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Alec Cordolcini
Che squadra è il Feyenoord
24 mag 2022
24 mag 2022
I migliori giocatori, la filosofia dell'allenatore Slot, ma anche il rapporto tra la squadra e la città.
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Alec Cordolcini
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Vent’anni fa il Feyenoord vinceva la Coppa UEFA superando a Rotterdam il Borussia Dortmund. Un successo che ha rappresentato la fine di un’era, sia per la squadra della città portuale che per il calcio olandese, l’ultimo atto prima del declino. Da allora nessuna squadra olandese ha più vinto una competizione europea. Nel 2002 erano passati sette anni dalla sentenza Bosman e c’era ancora l’illusione che intuito, vivaio e capacità tattiche fossero sufficienti a colmare il gap con le squadre dei campionati più ricchi. In quel momento il divario che separava il Feyenoord dall’Inter semifinalista o dallo stesso Borussia Dortmund era già molto presente, ma sembrava ancora sostenibile. Ma in realtà non era così.

 

Nel giro di un paio di stagioni tutti i migliori giocatori di quella squadra se ne erano andati: Jon Dahl Tomasson al Milan, Pierre van Hooijdonk al Fenerbahce, Paul Bosvelt al Manchester City, Robin van Persie all’Arsenal, Shinji Ono al Bochum, Bonaventure Kalou all’Auxerre, Brett Emerton al Blackburn Rovers. È finito tutto in mille pezzi: squadra, società e, più in generale, il calcio di un intero Paese, con la parziale eccezione della Nazionale (seconda a Sudafrica 2010 e terza a Brasile 2014). C’è voluto un decennio abbondante per ritrovare una squadra olandese in una finale europea (l’Ajax di Peter Bosz in Europa League nel 2017), e ancora di più per aggiustare un ranking UEFA sprofondato fino alla 14esima posizione. Un abisso dal quale il Feyenoord, nonostante il titolo vinto nel 2017 dopo 18 anni di attesa, non è mai più risalito, tra bilanci costantemente in perdita e ripetute intemperanze dei tifosi - pagate a caro prezzo dal club tanto sotto il profilo economico, quanto dal punto di vista sportivo - nelle trasferte europee.

 

Da questo punto di vista la finale di Conference League è stata una sorpresa per tutti, prima di tutto per i tifosi del Feyenoord. Perché se è vero che la nuova competizione della UEFA è la Serie C delle coppe europee, è altrettanto indiscutibile che per una squadra battuta negli ultimi anni da Trencin e Wolfsberger non esiste un torneo troppo poco competitivo.

 

https://youtu.be/LUTvC5W0ibo

 

 

Cinque anni fa era stato il Manchester United di José Mourinho a negare la coppa a una squadra olandese, durante la finale di Europa League contro l'Ajax. Lo fece con due semplici mosse: lancio lungo per Marouane Fellaini allo scopo di neutralizzare il pressing dell’Ajax e battaglia fisica in ogni zona del campo. Una strategia alla quale gli uomini di Bosz non avevano saputo trovare una risposta, finendo per perdere la finale come se fosse l’unico possibile risultato. Dopo quella finale l’allenatore portoghese aveva espresso una delle sue massime più celebri: «Nel calcio ci sono molti poeti, ma non vincono molti titoli».

 

Oggi la storia si sta ripetendo con tratti comuni al passato: ancora una volta l’avversario è Mourinho, ancora una volta la squadra olandese è una squadra a trazione fortemente offensiva, guidata da un allenatore olandese dalla limitata esperienza in ambito europeo. Non solo: a differenza di Bosz, che quanto meno da calciatore aveva disputato finali e vinto titoli (Eredivisie e coppa d’Olanda con il Feyenoord), per Arne Slot si tratta della prima finale della propria vita. Ci arriva dopo una stagione al di sopra delle aspettative, non solo per il risultato europeo ma anche per una proposta calcistica attraente, strutturata su pressing e dinamismo e in netta controtendenza rispetto ai recenti predecessori sulla panchina del Feyenoord (Van Bronckhorst, Stam, Advocaat). Pressing e dinamismo che rappresentavano una peculiarità anche dell’Ajax 2016/17 targato Bosz, e che contro il Manchester United non si erano visti. Per come è costruito, il Feyenoord è una squadra che deve osare e deve spingere sempre al massimo. Se non riesce a farlo, rischia tantissimo.

 

Slot è arrivato a Rotterdam la scorsa estate con la fama di valorizzatore, abile nel coniugare risultati sportivi e economici. Quando la Federcalcio olandese decise di annullare la stagione 2019-20 per il Covid-19, il suo Az era in testa alla classifica a pari punti con l'Ajax di Ten Hag. Una squadra i cui punti di forza erano Myron Boadou, Teun Koopmeiners e Calvin Stengs, dalle cui successive cessioni il club di Alkmaar avrebbe ricavato oltre 40 milioni di euro. Al Feyenoord, in un ambiente più ambizioso e elettrico, è riuscito a ripetersi al primo anno, nonostante un budget a disposizione più vicino alle provinciali di lusso olandesi (Az, Vitesse, Utrecht) che non all’élite (Ajax, Psv). Sei giocatori titolari dell’attuale Feyenoord - Bijlow, Geertruida, Senesi, Malacia, Kocku, Sinisterra – erano in campo nel finale di stagione dello scorso anno quando la squadra fu sconfitta nettamente dal fanalino di coda Ado Den Haag, chiudendo un’annata con più frustrazioni che guizzi. Il rombo di attacco Nelson-Til-Dessers-Sinisterra è composto per 3/4 da prestiti, rispettivamente da Arsenal (Reiss Nelson), Spartak Mosca (Guus Til) e Genk (Cyriel Dessers). In estate sul mercato sono stati spesi 3.5 milioni di euro per quattro giocatori: Gernot Trauner, Fredrik Aursnes, Marcus Pedersen, e Alireza Jahanbakhsh. I primi due sono finiti nella top 11 stagionale stilata in base alla media voti dal settimanale

, mentre il nazionale iraniano è stata l’unica autentica delusione della squadra, visti anche i suoi trascorsi olandesi (nel 17/18 fu capocannoniere della Eredivisie con l’Az).

 

Discorso opposto a quello di Dessers: l’attuale capocannoniere della Conference League si era inizialmente ritagliato il ruolo di super-sub per le reti segnate nei minuti di recupero (5), per poi conquistarsi una maglia da titolare al cambio di anno e non venire più messo in discussione, tanto che un paio di settimane fa i tifosi del Feyenoord avevano lanciato una campagna di raccolta fondi per aiutare il club a riscattare per 4 milioni di euro il suo cartellino dal Genk. Negli anni Settanta avvenne qualcosa di simile al De Graafschap, che grazie a una colletta dei propri sostenitori riportò a casa Guus Hiddink. I tempi però sono cambiati e l'iniziativa dei

è stata stoppata dalla FIFA, che impedisce l'intervento di terze parti nell'acquisto dei giocatori. Ci sono buone probabilità quindi che la finale di Tirana sia l’ultima partita di Dessers con la maglia del Feyenoord, e questo aiuta a comprendere quanto sia delicata la situazione finanziaria del club olandese.

 

Con mezzi decisamente limitati, Slot ha costruito una squadra con identità precisa, che non è riuscita a restare in corsa per il titolo solo a causa di una rosa ristretta e di una qualità media inferiore, in ogni reparto, rispetto a Ajax e Psv. L’allenatore ha dovuto lavorare molto sul cambiamento (anche se il diretto interessato preferisce il termine “indottrinamento”) dell’approccio alla partita da parte dei giocatori, inserendo principi diversi sia alla tradizione del club che, più in generale, al calcio olandese. Se il 4-3-3 è rimasto il modulo base, è cambiato il lavoro richiesto ai giocatori: Slot vuole un pressing altissimo nel tentativo di riconquistare la palla il più rapidamente possibile per poi cercare subito la conclusione. Un calcio fisicamente molto dispendioso per l’intensità che richiede, e in cui le linee vengono continuamente “spremute” (

è la parola utilizzata da Slot): se in fase di non possesso la squadra si compatta in una sorta di 4-4-2 che posiziona diversi elementi nella zona della palla allo scopo di restringere il più possibile l’area di gioco; in fase di possesso si allunga, soprattutto dopo la sua riconquista, grazie alle ali che attaccano lo spazio e danno profondità. I movimenti di Nelson e Sinisterra nell’azione del 2-0 contro l‘Olympique Marsiglia nell’andata della semifinale di Conference illustrano bene il concetto. Ma anche lo 0-0 del ritorno, con la squadra che non ha subito reti per la prima volta in Conference dopo 10 partite senza nemmeno correre troppi rischi, è maturato grazie a una linea di pressing molto alta, pronta a innescare la ripartenza, con una densità nella zona della palla che non ha permesso ai francesi di trovare gli spazi dell’andata.

 

https://youtu.be/CMSMkrhnsjM

 

Nelle annate precedenti con Dick Advocaat la manovra del Feyenoord si basava su un possesso palla a bassi ritmi, alternato da improvvise accelerazioni e, soprattutto, focalizzato su unico giocatore, Steven Berghuis. Da ala destra o trequartista, Berghuis lo scorso anno ha partecipato al 58.1% dei gol segnati dalla squadra ed è stato l’autore del 68.3% dei tiri in porta, calciando un totale di 253 volte in campionato. Nessun giocatore della Eredivisie vantava gli stessi numeri, né la passata stagione né in quella attuale. Ceduto in estate all’Ajax a prezzo di saldo (quando il venditore ha l’acqua alla gola difficilmente può determinare le cifre dell’affare), il Feyenoord non lo ha sostituito con un giocatore dalle caratteristiche simili, ma con un sistema di gioco diverso.

 

In Conference League la squadra di Rotterdam è prima nella classifica dei tiri in porta derivati da recupero palla nella trequarti avversaria. Il discorso non cambia guardando alla Eredivisie: il Feyenoord è secondo alle spalle dell’Ajax per palloni recuperati sulla trequarti avversaria (236 contro 252), però primeggia nelle conclusioni generate da pressing alto (80 contro 54). Rispetto all’Ajax, ma anche al Psv, gli uomini di Slot impiegano spesso dieci o meno passaggi per arrivare alla conclusione. Non avendo giocatori dalla tecnica paragonabile a quella di Antony, Tadic, Berghuis o Götze, è palese l’intenzione di Slot di cercare un calcio meno manovrato, più immediato e rapido nel cercare la profondità, sfruttando la velocità di Sinisterra e Nelson o la falcata lunga di Til. Nel calcio di Slot sono rare le sovrapposizioni dei terzini, che in fase di possesso agiscono più come centrocampisti aggiunti (soprattutto Geertruida a destra, meno esplosivo nella corsa del compagno sulla sinistra Malacia) per creare superiorità numerica.

 

Quest’ultimo è un altro elemento chiave della filosofia di Slot. «Il calcio è un gioco semplice», ha dichiarato a inizio stagione, «ma solo se lo capisci. I miei principi sono semplici: in fase di possesso devi cercare la superiorità numerica, in fase di non possesso non devi finire in inferiorità. La difficoltà sta nello svolgere costantemente i propri compiti con intensità e concentrazione massima. Se faccio pressing a due metri dall’avversario, quello ha tutto il tempo di aprire il gioco dall’altra parte, con la conseguenza che la squadra deve compiere un grande sforzo sprintando 80 metri per recuperare lo squilibrio creatosi. Non è sostenibile. Per questo chiedo sempre ai miei giocatori di inseguire la palla anche negli ultimi metri. È questione di movimenti, di fare l’azione giusta al momento giusto. Se i giocatori sanno cosa fare nei momenti cruciali e si muovono con la necessaria compattezza, allora non ho paura di restare uno contro uno nelle retrovie».

 

https://youtu.be/DjoQUO9nsXg

Se parlate olandese...


 

Un sistema in cui punti di forza e punti deboli sono separati da una linea sottilissima. Il Feyenoord per essere efficace deve spingere al massimo, anche perché non ha qualità tecniche tali da consentire soluzioni alternative altrettanto pericolose (sui calci piazzati, ad esempio, la squadra nell’ultima Eredivisie ha una media realizzativa del 19%, contro i 34% dell’Ajax e il 27% del Psv). Ma non possiede nemmeno una rosa ampia per sostituire adeguatamente i titolari. Lo si è visto nell’ultima di campionato contro il Twente, vincitore 2-1 a Rotterdam. Senza tre titolari (Trauner, Malacia e Nelson) e priva di obiettivi (il terzo posto finale era già blindato), la squadra non ha mostrato la consueta intensità e spesso ha giocato sotto ritmo, finendo dominata tatticamente dall’avversario ben oltre quanto indicato dal risultato finale.

 

C'è da dire che il Feyenoord non ha molto da perdere dalla finale di Conference League. Sia perché nessuno si aspettava di vedere la squadra a Tirana, sia per il processo di valorizzazione della rosa portato a compimento. Soprattutto per quei giocatori ormai da anni in prima squadra senza essere riusciti a compiere il salto di qualità. Elementi prodotti del vivaio come Geertruida e Malacia, oppure Sinisterra, mai così a fuoco tanto a livello numerico (18 gol e 11 assist) quanto sotto il profilo della continuità di rendimento. Ma anche Til, caduto nel dimenticatoio in Russia dopo le ottime annate nell’Az, dove comunque non era mai stato prolifico come nell’attuale stagione (21 gol, capocannoniere della squadra alla pari di Dessers). Su tutti spicca però Orkun Kökçü, fino alla scorsa stagione il classico trequartista di talento a cui mancava sempre qualcosa per la consacrazione definitiva, e oggi giocatore con il maggior numero di passaggi riusciti in Eredivisie nella trequarti avversaria, nonché miglior uomo assist della squadra. In estate Kökçü era tornato dalla Nazionale leggermente sovrappeso e Slot gli aveva tolto, a vantaggio di Til, il ruolo di numero 10, uno dei più dispendiosi del suo sistema.

 

Impostato come centrocampista centrale accanto a un centrocampista box-to-box come Aursnes, Kökçü ha impressionato per continuità di rendimento e capacità di essere sempre al centro del gioco. «Il difficile con Slot», ha dichiarato dopo la conquista della finale, «è stato seguirlo all'inizio, con tutta quella preparazione fisica e quell'ossessione per il pressing altissimo. Lui diceva sempre: fidatevi di me, questo è un sistema di gioco sostenibile. Ci fece vedere le immagini della semifinale dell’Europeo Italia-Spagna e disse: gli spagnoli hanno difeso molto alto e incassato un gol, gli italiani hanno difeso basso e anche loro hanno subito una rete. La differenza è che, nel primo caso, se pressi alto e prendi gol tutti commentano come non sia possibile sostenere questo tipo di gioco, mentre nel secondo nessuno si chiede se forse non era meglio iniziare a pressare subito. Si tratta solo di una questione di percezione».

 

La finale di Conference League rivestirà anche un forte valore emotivo per il Feyenoord e il suo universo. Tra gli undici titolari della finale della Coppa UEFA del 2002 c’era anche il ghanese Christian Gyan, scomparso lo scorso 29 dicembre all’età di 43 anni dopo una lunga malattia. Una storia, quella di Gyan, che racconta il rapporto di osmosi tra una città e la sua squadra di calcio, ma soprattutto, come a volte non sia necessario essere dei campioni, né dei fedelissimi alla maglia, per diventare parte integrante della tradizione, della cultura e dell’immaginario collettivo di una tifoseria. Gyan non è mai stato un grande giocatore: le sue qualità erano abnegazione, spirito di sacrificio e duro lavoro, fino a quando il suo fisico ha retto. Era finito a giocare a Rovaniemi negli ultimi anni di carriera, per poi tornare a vivere a Rotterdam, dove lavorava al porto come operaio, assunto con salario minimo da uno sponsor del Feyenoord. Poi si è ammalato, fino a non poter più lavorare. I tifosi lo hanno aiutato economicamente con le cure, il club gli ha offerto un impiego nello staff delle giovanili, il giornalista scrittore Michel van Egmond ha raccontato le sue molteplici resurrezioni nel libro

.

 

https://youtu.be/jIg_95WC-_Q

 

La storia di Gyan spiega perché un calciatore con meno di 100 presenze con la maglia del Feyenoord, appartenga a Rotterdam e alla squadra più rappresentativa della città, per origini e ubicazione (la parte sud, quella del porto), tanto quanto uno come Robin van Persie, che a Rotterdam ci è nato e che al Feyenoord è cresciuto. Van Persie è dovuto tornare a chiudere la sua grande carriera in città per ricevere dai tifosi lo stesso affetto di un Christian Gyan, giocatore qualunque in ogni parte del mondo tranne che a Rotterdam. Città dove il motto

, «fatti non parole», si applica a chiunque, in ogni ambito.

 

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