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I due gol che ci hanno mostrato chi è Cole Palmer
29 mag 2025
Due invenzioni che hanno permesso al Chelsea di vincere la Conference League.
(articolo)
6 min
(copertina)
IMAGO / NurPhoto
(copertina) IMAGO / NurPhoto
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Cole Palmer è il ventenne più pigro del mondo, finché improvvisamente non lo è più. Cole Palmer perde tempo a centrocampo come un coatto fuori scuola, si fa dare la palla dalla difesa come un maranza col piumino troppo grande scrocca le sigarette. Ma poi non ci fa niente, con la palla, finta qualcosa che non fa, alza la gambetta, guarda lontano come se avesse la visione di De Bruyne, ma poi la passa indietro al difensore che gliel’aveva data, o a uno lì vicino. E ti chiedi: ma questo chi si crede di essere? O ce l’hai la visione di De Bruyne, o non ce l’hai. E se non ce l’hai non fare quelle cose, non ti abbassare, stai fermo con quegli stecchi bianchi e lunghi.

Si fa dare palla sui piedi come Messi, o come Lamine Yamal, ma non è neanche un acrobata casinista come Musiala, Cole Palmer inciampa, sbatte su un difensore. Si fa togliere palla da Isco due volte, un giocatore dieci anni più vecchio di lui che sembra infinitamente più vivo, brillante, più desideroso di giocare a calcio. Cole Palmer, usando la più classica delle accuse rivolte ai giocatori come lui, sembra proprio che non abbia voglia di fare quello sforzo in più necessario per decidere una finale europea, anche solo di Conference League.

Guardi Cole Palmer e, ancora, ti chiedi: tutto qui? Io non la vedo questa genialità. E poi ti dici: dal 20 gennaio ha segnato solo un gol e fatto due assist, forse è già finito. Possibile? A ventitré anni? Tutto il suo talento era in quella metà di stagione in cui di gol ne ha segnati quattordici e di assist ne ha fatti sei? Quanto è pigro un giocatore che smette di giocare perché sta giocando troppo bene? Almeno Jude Bellingham si sbatte, è uno che lotta, con le spalle larghe e tutto il resto. Cole Palmer non sembra poter fare molto di più che stare su un divano a guardare la TV.

Cole Palmer è tutto questo; finché improvvisamente non lo è più. Finché non mette in moto le sue gambe lunghe, quegli stecchi bianchi la cui lunghezza è accentuata dal fatto che stira i calzettoni fin sopra il ginocchio - come faceva quell’altro maranza di Philippe Mexes, e si diceva portasse le giarrettiere - e si mangia il campo come se si fosse ricordato, proprio in quel momento, cosa diavolo ci fa in un campo da calcio. Come se di colpo fosse una questione di vita o di morte. Come se avesse capito, solo in quel momento, qual è il suo scopo nella vita.

C’è un bel video di Luis Enrique che dice ai suoi giocatori una cosa tipo: voi non siete speciali, come le persone che salvano le vite eccetera, voi siete solo fortunati ad avere un talento pagato molto bene. Beh, mica è poco. Per Cole Palmer, nei momenti in cui si scrolla di dosso quel vuoto esistenzialista che sembra riempirlo al 90% - è strano, essere riempiti di vuoto, ma è possibile - sembra tutto quello che ha. Cole Palmer: 90% vuoto, 10% genio calcistico assoluto (ottanta minuti a guardare la finale, dieci per vincerla quasi da solo). Quando Cole Palmer si accende diventa la solerzia fatta persona, l’intelligenza con cui legge gli spazi e utilizza la posizione di compagni e avversari è da scacchista; uno scacchista che è anche un pezzo della scacchiera, diciamo il cavallo, per come gli piace muoversi a L.

E Cole Palmer diventa il giocatore più imprevedibile della sua generazione. Così imprevedibile che se a un certo punto si mettesse a correre verso la sua porta, dribblando i suoi compagni, non solo non ci sembrerebbe particolarmente strano, ma penseremmo anche che magari c’è uno scopo, che Cole Palmer ha visto qualcosa. Non avrà la visione di De Bruyne, ma là dove non arriva il suo sguardo ci arriva l’immaginazione.

Al 65esimo minuto di gioco della partita con il Betis, Cole Palmer si abbassa per l’ennesima volta a prendere palla. Addirittura allarga le braccia, gesticola per farsi passare il pallone da Chalobah, anche se dietro di sé c’è l’intera squadra avversaria schierata. Può aver visto qualcosa di interessante che nessun altro ha visto? No. Ma può averlo immaginato. Appena controlla il pallone si gira verso il centro, poi si gira verso l’esterno, poi di nuovo verso il centro. Non sa dove andare e sta giocando a rubabandiera con Jesus Rodriguez che lo marca. Poi però decide di andare a destra, abbassa la testa e fa girare i lunghi stecchi bianchi.

A destra c’è Madueke, praticamente fermo, che deve chiedersi perché Cole Palmer gli sta correndo addosso. Quando Cole Palmer si ferma è in una zona morta di campo, al confine tra metà campo e trequarti, troppo vicino all’esterno per fare qualcosa di pericoloso. O no? Cole Palmer si gira sul sinistro e in quell’esatto momento i tre giocatori sulla linea difensiva del Betis si attivano, spingono sulle punte e attaccano la profondità. Addirittura Jadon Sancho, dalla parte opposta del campo, gli chiede palla. Perché i suoi compagni di squadra sanno che Cole Palmer anche da laggiù per metterci la palla in testa, o sul piede. Cole Palmer è uno di quei giocatori i cui compagni devono solo pensare a correre, che lui in qualche modo li raggiunge.

E così, da una posizione remota di campo, dopo un’ora passata a vagabondare per il campo, Cole Palmer ha scartato un cioccolatino Lindt e lo ha portato alle labbra di Enzo Fernandez. 1-1. A quel punto la partita non è più la stessa e anche Cole Palmer sembra percorso da un’elettricità diversa, sembra un bambino che ha mangiato troppo zucchero e non vuole andare a letto. Inizia a farsi dare ancora più palloni, attacca la difesa con maggiore fretta e urgenza, ma continua a inciampare, a sbattere sulle gambe avversarie. C’è una pericolosità diversa da prima, però, nelle sue intenzioni.

Dieci minuti dopo aver immaginato e disegnato il gol del pareggio, Cole Palmer prende un’altra palla in apparenza innocua, sulla destra, non lontano dal calcio d’angolo. Davanti ha ancora Jesus Rodriguez, con dietro Perraud pronto a raddoppiare. Cole Palmer sembra di nuovo finito nelle sabbie mobili. Torna sul sinistro, forse vuole crossare ma non ha spazio, si ferma, punta il piede, riparte, poi mette la suola sul pallone. Jesus Rodriguez pensa di averlo in pugno, prende contatto con le mani, si appoggia a Cole Palmer come a dire: se ti tocco, non puoi farmi male.

Ma Cole Palmer cambia la sostanza di cui è fatto, in un attimo si trasforma in una folata di vento. Ruota verso sinistra e con la suola dal pallone si mette il pallone dietro. Cole Palmer non c’è più, almeno non per Jesus Rodriguez, che può solo guardargli la schiena, e quello strano 20 sotto al suo nome, che sembra il numero di un 10 che non vuole dire a tutti: sì, ok, sono io il numero 10. Perraud si avvicina ed è troppo tardi.

Cole Palmer, che con il piede destro, fino a quel momento della giornata - mercoledì 28 maggio 2025 - ci aveva tutt’al più salito qualche gradino e portato un pochino palla, crossa così bene per Nicolas Jackson che non deve neanche colpire la palla: è la palla a colpire Nicolas Jackson.

Nicolas Jackson non sa neanche come, con quale parte del corpo, ma ha messo la palla in rete. Gli è bastato correre dietro la schiena di Natan che Cole Palmer lo ha raggiunto, usandolo come una sponda semovente. Cole Palmer, dopo il gol, si gira dalla parte opposta per esultare. Non vuole vedere, non gli interessa. Sorride con quei denti che a fatica tiene nascosti dentro le labbra in condizioni normali e che ora gli prendono tutta la faccia. Dietro di lui, Nicolas Jackson scivola sulle ginocchia, ma Cole Palmer lo ignora e il resto dei compagni non sa bene con chi festeggiare.

Il Chelsea segnerà anche il terzo e il quarto gol, ma Cole Palmer a quel punto non sarà più in campo. Basta, ha fatto il suo. Maresca lo sostituisce e lui può tornare a essere il ventenne più pigro del mondo. Cole Palmer vince il premio di MVP della finale e se lo infila nei pantaloncini, perché «non ho tasche». Da qualche parte a Londra, o a Breslavia dove giocavano, c’era un divano ad aspettarlo, su cui lasciarsi cadere ancora vestito da calcio, senza neanche essersi fatto la doccia.

Cole Palmer, troppo stanco per giocare a calcio un minuto di più del necessario.

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