Chi ha perso il 2016?
Arrivati alla fine, chi è stato il peggiore dell’anno sportivo?
- Jeff Fisher
Il 2016 per Jeff Fisher e i suoi Rams sembrava l’anno della definitiva consacrazione, o quantomeno l’anno che avrebbe sancito l’uscita dalle sabbie mobili della mediocrità che aveva accompagnato il binomio negli ultimi 4 anni. Il trasferimento dalla piccola e innocua St.Louis alle luci della ribalta di Los Angeles, un nuovo giovane quarterback californiano draftato alla #1, un’estensione del contratto fino al 2018: c’erano tutti gli elementi per evitare l’ennesima “7-9 season”. Ma appena raggiunta la nona sconfitta stagionale (dopo appena 13 partite), e raggiunta la matematicità dell’ennesima stagione da 7-9 (o ben peggio come si stava avviando ad essere), la spada di Damocle sulla sua testa è caduta.
La discutibile scelta di far accomodare in panchina la prima scelta assoluta per metà stagione e la completa involuzione di quel poco che aveva funzionato offensivamente nel 2015 (con un Todd Gurley completamente asettico) sono stati, insieme alla carenza di risultati, i due punti focali per suo licenziamento.
Fisher lascia così i Rams dopo 5 stagioni negative, dopo aver raccolto appena 31 vittorie e dopo aver raggiunto Dan Reeves come allenatore con più sconfitte della storia della NFL (centosessantacinque). E deve ringraziare i Rams per il licenziamento anticipato: gli hanno evitato il primato solitario.
(MT)
- Nick Kyrgios
In realtà attualmente Nick Kyrgios ha il miglior ranking della sua carriera. È tredicesimo della classifica ATP e nel 2016 ha vinto i suoi primi tre titoli: Marsiglia, Atlanta e Tokyo. Il punto è che dovremmo accettare certe vittorie di Kyrgios come una conseguenza naturale del talento più debordante del circuito e tutte le sue sconfitte – a parte rare eccezioni (Murray a Wimbledon) – come occasioni perse. Stiamo tutti aspettando che Kyrgios risolva i suoi problemi di mitomania, bipolarismo e arroganza, e il 2016 è stato l’anno in cui, in questo senso, ha toccato il fondo. È l’anno delle tre racchette spaccate consecutivamente; è l’anno dello sbrocco contro la musica agli Australian Open contro Berdych. Soprattutto è l’anno in cui ha mancato di rispetto al pubblico, al suo avversario e al tennis in generale nell’incontro con Mischa Zverev:
Dopo questa incredibile sceneggiata Kyrgios è stato squalificato per otto settimane, finendo in anticipo la stagione. Ha dichiarato che si servirà delle cure di uno psicologo per rimettersi a posto.
(EA)
- Jorge Mendes
Per la santa trinità calcistica lusitana Mourinho-Cristiano Ronaldo-Mendes (rispettivamente padre, figlio e spirito santo) il 2016 potrebbe essere stato l’anno del canto del cigno. È vero: il Portogallo ha vinto gli Europei per la prima volta nella sua storia, CR7 è tornato a mettere le sue mani sul Pallone d’Oro e Mourinho, alla fine, rimane l’allenatore di una delle squadre più importanti al mondo.
Ma se ci spostiamo dall’attualità alla futuribilità, questo affresco rappresenta davvero un successo o nasconde in realtà un sorriso malinconico à-la-Monna Lisa? Non possiamo avere certezze oggi, ovviamente, ma se Mourinho e Cristiano Ronaldo avessero davvero iniziato la discesa verso il declino sportivo cosa ne rimarrebbe dello spirito santo Mendes?
Già oggi l’agente portoghese non se la passa benissimo. Mendes nell’immaginario collettivo è passato da essere il più vincente, ricco e invidiato agente calcistico ad essere un’entità oscura, losca e poco raccomandabile. Football Leaks ha messo ancora di più in luce la sua torbida relazione con le TPO e col concetto di elusione fiscale, che sono state il vero e proprio bersaglio della indignazione calcistica globale dopo lo scandalo Allardyce.
Sportivamente, anche al di là delle situazioni Mourinho e CR7, Mendes sembra non riuscire più a trasformare tutto ciò che tocca in oro: James Rodriguez è in rotta di collisione da mesi con il Real, Di Maria non riesce più a ritrovare se stesso da quando ha abbandonato la Casa Blanca, e anche le stelline, Renato Sanches e Bernardo Silva, non sono finite in rampa di lancio come ci si aspettava. Mendes in estate è passato dalla mirabolante possibilità di acquistare il Milan alla triste realtà di controllare il mercato del Middlesbrough, il tutto condito con alcune operazioni surreali come quella che ha portato Negredo in Premier.
La trinità non esiste senza unità. Venendo meno padre e figlio, anche lo spirito santo potrebbe presto dissolversi.
(DS)
- Geoffrey Kondogbia
«Ah, ma è come Kondogbia!». Può darsi che in fondo il 2016 sia solo l’anno in cui sono diventato vecchio, e ho iniziato a scambiare le metafore pallonare per raffinata forma di umorismo, ma quando un amico, qualche giorno fa, mi ha introdotto il concetto di «credito deteriorato», io non ho potuto fare a meno di figurarmi il numero 7 in maglia neroazzurra. Non che fosse un concetto particolarmente complesso, ma è un concetto che torna utile per spiegare l’unicità dell’operazione Kondogbia, ciò che la rende autenticamente speciale.
I crediti deteriorati sono crediti che le banche non riescono a liquidare parzialmente o completamente per insolvenza del debitore, e rimangono lì ad appesantire il bilancio fin quando un investitore decide di acquistare quel credito, indicativamente per una cifra tra il 20% e il 40% del valore lordo. Molte banche conservano a bilancio questi crediti, di conseguenza la Banca d’Italia registra una presenza di crediti deteriorati che è quattro, cinque volte superiore rispetto alle altre potenze europee.
Nel 2016, Kondogbia ha giocato 22 partite, e in queste l’Inter ha raccolto 34 punti, ovvero una media inferiore dell’1,86% (poco, a dire il vero) alla media punti complessiva nell’anno solare, 61 punti in 39 partite. Ha ricoperto tutti i ruoli possibili, mezzala sinistra, mezzala destra, vertice basso, all’interno di un centrocampo a tre o di un centrocampo a due. Sicuramente è parso «un giocatore fuori posto, nella squadra e nel campionato sbagliato», ma le sue caratteristiche peculiari, ovvero la protezione della palla, praticamente l’unico fondamentale del gioco del calcio in cui eccelle, non sono sufficienti a spiegare la sensazione di amarezza che si prova nel vedergli passare il pallone, che dai suoi piedi esce sempre un po’ più sporco, un po’ più lento, un po’ più impreciso. È una sensazione simile a quella che si prova quando deve difendere in campo aperto, quando deve coprire una linea di passaggio, quando deve attaccare uno spazio vuoto.
Con ogni probabilità, nel 2017 Kondogbia rimarrà all’Inter. Io credo possa rimanerci anche nel 2018. Il quadriennale che ha firmato è vincolante: all’Inter non conviene cederlo per non andare incontro a minusvalenza certa, al mercato estero non conviene accettare le cifre dell’Inter finché Kondogbia non dimostrerà di poter valere l’investimento. È il differenziale domanda-offerta che provavano a spiegarmi, quello che ha intasato il sistema bancario italiano contemporaneamente alla rosa dell’Inter (di quelli che vale la pena cedere, quindi certamente non Icardi e Brozovic, quanti in questo momento hanno un vero mercato?). In questo momento, Kondogbia trova più spazio sui quotidiani per le indiscrezioni comiche saltate fuori da Football Leaks che nelle rotazioni del centrocampo di Pioli: quando si dice che le etichette ti si incollano addosso, ecco, a Kondogbia è rimasto incollato il cartellino del prezzo.
(FL)
- Ronda Rousey
In realtà il 2016 di Ronda Rousey è ancora il 2015 di Ronda Rousey, quello della prima sconfitta in carriera, dei pensieri più oscuri che un essere umano possa avere e della cattiveria di internet che si è abbattuta su di lei. Ronda in realtà combatterà il 30 dicembre contro Amanda Nunes e potrebbe uscire all’ultimo momento da questa classifica riprendendosi la sua cintura. Ma il 2016 passato nell’ombra a covare rancore e allenarsi – a giudicare dal suo atteggiamento il giorno della presenza stampa dell’incontro con Nunes, quando è scappata senza rilasciare neanche l’intervista di rito, non è chiaro quale delle due cose abbia fatto con più passione – resterà come una macchia scura sul suo passato non solo sportivo. L’UFC tifa per lei (nei promo Nunes è praticamente assente) ma tifare veramente per lei significa augurarle un 2017 anche in caso di sconfitta.
(DM)
- Di María
Il semplice fatto che un giocatore con il talento per essere costantemente tra i primi 20 giocatori al mondo non sia entrato neanche nella lista preliminare del Pallone d’Oro 2016, premio mainstream per eccellenza, ci dice in modo abbastanza chiaro che l’anno di Di María non sia stato positivo.
Più che il girone d’andata della Ligue 1 chiuso incredibilmente al terzo posto, il motivo per cui Di María è in questa classifica è che proprio quest’anno che Ibrahimovic ha tolto le tende liberando lo spot di leader tecnico e mentale della squadra, lasciando a Di María tutta la libertà per poter tornare ad essere il Di María di Madrid, lui ha scelto di limitare al minimo il numero di volte in cui gioca sul serio dimostrandosi incapace di prendersi la leadership di una squadra d’alto livello.
Quel giocatore dinamico, creativo e tecnico che aveva fatto innamorare l’Europa solo tre anni fa con la maglia del Real Madrid e il cui fallimento a Manchester poteva essere ascritto alla gestione di Van Gaal, ora che ha tutte le libertà del mondo per dominare, si concede con il contagocce. Nel 2016 ha alternato partite maestose come quella contro il Chelsea agli ottavi di Champions League a partite scialbe da ragioniere della fascia come ai quarti contro un Manchester City, o ai gironi contro l’Arsenal, o contro il Monaco in campionato. E se non riesce ad essere leader con il PSG, non riesce neanche a fare da spalla in Nazionale: come in finale di Copa América, dove ha lasciato Messi in balia della difesa del Cile prima di essere sostituito all’ora di gioco.
(DVM)
- Il Newcastle
Ad inizio 2015 il calciomercato del Newcastle era stato, come in tutti gli ultimi anni, tanto pomposo quanto senza costrutto. Erano arrivati Aleksandar Mitrovic, Georginio Winijadum e Chancel Mbemba per una cifra complessiva di 36 milioni di sterline. A questi si sono aggiunti, a gennaio, con la squadra già nel baratro della classifica, Jonjo Shelvey, Henry Saivet e Andros Townsend, per altri 29 milioni. Nel mezzo il licenziamento di Steve McLaren per Rafa Benitez, che con dieci partite rimanenti non è riuscito ad evitare la retrocessione più cara della storia della Premier League. Quest’anno, con la preparazione estiva a disposizione, Benitez – a cui quest’anno il fantasma del natale passato chiederà conto della sua scelta – è riuscito a rimettere la squadra in asse e ora il Newcastle è primo in Championship. Ma non basta ad attenuare il senso di catastrofe della scorsa stagione, e ad evitare al Newcastle di finire in questa classifica.
(EA)
- I Saint Louis Cardinals
È stato un 2016 da dimenticare per i Saint Louis Cardinals. La squadra del Missouri è finita fuori dai playoff dell’Mlb nonostante abbia ottenuto un record vincente (86 vittorie e 76 sconfitte) e abbia chiuso al secondo posto nella Nl Central, dietro solo agli inarrivabili Cubs. Ma per un team che ha raggiunto i playoff 5 volte nelle precedenti 5 stagioni (addirittura 12 volte nelle ultime 16 stagioni), con un titolo (2011), una sconfitta in finale (2013) ed un record di 100 partite vinte soltanto lo scorso anno, il pollice verso è inevitabile.
Sul banco degli imputati è finito il reparto lanciatori, artefice nelle scorse stagioni dei successi dei Cardinals, ma che quest’anno ha collezionato a livello di squadra una Era di 4,08 (12esimo posto dell’Mlb); peggio sono andati i partenti che hanno racimolato una poco invidiabile Era di 4,33 (13esimo posto Mlb). Dati impietosi se confrontati con la Era del 2015: 2,94 di squadra e 2,99 dei partenti. Storicamente la forza dei Cardinals risiede nel cosiddetto farm-system, ovvero nella capacità di tirare fuori giovani talenti dalle squadre delle leghe minori, capaci di imporsi tra i big dell’Mlb. Quest’anno però non è andata esattamente così. Le delusioni maggiori sono arrivate proprio da due potenziali stelle nascenti come Kolten Wong e Randall Grichuk. Ma l’età è dalla loro, si rifaranno presto, magari già dal 2017.
(NP)
- Maria Sharapova
A inizio marzo Maria Sharapova è dovuta discendere fra noi umani per ammettere di aver fatto uso di sostanze che la WADA aveva etichettato come “dopanti”. Il Meldonium, il farmaco che è stato al centro del mega scandalo che ha coinvolto la federazione russa. Lo ha fatto cercando di sporcarsi il meno possibile, scegliendo l’equilibrio migliore tra leggera mortificazione e aristocratico disincanto: «So che molti di voi pensavano che oggi avrei annunciato il mio ritiro, ma se mai lo avessi fatto non sarebbe certo stato in un hotel a Los Angeles downtown, con questo tappeto orribile». Ad ottobre la squalifica ha preso la sua forma definitiva: un anno e tre mesi, con possibile ritorno in campo ad aprile 2017. La russa ha definito il giorno della notizia: “il più bello della sua vita”.
Maria Sharapova ad inizio 2016 aveva perso l’ennesima sfida con Serena Williams, portando il bilancio a 2 vittorie e 19 sconfitte. Non vince uno slam da più di due anni e ne ha vinti appena tre negli ultimi dieci. Nel 2016 ha perso però anche parte di quella grazia ultraterrena che aveva fatto sembrare le sue sconfitte in un certo senso colpa della volgarità del mondo.
(EA)
- Manolo Gabbiadini
Nel 2016 la nostra percezione su Gabbiadini si è completamente ribaltata. Fino a dodici mesi fa era considerato semplicemente molto sfortunato: la migliore riserva di lusso per il miglior centravanti del nostro campionato. Capace di tenere una media gol irreale nelle finestre di partita che il Napoli gli concedeva. Al punto che sembrava potesse essere lui, in fondo, la migliore garanzia per la sostituzione di Higuain: dopo essersi lavorato il posto per due anni doveva essere il suo momento. Ma quella che sembrava essere una bella opportunità si è trasformata nella più luminosa prova della sua inadeguatezza, esplosa in due momenti:
- Quando il Napoli ha deciso di investire più di 30 milioni per Milik, declassando di nuovo Gabbiadini a fare la riserva di un centravanti persino più giovane di lui.
- Quando, dopo l’infortunio di Milik, Gabbiadini ha giocato così male da portare Sarri a scegliere di schierare addirittura Mertens da falso nove.
Uno dei rari fotogrammi di un Gabbiadini sorridente.
A 24 anni Gabbiadini era stato acquistato dal Napoli per 13 milioni di euro. Due mesi dopo ha esordito in una partita ufficiale con la Nazionale. Due anni dopo non si capisce neanche che giocatore è e in che cosa potrebbe essere utile. Troppo bravo nei fondamentali calcistici per considerarlo davvero scarso; troppo inadeguato nei movimenti senza palla per poter giocare da unico centravanti. Anche nei momenti migliori della sua carriera, Gabbiadini sta al mondo con quest’aria così seria da arrivare al confine con la vera e propria depressione. Un tipo di presenza particolarmente stonata nel contesto napoletano, e che in questo momento amplifica la complessiva negatività che lo circonda. Guardate se questa non è la faccia di uno che ha perso il 2016. Nel 2017 il Napoli proverà a venderlo, e lui proverà a tornare ad essere un giocatore di calcio: non dovrebbe teoricamente essere difficile per uno che calcia la palla in questo modo.
(EA)