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Dario Pergolizzi
Chi ha paura dell'Arsenal?
08 mar 2018
08 mar 2018
La squadra di Wenger sta avendo una stagione complicata, e la sfida con il Milan è già decisiva.
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Dario Pergolizzi
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Nel corso della sua infinita (?) epopea sulla panchina dei Gunners, Arsene Wenger ha avuto modo di utilizzare pressoché qualsiasi sistema di gioco esistente sui manuali di tattica calcistica. Dando per assodato il concetto che i moduli sono solo dei numeri al servizio dei principi di gioco, quello che conta è l’intenzione che accomuna tutte le formazioni dell’allenatore francese, fra i pionieri della verticalizzazione ragionata in Inghilterra. Wenger ha saputo da subito incanalare la potenza inglese al servizio dell’organizzazione di gioco, attraverso drastiche restrizioni alimentari e rigidi allenamenti finalizzati soprattutto al miglioramento delle qualità di passaggio. Insomma, è

sull’autoreferenziale calcio britannico.

 

Oggi però la sua

è in pericolo, Wenger ha cercato di ritrovare innumerevoli volte l’efficacia, nella bellezza, che ha contraddistinto i suoi "Invincibili", con risultati altalenanti e insufficienti

. La versione 2018 dell’Arsenal sembra, dunque, un film già visto: con atavici pregi e difetti ed un’elasticità tattica solo apparente.

 

La scorsa stagione si è chiusa con la conquista della FA Cup ai danni di City (battuto in semifinale) e Chelsea (finale), arrivata in seguito al passaggio al 3-4-2-1, una coda felice che ha spinto Wenger a riproporre lo stesso sistema di gioco anche all’inizio di quella corrente, ma stavolta con esiti nefasti. Wenger è tornato sui suoi passi, riadottando una linea difensiva a 4,

: prima passando per il 4-3-3, poi, all’inizio del 2018 tornando in pianta stabile allo storico 4-2-3-1, che pur non portando un’inversione di tendenza nettamente positiva in termini di risultati, ha avuto il pregio di inserire in maniera più funzionale le punte di diamante arrivate in regalo dal mercato invernale: Aubameyang e Mkhitaryan.

 

Di questi due, però, solo il secondo è impiegabile in Europa League (perché Aubameyang ha già giocato in Champions League con la maglia del Borussia Dortmund) il che, unito all’infortunio al ginocchio di Lacazette, obbligherà l’Arsenal a schierare Welbeck da terminale offensivo per gli ottavi di Europa League contro il Milan.

 

La partita con la squadra di Gattuso assume grande importanza all’interno della stagione dell’Arsenal, che dopo la sconfitta in finale di League Cup (

) e la disonorevole eliminazione in FA Cup contro il Nottingham Forrest, rischia di ritrovarsi già a marzo fuori da tutte le competizioni. Ma al di là dell’importanza emotiva della partita, è interessante notare che questa sarà solo la seconda occasione in cui l’Arsenal, uscito rinforzato dal mercato invernale, affronterà un avversario schierato con il 4-3-3.

 

Il primo 4-3-3

, a dir la verità, se consideriamo che l’altro è stato quello del Manchester City

, quello di Premier League. Tuttavia, per quanto possa essere eccezionale la squadra di Guardiola, dall’analisi di quest’ultima sfida possiamo avere conferma di diverse costanti di gioco dell’Arsenal che verranno verosimilmente riproposte anche contro Gattuso.

 



Solitamente la squadra di Wenger comincia l’azione sfruttando la superiorità numerica dei centrali difensivi rispetto all’unica punta in posizione centrale, senza abbassare uno dei due mediani sulla linea di difesa per ottenere un vantaggio numerico. Si forma così un rombo, con Cech vertice basso e Xhaka (uno dei mediani) vertice alto, che fa circolare la palla con calma, dando modo ai terzini di alzarsi simultaneamente.

 


L’Arsenal ricerca la superiorità dietro la prima linea di pressione. Xhaka si muove in funzione del pallone, i terzini (fuori inquadratura) forniscono ampiezza simmetricamente.


 

È un atteggiamento abbastanza rischioso, soprattutto se di fronte c’è un avversario abile nel pressing alto. In generale, il numero di giocatori sulla linea del pallone è sempre molto alto: lo scaglionamento è abbastanza ordinato ma le linee di passaggio sono lunghe e rischiose. Wenger adotta questa scelta per cercare di avere più alternative possibili nella ricerca della verticalità, sua vera ossessione.

 

Xhaka non sta passando un momento felice, per via di prestazioni non all’altezza delle aspettative che lo hanno accompagnato al suo arrivo all’Emirates. Il mediano svizzero si sta dimostrando meno completo del previsto: pur mantenendo la consueta pulizia di passaggio nella circolazione, ha mostrato il fianco soprattutto dal punto di vista del posizionamento difensivo senza palla e dei movimenti a copertura dello sviluppo azione, soffrendo inoltre le situazioni di pressing asfissiante.

 

Per questo Wenger gli ha spesso affiancato nel corso della stagione il più dinamico e duttile Ramsey, oppure Elneny, a scapito di Wilshere che è considerato invece un’alternativa di qualità per la risalita del campo, grazie alla personalità con cui si prende dei rischi anche nella propria metà campo per rompere le linee di pressione creando la superiorità numerica palla al piede.

 

Wilshere funziona come una sorta di alter ego di Özil (che svolge quasi solo compiti di rifinitura o consolidamento nella metà campo avversaria) per catalizzare il possesso: di recente è stato impiegato nel centrocampo a due proprio per la sua qualità, oltre che nella circolazione, nei movimenti senza palla volti a trovare la ricezione al primo spazio utile. Wilshere è forse il riferimento basso più affidabile in situazioni di pressione accentuata sulla costruzione, ma Wenger sembra restio a considerarlo perno nella coppia titolare a causa del bilanciamento complessivo.

 

Una volta consolidato il possesso palla, l’Arsenal procede in avanti cercando soprattutto le vie centrali e gli spazi di mezzo

Di fatto è una squadra che si allunga per allungare a sua volta l’avversario, creando spazi tra le linee che possano agevolare (in assenza di Wilshere) l’abbassamento di Özil a centrocampo, per velocizzare la risalita. Il ruolo del tedesco è cruciale per lo sviluppo dell’azione nella metà campo avversaria, con il compito di avvicinarsi il più possibile al portatore offrendo una sponda, attraendo le marcature avversarie con la certezza di mantenere il possesso una volta che il pallone è arrivato tra i suoi piedi.

 

Il possesso del pallone, nel corridoio centrale e in quelli intermedi, dipende, oltre che ad Özil, anche all’accentramento delle due ali, con i terzini che garantiscono l’ampiezza anche in zona di rifinitura. Sono frequenti, però, anche i cosiddetti

, ossia le sovrapposizioni interne, specie grazie alla spinta fondamentale di Bellerin (che, però, all'andata contro il Milan non ci sarà).

 

Nelle fasi di possesso abbastanza lunghe da consentire il riposizionamento avversario, l’Arsenal prende la forma di un 2-4-4 che cerca la parità numerica offensiva, per sfruttare poi gli uno contro uno tra attaccanti e difensori.

 


Qui sopra un esempio della ricerca della parità numerica offensiva durante le fasi di possesso più consolidato.


 

Con così tanti giocatori portati ad attaccare nella metà campo avversaria, l’Arsenal può sfruttare anche le seconde palle. Nelle ripartenze veloci, poi, può contare sempre sul rimorchio di almeno un mediano e una delle ali, con la difesa avversaria che si ritrova, piatta, a scappare verso la propria porta a palla scoperta. In quelle situazioni sono fondamentali le doti di lettura della profondità dei rifinitori e delle punte, e soprattutto la rapidità di esecuzione per sfruttare ogni esitazione della linea.

 

L’apporto di

alla fase finale della manovra offensiva, al netto dell’attacco alla profondità, ha finora incontrato le medesime difficoltà che si sono abbattute su Lacazette. Da una parte l’Arsenal soffre la mancanza di imprevedibilità dei rifinitori, che contribuisce all’eccessivo isolamento dell’unico riferimento offensivo, dall’altra la mancanza di fisicità di entrambe le punte titolari non permette alla squadra di risalire il campo né di sviluppare con loro un gioco associativo senza timore di perdere il possesso. Va detto anche che il francese, a differenza del gabonese, sembra maggiormente adatto a legare il gioco, compensando una capacità di finalizzare meno implacabile con una tecnica individuale spalle alla porta superiore. Nessuno dei due, però, come detto, potrà essere impiegabile contro il Milan. Sarà dunque il momento di Danny Welbeck, ritrovatosi incredibilmente ad essere il numero 9 più performante dei "Gunners".

 

Welbeck di solito è impiegato partendo dalla posizione di ala sinistra per le caratteristiche fisiche e per l’attenzione tattica nel pressing, ma anche per la sua capacità di stringere dentro al campo. Quando viene schierato da punta centrale, ruolo che sembrerebbe

, garantisce una buona reattività e un atteggiamento partecipativo alla manovra, con una lucidità superiore ai due compagni di squadra citati. Rispetto ad Aubameyang è meno letale nell’attacco degli spazi in profondità, ma rimane comunque una buona soluzione in campo aperto e può fare da riferimento nelle ricezioni spalle alla porta. Inoltre Welbeck partecipa molto di più senza palla, con rincorse continui e raddoppi.

 

In generale, quando si trova senza palla, la squadra di Wenger difende prevalentemente le linee di passaggio, riducendo all’osso la pressione individuale sul portatore nella metà campo avversaria, cercando di orientare l’avversario verso l’esterno del campo. Sulla costruzione avversaria, l’Arsenal si dispone con un nitido 4-2-3-1.

 



 

Qui sopra, contro la disposizione del City non troppo dissimile a quella milanista, l’Arsenal bada soprattutto a coprire la ricezione del playmaker, rinunciando quasi totalmente ad aggredire i centrali difensivi in possesso. Özil è chiamato ad un grande sforzo fisico e mentale per non perdere l’avversario.

 



 

Se l’avversario sposta il possesso sulla zona laterale, per l’Arsenal diventa molto semplice schermare la ricezione verso il centro, e pressare il retropassaggio. A quel punto ci sono due possibilità: se sarà l’esterno d’attacco del 4-3-3 avversario ad abbassarsi per aiutare il terzino avversario nell’uscita, il terzino dell’Arsenal lo aggredirà rapidamente; se invece è una delle due mezzali ad avvicinarsi al portatore, allora ad accorciare sarà uno dei due mediani.

 


L’intensità del pressing e la densità di uomini in zona palla aumenta man mano che l’avversario si avvicina alla propria area. L’obiettivo è riconquistare il possesso con più uomini possibile vicini, per poi poter avere a disposizione la giocata corta pulita, che conservi il nuovo possesso.


 

Se l’avversario, invece, è abile a superare la schermatura verso il centro, e riesce a raggiungere il proprio playmaker, allora sarà la punta dell’Arsenal a raddoppiare al centro, innescando il

che chiama anche i due mediani ad accorciare, con la difesa che deve seguirli per non creare spazio tra i reparti. Purtroppo per Wenger, però, questo meccanismo non sempre funziona alla perfezione: la linea difensiva di Wenger non è abilissima in questo tipo di letture e spesso è troppo lenta a salire, lasciando libertà di ricevere alle spalle del centrocampo.

 

Nelle fasi di difesa posizionale all’interno della loro metà campo, il 4-2-3-1 scivola naturalmente in un 4-4-2 ipoteticamente stretto, volto alla protezione del centro, che rinuncia quasi totalmente alla copertura dell’ampiezza. L’atteggiamento è quello della difesa a zona pura: la linea arretrata è chiamata a muoversi in totale sincronia ed eseguire diagonali quando il terzino esce in aggressione sul portatore.

 

In questi frangenti, spesso, viene a mancare l’intesa tra i reparti non: per una squadra sufficientemente organizzata nella ricerca della superiorità posizionale, trovare la ricezione alle spalle del centrocampo è abbastanza semplice. In questo senso, per il Milan sarà prezioso l’apporto di Suso e Calhanoglu, abituati naturalmente a muoversi per tracce interne.

 

Anche nel gestire le transizioni l’Arsenal è una squadra tutto sommato elementare. Quella offensiva viene affrontata con la ricerca, quando possibile, della verticalizzazione immediata verso uno dei riferimenti avanzati. Le punte partecipano attivamente in fase di non possesso solo fino alla linea di metà campo; per il resto cercano di smarcarsi preventivamente verso la profondità, al fine di non fare accorciare troppo l’avversario.

 

In fase di transizione difensiva, invece, l’Arsenal cerca moderatamente di riconquistare il possesso riaggredendo: siamo ben lontani dai livelli dei maestri del gegenpressing, ma sembra essere la soluzione più naturale per una squadra che accompagna l’offensiva con diversi uomini in zona palla, tra l’altro non particolarmente dotati a livello individuale di una prorompente capacità di riconquista.

 

Tirando le somme, l’Arsenal che affronterà il Milan non sembra un avversario che una squadra ordinata, con carisma appena sufficiente, non possa superare. Anzi, alcune caratteristiche della squadra di Wenger (la tendenza a lasciare spazio tra le linee; quella a sbilanciarsi) sembrano sposarsi bene con il gioco del Milan. Certo, la partita dovrà essere preparata bene e le prestazioni individuali dovranno essere all’altezza del palcoscenico europeo e dell’intensità del calcio inglese. Per sua fortuna, se ci sono due cose di cui Gattuso non difetta, sono proprio l’intensità e la concentrazione.

 

 

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