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Che squadra è la Roma di José Mourinho?
09 feb 2022
09 feb 2022
Dopo la netta sconfitta con l'Inter in Coppa Italia è lecito chiederselo.
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Nei confronti di José Mourinho, lo sappiamo, è impossibile rimanere indifferenti. È sempre stato così e lo è stato anche ieri sera, quando per la prima volta è rientrato dentro San Siro da avversario dell’Inter, tra striscioni e cori che ricordavano cosa aveva rappresentato per il tifo nerazzurro. La serata di ieri era la chiusura di un cerchio molto più grande di un quarto di finale di Coppa Italia e così verrà ricordato anche in futuro, quando diventerà l’appendice di un documentario o di un reportage sull’incredibile carriera dell’allenatore portoghese. L’Italia, anche questo lo sappiamo molto bene, è il Paese dove il passato non passa mai e il presente viene rimosso per convenienza o per imbarazzo, come quello che è sembrato provare lo stesso Mourinho quando, sotto per 2-0 in una partita che aveva avuto poca storia, è stato costretto a rispondere con un accenno della mano ai cori unanimi del pubblico di casa. Quello è stato forse il momento più paradossale di tutta la sua lunga carriera: venire acclamato da uno stadio in cui stava perdendo nettamente, ed essere amato da un avversario più forte non è forse la cosa meno da Mourinho di sempre?


 

Il tempo nel calcio è talmente dilatato rispetto al resto della realtà che ci siamo dimenticati delle speranze che in molti riponevano nella sua mistica negli scontri diretti giocati su gara secca, e nella possibilità che la narrazione dell’underdog potesse effettivamente tornare a funzionare con una squadra che non sembrava attrezzata per competere con le prime quattro squadre del campionato. E cos’era ieri se non uno scontro diretto su gara secca a cui la Roma si presentava da sfavorita? Stranamente, però, nessuno dentro alla squadra giallorossa ha voluto utilizzare questa leva emotiva, nemmeno lo stesso Mourinho - in teoria il più abile a servirsi di questo tipo di armi - che ha passato i giorni precedenti alla sfida con l’Inter ad allungare la coda polemica dello 0-0 contro il Genoa e della velenosa espulsione di Zaniolo.


 

La Roma è entrata in campo come se non ci fosse stato nemmeno un giorno di distanza dalla sfida contro l’Inter in campionato, lo scorso 4 dicembre, quando in appena un tempo era stata spazzata via dalla squadra di Inzaghi. Dopo appena un minuto e mezzo era già in cortocircuito mentale di fronte alle accortezze studiate dalla squadra nerazzurra, che schermava molto facilmente tutte le linee di passaggio dei tre centrali avversari in fase di costruzione. Dzeko si piazzava centralmente, per impedire il passaggio tra Smalling e uno dei due mediani giallorossi, mentre Sanchez e una delle due mezzali (di solito Barella), chiudevano le diagonali esterne-interne di Mancini e Ibañez. In questo modo i due centrali della Roma non potevano far altro che scaricare esternamente su Karsdorp e Viña, che avevano ancora meno opzioni a disposizione, chiusi com’erano dalla linea del fallo laterale alle spalle e dall’esterno avversario di fronte, oppure tentare lanci o cambi di gioco estremamente complicati. Uno di questi, di Ibañez per Karsdorp, ha rappresentato l’innesco del primo gol dell’Inter: Perisic lo ha anticipato servendo Sanchez, che ha chiuso il triangolo lanciandolo di testa sulla fascia sinistra. A quel punto è sembrato davvero semplice servire dentro l'area Dzeko, che con una naturalezza che non sempre gli appartiene l’ha piazzata rilassato sul primo palo.


 


La situazione da cui nasce il cambio di gioco sbilenco di Ibanez denota subito tutte le difficoltà della Roma nell'uscire dalla gabbia interista in fase di prima costruzione.


 

È bastato questo per far perdere alla squadra di Mourinho l’inerzia mentale. Da un punto di vista tattico, poi, la partita è stata ancora più sanguinosa. L’allenatore portoghese ha deciso di andare a prendere alta l’Inter invece di farsi manipolare nella propria metà campo con difensori poco abili a difendere dentro l’area, ma ha comunque dimostrato di non sapere esattamente come farlo. La Roma ha deciso di pressare alto avendo come riferimento l’uomo, ma con una pigrizia mentale e un’incapacità di leggere le situazioni che l'ha portata a farsi manipolare molto facilmente. All'inizio la squadra di Mourinho aveva deciso di mettere Zaniolo a uomo su Bastoni, mentre Abraham schermava la linea di passaggio tra Skriniar e D’Ambrosio, e i tre centrocampisti (Mikhtaryan, Veretout e Oliveira) salivano a specchio sui tre corrispettivi nerazzurri (rispettivamente: Brozovic, Barella e Vidal). Di fronte a questo sistema, all’Inter bastava far ruotare le posizioni di alcuni dei suoi giocatori in prima costruzione per mandare in tilt l’avversario: a volte era Brozovic a scendere nella posizione di D’Ambrosio liberando Bastoni, altre volte invece era Darmian a entrare dentro al campo da mezzala liberando Barella alle sue spalle. Di fronte all’utilizzo del pallone da parte dell’Inter, la Roma era impotente.


 

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Mourinho ha provato a correre ai ripari chiedendo ad Abraham di andare a uomo su Skriniar, ma era come pensare di vincere una battaglia muovendo una pedina su una mappa. L’Inter ha continuato a manipolare la Roma con la sua fluidità, aiutata anche dalla lentezza sia di Zaniolo che di Abraham nel leggere i movimenti dei tre centrali avversari. Soprattutto Bastoni, con la sua capacità unica di leggere lo spazio e di utilizzare il corpo per eludere la prima pressione avversaria, è sembrato un prototipo di difensore semplicemente di un’altra era rispetto ai tre centrali della Roma, a disagio con il pallone come una macchina da scrivere costretta ad andare su internet. Bastoni è stato importante con i suoi passaggi anche per attivare la connessione con Alexis Sanchez, incredibilmente più attivo tra le linee rispetto a Dzeko. Il cileno verrà giustamente ricordato per il gol bellissimo con cui ha chiuso la partita, ma ha avuto un’importanza cruciale anche in fase di definizione, mandando al tiro i compagni per ben 5 volte - più di chiunque altro (e creando 0.40 degli 0.77 xG totali dell’Inter, secondo i dati di StatsBomb).


 

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L’Inter, comunque, riusciva a utilizzare il pressing della Roma a proprio favore anche dalla parte opposta a quella di Bastoni. Al 36'del primo tempo, per esempio, semplicemente abbassando Brozovic sulla linea difensiva, l’Inter è riuscita prima a liberare Barella al centro della mediana, e poi a lanciarlo in verticale contro la linea difensiva della Roma, dopo che il centrocampista sardo aveva chiuso un facile uno-due a centrocampo con Dzeko.


 

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È stata un’azione paradigmatica delle difficoltà della Roma di capire i punti di forza dell’avversario, che ha continuato a dominare il pallone nonostante l’uscita dal campo del suo centrale più importante in costruzione per infortunio. D'altra parte la Roma pressava con cinque uomini contro i sei, a volte sette (contando anche Handanovic) che l'Inter utilizzava in costruzione: qual era la strategia dietro un pressing alto in inferiorità numerica dal momento che la difesa a tre rimaneva passiva ad aspettare nella propria metà campo? Nel secondo tempo lo spartito tattico si è ripetuto quasi identico, solo con le posizioni di Zaniolo e Abraham invertite: il numero 22 è stato messo inizialmente a schermare la linea di passaggio tra de Vrij e D’Ambrosio, mentre l’attaccante inglese andava a uomo su Skriniar, spostato sul centro-sinistra. L’Inter, come nel primo tempo, prendeva questo sistema di pressing elementare e lo rigirava a suo favore, ruotando continuamente i propri uomini e liberando costantemente D’Ambrosio sulla destra. Le due più grandi occasioni dell’Inter del secondo tempo - il tiro esagerato di Barella e il gol di Sanchez - sono nate sfruttando questo meccanismo, la prima addirittura propiziata da un sombrero su Viña, arrivato talmente in ritardo che sembrava proprio che volesse subirlo.


 


 

Persino in un contesto così difficile la Roma è riuscita comunque ad avere le occasioni per rimettere in equilibrio la partita e ribaltare l’inerzia psicologica. Prima, in uno dei rari momenti in cui è riuscita a tenere palla nella metà campo avversaria, permettendo a Mkhitaryan di scappare in profondità nello spazio tra Skriniar e Bastoni, e di servire Abraham al centro dell’area (il rimpallo con D’Ambrosio finirà sopra la traversa). Poi con uno dei tanti lanci disperati di Mancini, sfiorato appena da Abraham e lasciato rimbalzare da Darmian, che non si era accorto dell’arrivo di Viña alle sue spalle. Il rimpallo finirà per servire magicamente Zaniolo, che però, da solo dentro l’area di rigore, tirerà centrale sui piedi di Handanovic. Questi, oltre al pallonetto in fuorigioco di Zaniolo salvato contro ogni legge della fisica da Skriniar sulla linea (nato da un contropiede piuttosto casuale su un calcio d’angolo a favore dell’Inter), sono stati gli unici momenti in cui la Roma ha realmente avuto la sensazione di poter rientrare in partita.


 

E il problema non è tanto che siano stati pochi, perché nessuno più di Mourinho nella storia del calcio ci ha insegnato quanto basti anche un momento o un pallone per inclinare una partita dalla propria parte. Il problema, per una squadra di Mourinho, è proprio non saper aver saputo afferrare quell’unico momento, mettere in porta quell’unico pallone.


 

Nei suoi momenti d’oro si diceva che la forza di Mourinho era quella di canalizzare le energie degli avversari, della stampa e degli arbitri su di sé permettendo alla sua squadra di lavorare in tranquillità e di dominare mentalmente gli avversari. Lo chiamavamo “il grande manipolatore”, gli avevamo dato il potere di vincere una partita rispondendo a una domanda in conferenza stampa: el puto jefe, vi ricordate? Ecco, cosa è rimasto oggi di quel potere? Rimanendo esclusivamente su quello che succede in campo è impossibile non notare che la Roma è una squadra spesso in balia degli avversari, non solo tatticamente (questa credo per Mourinho sia la cosa meno importante) ma anche e soprattutto mentalmente. Non è una squadra solida difensivamente, che sa soffrire, come amano dire quelli che si appellano alle forze magiche del calcio - che capisce quali siano i momenti decisivi di una partita. Non è una squadra che sa arroccarsi dentro l'area, né una che rende impossibile la vita degli avversari nella loro metà campo. Non è una squadra furba, né una squadra cinica, tanto meno una squadra opportunista. Non è nemmeno una squadra che incute timore, che entra sotto pelle agli avversari. Quindi, che squadra è?


 

In definitiva, la notizia che esce dalla partita di ieri è che siamo al 9 febbraio e, al di là delle vittorie e delle sconfitte, di sicuro la Roma non assomiglia (ancora?) a José Mourinho - o almeno all’immagine che avevamo quando è stato annunciato in pompa magna circa otto mesi fa.


 

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