla luce nel vuoto in un intervallo di tempo pari a 1/299.792.458 di secondo? Noi ce la prendiamo comoda, e li usiamo come convenzioni.
Voglio quindi lasciarti con una nota di speranza: possiamo utilizzare ancora la media inglese, c’è ancora spazio per lei, basta trovarle un posto o qualcosa da indicare! Purtroppo, con le fluttuazioni odierne e i pochi dati a disposizione non sono riuscito a confermare che l’arrivare a fine stagione in media inglese intorno allo 0 sia sinonimo di qualificazione in Champions League; ovviamente aiuta, e ovviamente chi ha la media inglese più alta solitamente vince il campionato, oltre a qualificarsi alle coppe, ma non sono riuscito a trovare ricorrenze tra i numeri della lista dell’Europa che conta. Forse tocca proporre, caro Luigi, una nuova ritaratura della media inglese basata sulla media punti delle prime in campionato e su nuovi assunti di punteggi in casa o trasferta, con un complesso sistema di valutazioni e momenti e avversari. Siamo pronti a ritrattare tutto, come sempre.
Altrimenti, visto che le cose si farebbero un tantino complicate, possiamo usare la media inglese come l’utopia: Galeano, uno che di pallone ha scritto qualche riga, diceva che l’utopia, come l’orizzonte, anche se non si raggiunge mai serve a continuare a camminare. E allora, se tanto sappiamo che più alta è la media inglese e migliore è il rendimento della nostra squadra, di cos’altro abbiamo bisogno per camminare?