Che fine hanno fatto i nostri “Preferiti”
Un album di una delle nostre rubriche più longeve.
Un album di una delle nostre rubriche più longeve.
Preferiti, poi diventata Innamorati di, è una delle nostre rubriche più longeve. Il senso è semplice: scrivere di un giovane che ci ha rubato il cuore – del suo talento, delle sue prospettive – sperando che non ce lo spezzi (se volete una spiegazione più approfondita ed esaustiva c’è questo pezzo scritto da Emanuele Atturo). Se avete superato i 20 anni sapete bene che questo succede raramente e infatti nel tempo anche noi siamo diventati leggermente più cinici e abbiamo creato anche la rubrica Perdere l’amore, sui giovani che ci hanno deluso.
Il nostro primo Preferiti è su Sergi Samper e risale al 4 novembre del 2014, pochi mesi dopo la fondazione dell’Ultimo Uomo. Da quel momento a oggi noi abbiamo compiuto 10 anni e Sergi Samper è diventato un giocatore dell’FC Andorra. Proprio per festeggiare questo nostro compleanno ci sembrava interessante riaprire gli archivi di questa rubrica e vedere come stavano messi tutti gli altri, anche solo per dare un altro sguardo alle bellissime illustrazioni di Emma Verdet. Il tempo che passa è sempre commovente.
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Il primo “Preferiti” di sempre, il primo mezzo buco nell’acqua. Sergi Samper non è diventato Xavi o Iniesta, ma neppure Gavi o Pedri. Oggi gioca nell’FC Andorra, la squadra di Piqué.
Cinque Premier League, due FA Cup, una Champions League, una Supercoppa europea. Kevin De Bruyne, lo sappiamo, è diventato Kevin De Bruyne – uno dei giocatori più creativi e influenti del calcio europeo contemporaneo, e oggi può godersi anche il lusso del rimpianto per non aver mai vinto un Pallone d’Oro. “Con la sua capacità di giocare su entrambe le fasce, la sua grande mobilità e versatilità e il suo elevato QI calcistico, De Bruyne sembra un giocatore perfettamente ‘guardiolabile’”, aveva scritto profeticamente Cesare Alemanni, alla fine della sua stagione al Wolfsburg (14/15) in cui avrebbe segnato 16 gol e 28 assist in tutte le competizioni.
Due cose non sono cambiate da questo articolo in cui Lautaro Martinez indossa ancora la “camiseta” del Racing Club: i suoi capelli, sparati in aria come a Dragon Ball, fatti della quintessenza del gel, e la sua attitudine ai gol pazzeschi, alle conclusioni volanti. Nel frattempo Lautaro Martinez ha messo su una consistenza incredibile. È come se a inizio carriera sapesse cucinare solo due piatti difficili buonissimo, mentre adesso ha imparato pastasciutte e minestre che magari non saranno una delizia ma gli svoltano tutti i pasti.
Forse mentre abbiamo finito di scrivere Sesko ha segnato altri gol. È uno di quei centravanti freak di quasi due metri ma bravi tecnicamente. Dall’inizio della carriera è sembrato un giocatori da colpi estemporanei, che doveva cercare la continuità – il sacro graal dei centravanti – per salire davvero di livello. In queste prime settimane del nuovo anno, al RB Lipsia, sembra che ci stia riuscendo.
Di quanti attaccanti in questa lista si può dire che si siano trasformati in terzini? Forse questo ci dà anche la misura di quanto Timothy Weah abbia fallito, come erede del padre George e come centravanti d’alto livello in generale. Ma la vicenda è più ambigua di così, visto che comunque Weah da terzino si è riciclato a livelli abbastanza alti da guadagnarsi un trasferimento da più di 10 milioni in una squadra come la Juventus.
A 20 anni e con quel cognome, era impossibile non dedicargli un posto in questa rubrica. Federico Redondo, figlio di, si sta formando nell’Argentino Juniors e non c’è fretta. Gioca davanti alla difesa, da volante, e nelle movenze ricorda il padre. Qualcuno lo ha già designato come futuro Busquets del Barcellona, ma chissà. Pochi giorni fa si è fatto una foto con Messi, mentre si allenavano con l’Argentina. La foto con Messi è come un passaggio simbolico per la carriera di un giovane talento argentino.
Baldanzi trasmette vibes da numero 10 di provincia degli anni ‘90; sembra appartenere alla stirpe dei Di Natale, dei Vannucchi, dei Di Michele. Giocatore a metà tra nove e 10 (un nove e mezzo lo si chiamava con poca fantasia), mezzo rifinitore e mezzo finalizzatore. In queste settimane sta risentendo del complicato inizio di campionato dell’Empoli, e si sta discutendo fin troppo di quale sia il miglior ruolo per lui. Baricentro basso, tecnica notevole in conduzione, Baldanzi spicca soprattutto per l’elettricità con cui si muove anche negli spazi più stretti. Non è ancora chiaro quale sia il tetto del suo potenziale, ma con l’aridità di talenti offensivi che c’è oggi nel calcio italiano Baldanzi offre una bella luce.
Uno di quei ragazzini di cui si sa più o meno tutto ancora prima che mettano piede sul campo per la loro prima partita da professionisti. Non è ancora maggiorenne, non ha ancora iniziato a segnare con continuità, ma i gol fatti continuano a rivelare un talento sbalorditivo. Tra un annetto si trasferirà al Real Madrid. Speriamo solamente rimanga al riparo dagli infortuni.
Lorenzo Pellegrini ha cominciato un’altra stagione in cui la sua principale preoccupazione sono gli infortuni. Mai nulla di veramente grave, per la verità, ma sembra non recuperare mai del tutto dagli affaticamenti muscolari, dai sovraccarichi, dalle infiammazioni ai tendini che periodicamente tornano a colpirlo. A Roma si è sviluppata una velenosa ironia sulla sua tendenza a stringere i denti, cioè a giocare sul dolore, che pare allontanarlo ogni volta da una guarigione completa. Tutto questo potrebbe farci perdere di vista ciò che Pellegrini è diventato: un giocatore tecnicamente unico – un trequartista iper-dinamico votato alla verticalità con una grande tecnica di calcio – il capitano che ha portato un trofeo europeo a Roma di fatto per la prima volta. Attualmente sembra lontano dalla sua versione migliore (la stagione 2021/22), ma ancora di più dal giocatore delizioso e vagamente inconsistente che sembrava a Sassuolo, quando abbiamo scritto questo Preferiti.
Magari non è diventato il più forte calciatore della storia, come Pep Guardiola è sembrato suggerire in certe circostanze, ma Foden è il più grande talento inglese oggi dopo Jude Bellingham. Oltre, ovviamente, che un giocatore fichissimo, con la faccia ghiacciata da Isole del Ferro in Game of Thrones, il taglio coatto sempre fresco, modello ideale di Fred Perry, però con una tecnica strepitosa, fulminante. Un tempo erano lui, Brahim Diaz e Sancho fra i grandi talenti dell’academy del City. Se Guardiola infine ha deciso di puntare su di lui c’era una ragione che il tempo ci ha svelato.
Perché ci piaceva Rodrigo Ely? Veramente non abbiamo idea. C’è stato un momento in cui era giovane e giocava titolare nella difesa del Milan, e forse questo era bastato a Lorenzo De Alexandris per innamorarsene. Sta comunque avendo una buona carriera.
La domanda con Musiala è se è meglio lui o Bellingham e, insomma, poteva andare anche peggio di così.
Da quando Ricci è arrivato in Serie A non è praticamente mai uscito dai titolari. Il suo passaggio al Torino, nel mercato di gennaio del 2022, poteva rivelarsi più complicato di quanto oggi siamo portati a pensare. Giocare mediano nell’Empoli o nel Torino di Juric sono praticamente due sport diversi. Adattandosi Ricci è cambiato molto. Non è più il centrocampista dal sapore catalano che abbiamo imparato ad amare a inizio carriera, ma ha aggiunto un dinamismo e un’intensità che non sembravano nemmeno nelle sue corde. Oggi sembra meno speciale, ma anche più completo. Se non fosse per la concorrenza estrema nel ruolo, avrebbe già cominciato a giocare con regolarità in Nazionale.
In queste settimane Jude Bellingham sta entrando nei discorsi sul Pallone d’Oro, dobbiamo aggiungere altro?
Quando ha iniziato a giocare titolare nel Milan, da difensore centrale, ci si chiedeva se non fosse in realtà un laterale difensivo. Oggi ha risolto brillantemente quest’ambiguità giocando bene in entrambe le posizioni, o comunque confermando la sua modernità di difensore a proprio agio sia nella dimensione senza palla che senza. È forte, veloce e ha carisma. Non ha chiuso nel modo più brillante la sua ultima stagione, risentendo del calo generale del Milan, ma nessuno ha più dubbi del suo talento e in estate è stato cercato dal Bayern Monaco, che di per sé vale come una certificato di solidità.
Forse una delle prese più improbabili di questa rubrica. Quando Francesco Lisanti ne scriveva, Dimarco non giocava nell’Empoli. Ci voleva fede allora e Francesco ne aveva: «Dimarco dovrà chiedere al suo corpo se tra vent’anni lo ricorderemo come un terzino dai piedi buoni, oppure come l’uomo che mostrò il futuro al calcio italiano». Oggi, si può dire, siamo a metà tra le due cose, che è già più di quello che credevamo tutti.
A marzo del 2022 Florian Wirtz ha riportato la rottura del legamento crociato: poteva essere una brutta sliding door per la sua carriera. Come sappiamo per i giovani gli infortuni lunghi non comportano solo il rischio di ridurre le possibilità atletiche, ma anche di perdere anni cruciali del proprio sviluppo calcistico. Wirtz in realtà, dopo qualche mese a marce basse, ha ricominciato a mostrare un repertorio sfavillante. Non esiste forse talento oggi, che si può ricondurre di più alla nostra idea platonica di un ‘10’: un centrocampista tecnico che si muove tra le linee, dribbla in spazi stretti e ha una visione di gioco paranormale. L’arrivo di Xabi Alonso al Bayer Leverkusen gli ha sistemato la squadra attorno, costruendogli il contesto ideale per esprimere il suo gioco in modo più facile.
Quando quest’estate Szoboszlai si è trasferito al Liverpool c’era un certo scetticismo nell’aria. Nessuno poteva mettere in dubbio le sue qualità tecniche, ma Szoboszlai sembrava un giocatore francamente troppo particolare per riuscire nel calcio d’elite. Poco intenso, poco lucido nelle scelte col pallone. Al contempo, però, la sua tecnica è ciò che gli ha garantito che qualcuno ci provasse con lui. Jurgen Klopp ha fatto questo tentativo, per rianimare un centrocampo negli ultimi anni veramente troppo gregario. Forse è stato il miglior acquisto del calciomercato estivo. Forse grazie agli anni nella scuola Red Bull, Szoboszlai pare perfettamente a proprio agio nella vertigine verticale, tutta strappi, del Liverpool. La sua capacità balistica sta facendo la differenza con una facilità a tratti da videogioco.
Quando abbiamo scritto questo tributo Ihattaren era un giocatore fenomenale per efficienza ma soprattutto per estetica. Un po’ mezzala, un po’ trequartista, un po’ esterno offensivo, mancino sensibile come un guanto di velluto, calzettone basso. La sua caduta è una delle più dolorose per questo: perché sembrava troppo fragile per il calcio di oggi, e in effetti si è rivelato così. A novembre del 2021 è uscita la notizia che Ihattaren stava pensando al ritiro per depressione dopo la morte del padre. Non è nemmeno il contesto giusto questo per ricostruire tutto il dolore che circonda la sua vicenda, ma Daniele Manusia ne ha scritto qui.
Lo scorso primo luglio Kai Havertz è passato dal Chelsea all’Arsenal per 75 milioni di euro e per adesso è uno dei pochi acquisti estivi del club londinese a non aver rispettato le aspettative. Il giocatore tedesco sembra avulso dal gioco di Arteta e per adesso ha segnato un solo gol, su rigore, nonostante abbia accumulato già quasi un Expected Goal. Sulla sua mancanza di ispirazione sono usciti anche diversi meme piuttosto crudeli. È come se Havertz, a 24 anni, abbia già vissuto tutte le fasi di un calciatore di alto livello: dopo l’ascesa al Bayer Leverkusen e l’apice al Chelsea (con tanto di gol decisivo in finale di Champions), ora sono arrivate le difficoltà.
Cos’è successo a Jadon Sancho? Forse le ipotesi che possiamo fare supererebbero le misure consentite da questo articolo. In questo momento i suoi rapporti col Manchester United sono ai minimi storici. Ten Hag lo ha escluso dalle convocazioni per la partita contro l’Arsenal, lui ha pubblicato su Instagram un post – poi rimosso – in cui diceva di essere stufo di funzionare da capro espiatorio. Ten Hag lo ha escluso dalla rosa, dicendo che lo avrebbe riammesso solo in caso di scuse. Sancho è un tipo di giocatore che può non piacere, ma che avesse qualcosa di fenomenale non si può mettere troppo in discussione. 49 gol in tre stagioni di Bundesliga giocate da esterno offensivo. A questi si aggiungono 41 assist. 41. Sono numeri pazzeschi, fatti in 3 anni di continuità, non in 6 mesi. Cosa è successo nel frattempo non è chiaro. Sancho non sarebbe certo l’unico talento inglese a essersi perso in questi anni. Si dice non si impegni molto negli allenamenti, che non sia sufficientemente motivato, o che più semplicemente odi ten Hag. Il Manchester United però brucia di fatto ogni giocatore che sfiora, tranne poche eccezioni, e dunque è difficile accollare per intero le responsabilità a Sancho, che ha ancora 23 anni e ancora molto tempo per rifarsi.
Musa Barrow era in quella carovana di mercenari finiti in Arabia Saudita quest’estate. Prima di allora non aveva vinto Scudetti, Champions League o Palloni d’Oro. In un mezzo anno col Bologna a inizio 2020, tra gennaio e giugno di una pandemia, ha segnato 9 gol uno più bello dell’altro e avevamo pensato: “hai visto che…” e invece no.
Se questo pezzo fosse uscito un anno fa forse avremmo dovuto inserire Aouar tra i giocatori caduti completamente in disgrazia. Si diceva addirittura si fosse radicalizzato con l’Islam, notizia falsa ma che ci parla di due cose: della nostra islamofobia, di quanto poco si credesse in Aouar. La Roma di Mourinho non sembrava esattamente il posto ideale per il suo calcio di piccoli ricami, ma pare stia più o meno funzionando – al netto di qualche problema fisico.
Forse difficile trovare un giocatore dalla traiettoria più strana di quella di Frenkie de Jong. All’Ajax di ten Hag sembrava la versione suprema del centrocampista olandese. Onniscente, onnipresente. Un giocatore dalla tecnica essenziale, ma dalle letture iper-complesse, capace di cucire il gioco a tutto campo. Avrebbe dovuto diventare il perno attorno al quale far rinascere il Barcellona e, beh, non è andata proprio così. A un certo punto sembrava potesse andare al Manchester United per ritrovare ten Hag, ma alla fine è rimasto, abbracciando una specie di dorata mediocrità. In certi momenti di forma de Jong è ancora un centrocampista dominante, e delizioso nel suo dominio; in altri scompare dai radar e non è chiaro in cosa sarebbe speciale. Comunque, chi parla di bidone non capisce niente di calcio, mi dispiace.
Tutti i centravanti giovani che escono dal settore giovanile del PSG per un motivo o per l’altro sembrano molto forti. Perché Jean-Kevin Augustin avrebbe dovuto fare eccezione? Altro certificato di qualità: il RB Lipsia lo ha comprato dal PSG, e quello ha cominciato a segnare praticamente subito. Ha brutti rapporti con Rangnick. In un pre-partita di Europa League quello lo sgama mentre smanetta al telefono, da quel momento la sua carriera è finita. Vi sembrerà un’esagerazione ma insomma, prima di quel giorno Augustin aveva segnato 11 gol, da quel giorno 7. Sono passati 4 anni, siamo su un’inquietante media di mezzo gol a stagione. Oggi gioca in Svizzera, al Basilea, e segna pochissimo anche lì, in un campionato in cui persino Sebastiano Esposito – per citare un’altra nostra crush – qualche gol l’ha fatto. Al Leeds ha floppato così forte che quelli gli hanno rescisso il contratto irregolarmente e lui gli ha fatto causa – vincendola, il club gli deve quasi 25 milioni. Insomma, magari non forte in campo ma imbattibile in tribunale.
Giusto una piccola flessione nella stagione post-Europeo, per il resto: una macchina.
Sembra incredibile ma Mastour ha ancora 25 anni. Lo scorso primo luglio ha firmato per l’Union Touarga, club di Rabat della prima divisione marocchina, dopo una carriera allucinante: dopo gli inizi al Milan, è passato per Malaga, PEC Zwolle, Lamia, Reggina, Carpi e Renaissance Zemamra (Serie B marocchina). Nel suo nuovo club non ha ancora giocato una partita da titolare ma intorno a lui sembra esserci già un piccolo culto. L’account YouTube Jonathan Martinez sta pubblicando tutti gli highlights individuali dei suoi spezzoni di partita, da quando è l’Union Touarga.
Nell’aprile del 2015, quando Mastour non era stato ancora inserito tra i migliori talenti nati nel 1998 dal Guardian, Fabrizio Gabrielli si chiedeva se sarebbe diventato “un fenomeno (per quanto precoce) da idolatrare o uno dei tanti sopravvalutati enfant prodige dei quali perderemo memoria nel giro di dieci anni?”. È ironico che non sia diventato né l’una né l’altra cosa (sono passati più di otto anni e su YouTube è ancora facile trovare video che si chiedono che fine abbia fatto), un monito a ricordarci di quanto le cose siano sempre più complesse di come ce le immaginiamo.
A non essere innamorati di Malcom sono i tifosi della Roma: nell’estate del 2017 sembrava dovesse essere lui il grande colpo per rilanciare le ambizioni dei giallorossi, ma all’ultimo Malcom aveva preso un aereo per Barcellona. A rileggere quella storia oggi, quello è stato un proiettile schivato per la Roma: Malcom non ha funzionato in Spagna ed è stato spedito allo Zenit senza tanti rimpianti. In Russia si è costruito una carriera discreta, fino a esplodere nell’ultima stagione: 26 gol e la sensazione che avesse finalmente messo in ordine le sue cose. Poteva essere un biglietto di ritorno nel-calcio-che-conta e invece lo è stato per l’Arabia Saudita. L’Al-Hilal l’ha pagato 60 milioni, lui ne guadagna 18 a stagione. Tutti contenti.
Sembrerà giovane anche quando avrà 40 anni e giocherà le partite con SCH, Abedi Pelè e le vecchie glorie dell’Olympique Marsiglia. Alto poco più di un metro e 60, baffo incolto da dodicenne, frequenza di passo notevole ma scarsa velocità, Lopez non ha nulla che lo rende un calciatore d’alto livello, se non il modo in cui porta palla e dribbla in spazi stretti, a centrocampo. Un giocatore davvero peculiare, che forse starebbe bene in una serata di Champions, ma non in un lunedì sera in Pianura Padana nel campionato italiano. Fa ridere che sia stato chiamato alla Fiorentina per sostituire l’essere umano a lui più dissimile, Sofyan Amrabat, la cui coscia è grande quanto tutto Maxime Lopez. La coppia con Arthur sembra uno strano incubo, o uno strano sogno, a seconda della vostra visione del calcio.
Per farsi notare nel Real Madrid bisogna uccidere i tori a mani nude, segnare più gol che partite, dribblare anche i fili d’erba. Asensio è stato forse il fenomeno meno visibile del Real Madrid degli ultimi anni, probabilmente la miglior squadra di sempre. Eppure la sua presenza era tangibile, il suo contributo, pur non sempre come titolare, era evidente e fondamentale. In estate, chissà perché, ha scelto di passare dal Real Madrid al PSG. È l’inizio della sua fine? Staremo a vedere.
Forse il problema erano quelli che lo definivano “Il LeBron James del calcio”, o quelli che comunque gli conferivano una missione biblica, quella di trascinare fuori dalla sua mediocrità storica il movimento calcistico statunitense. Pulisic ha già attraversato tutta la parabola classica di un talento bruciato: la rivelazione nella velocità del calcio tedesco, il flop in Premier League, il prestito in Italia, la rinascita. Una parabola classica che però promette una seconda parte della carriera migliore. L’impressione è che dobbiamo aspettarci altri grandi momenti dalla carriera di Pulisic.
Capello lungo all’indietro, fascetta e gioco da numero 10 puro. L’aria da chitarrista di qualche band metal svedese. Brandt è un giocatore strano per il movimento tedesco, poco meccanico ma anche poco efficiente. Dopo un paio d’anni così così, da un altro paio di stagioni al Borussia Dortmund sembra aver trovato la strada per esprimersi. Non appartiene esattamente all’élite del ruolo, ma è comunque lì sulla soglia. Ha già comunque quasi 50 presenze con la Nazionale tedesca, mica male.
Resto tuttora convinto che Kasper Dolberg rappresenti una delle poche soluzioni alla rarità di grandi numeri 9 nel calcio d’élite. Rappresentava un ideale davvero di nicchia: un centravanti non solo fisico, con un gran tiro e un istinto notevole in area di rigore, ma un centravanti tecnico, raffinato, fortissimo nel gioco spalle alla porta e nel raccordare la squadra sulla trequarti. Purtroppo sembra impossessato dalla miscela letale per i talenti: fragilità fisica e poca voglia di giocare a calcio. Magari gli torna. Ha segnato già 5 gol in Belgio quest’anno, chissà.
Nel 2016 Enes Unal era un calciatore del Manchester City e segnava 19 gol in una stagione con il Twente (in prestito). Nel 2023 Enes Unal è un calciatore del Getafe, gioca nel Getafe e l’anno scorso ha segnato 15 gol. A giugno si è rotto il crociato e dovrà stare fermo almeno 8 mesi. Ad attenderlo, si diceva, un’offerta del Benfica. Il Getafe, comunque, gli ha rinnovato il contratto e lui si sta già allenando per recuperare. Forse non è quello che Enes Unal sognava a 20 anni, ma a 20 anni siamo tutti idealisti (lui, comunque, ne ha appena 26).
Non dobbiamo dirvi molto su Lucas Torreira, un centrocampista tascabile che da solo sembrava poter tenere in piedi una squadra di Serie A. Nel preferiti che gli abbiamo dedicato si racconta di come a reinvetarlo regista era stato Massimo Oddo al Pescara, prima di perfezionarsi nel rombo di Giampaolo. Torreira, insomma: più italiano degli italiani. Dopo aver tentato, giustamente, di sfondare con l’Arsenal, Torreira ha fatto le fiamme nella Fiorentina di Italiano. In estate però – per motivi poco chiari che vanno dall’ingordigia alla miopia dei presidenti di Serie A – Torreira è finito al Galatasaray, una squadra a suo modo cool e ambiziosa. Noi però vogliamo Torreira in Serie A.
Quando Fabio Barcellona scriveva di Mahmoud Dahoud sette anni fa, sembrava scrivere di un calciatore perfetto per Roberto De Zerbi: «Il suo dinamismo e la sua brillantezza nei movimenti senza palla sono merce preziosa per ogni allenatore e per ogni tipo di calcio». C’è da dire che, negli anni tra Borussia Mönchengladbach e Borussia Dortmund, le aspettative che avevamo su di lui si sono ridimensionate. Non è andato male, ma non è neanche diventato Gündoğan diciamo. In estate, libero di firmare un nuovo contratto, ha firmato con il Brighton di De Zerbi.
Negli ultimi giorni della sessione estiva Lucas Boyé è passato dall’Elche al Granada e per adesso non sta facendo affatto male, in una squadra in difficoltà. L’attaccante argentino ha segnato 3 gol e 2 assist in 6 partite di Liga giocate da titolare, e sembra aver già legittimato i 7 milioni spesi in estate. Certo, può non sembrare molto alla luce delle incredibili aspettative che c’erano all’inizio della sua carriera: per dire, si dice che Walter Sabatini abbia rotto con la Roma perché l’allora presidente James Pallotta non avesse acconsentito a un aumento di budget per acquistarlo. Boyé sarebbe poi passato al Torino e da lì la sua carriera ha preso una piega minore ma non insignificante. Prima i passaggi in prestito per Celta Vigo, AEK Atene e Reading, infine il trasferimento definitivo all’Elche, dove comunque ha lasciato il segno. Insomma, 100 presenze e 23 gol non sono mica roba da niente. Alla fine di marzo del 2022, Boyé si è anche tolto la soddisfazione di esordire con la maglia dell’Argentina e ciclicamente se ne riparla in Italia per qualche squadra in cerca di un attaccante di riserva. “Non sempre quel verso di Neruda che dice “mi mangerei tutta la terra, mi berrei tutto il mare” poi si può realizzare”, scriveva Fabrizio Gabrielli il 15 settembre del 2016.
Perché abbiamo scritto un preferiti su Adam Nagy? Era davvero un giovane calciatore che meritava la nostra attenzione? La domanda rimane sospesa nell’aria ancora oggi. C’è da dire che era stata una delle rivelazioni all’Europeo 2016 e al Bologna sembrava poter diventare un buon centrocampista. Oggi, a 28 anni, è alla terza stagione con il Pisa in Serie B. Il nuovo allenatore Alberto Aquilani non sembra prenderlo in grande considerazione, visto che fin qui ha giocato appena un centinaio di minuti. Se passate da quelle parti, fateci sapere come se la cava.
È impressionante il cambiamento che Hakan Calhanoglu ha attraversato nell’ultimo anno, dove Inzaghi lo sta utilizzando da regista basso. Quando abbiamo scritto questo articolo Calhanoglu era la versione distopica di un numero 10 passato per il frullatore dell’intensità tedesca, giocava nel Bayer Leverusen e puntava molto sul volume delle cose fatte in partita. Oggi gioca in una squadra spesso compassata nel ruolo in cui gli è richiesta più calma e gestione. Forse Calhanoglu si è rivelato persino più forte di quanto sembrasse in questo articolo.
Quando Marko Rog è finito al Cagliari nel 2019 aveva 24 anni e sembrava un giocatore sovradimensionato rispetto al contesto. Quattro anni e diversi infortuni dopo si può dire non sia essenziale nemmeno per il Cagliari, che attende il suo ritorno dall’infortunio al crociato senza troppe ansie. Non ci si possono rompere entrambe le ginocchia e sperare di fare lo stesso gioco intenso e dinamico.
Giovani Lo Celso è il più fulgido esempio di calciatore che quando lo vedi giocare in Spagna pensi sia un fenomeno, poi va in Premier League e non ci può stare. È da qualche anno che fa la spola tra Liga e Tottenham e, almeno fino a gennaio, dovrà rimanere in Inghilterra, dove Postecoglou finora gli ha concesso 16 minuti in campionato e 45 in ELF Cup. Nel 2022 doveva essere uno degli scudieri di Messi in Qatar, ma è stato costretto a rinunciare a causa di un infortunio muscolare subito poco prima del torneo. Come avrà vissuto quei giorni? Cosa avrà pensato di Mac Allister che si prendeva la gloria al posto suo? All’atmosfera che si respirava anche da casa, con i calciatori argentini che sembravano vivere i giorni migliori della loro vita? Sarà stato invidioso? Triste? Comunque felice? Un conflitto interiore che non possiamo capire, ma che probabilmente segnerà per sempre la vita di Lo Celso.
Amadou Diawara sta facendo il percorso al contrario: a 17 anni titolare in Serie A, a 26 nell’Anderlecht. È difficile dire cosa sia andato storto: «La combinazione di caratteristiche tecniche, tattiche, fisiche e mentali rendono Diawara un giocatore preziosissimo, che incarna perfettamente il profilo del centrocampista totale richiesto dal calcio moderno» scriveva Flavio Fusi quando Diawara aveva appena 18 anni e sembrava tutto vero. Diawara ha giocato con Napoli e Roma, ma fin dall’inizio è sembrato essere più un buon rimpiazzo che un titolare, un centrocampista affidabile ma senza quella scintilla che pensavamo potesse avere e che in questo “Preferiti” provavamo a raccontare.
Ha guidato la rivoluzione dei terzini/registi/trequartisti, e lo sappiamo: i rivoluzionari finiscono sempre male. Quando è andato al Borussia Dortmund sembrava il trampolino di lancio per una carriera fenomenale ma, per qualche motivo difficile anche da spiegare, ci è rimasto sette stagioni. Niente di male, eh, a Dortmund è diventato un calciatore esperto, un leader, uno dei migliori terzini della Bundesliga. In estate, libero di firmare per chi voleva, ha deciso di firmare per il Bayern Monaco. Risultato: zero presenze (in realtà è infortunato, dovrebbe tornare a breve a disposizione di Tuchel e vedremo se avrà abbastanza talento da giocare in una squadra in cui il terzino sinistro è un incrocio tra un Bolt e un Bolt fortissimo a giocare a calcio).
Quando ho scritto il Preferiti su Arkadiusz Milik non pensavo fosse così forte, a essere onesti. Concludevo il pezzo scrivendo che Milik “è molto, molto terreno”. Mi piaceva quello che ancora colpisce ancora di Milik: la presenza in area di rigore e la forza del suo piede mancino quando deve calciare in porta. Non mi sembrava potesse essere così forte nel gioco spalle alla porta, e che fosse così tecnico e intelligente. Se non avesse avuto tutti quegli infortuni alle ginocchia probabilmente staremmo parlando di uno dei migliori attaccanti al mondo. Oggi è ancora un grande attaccante, ma solo per momenti contingenti.
Alla fine lo Xabi Alonso tedesco non è diventato davvero lo Xabi Alonso tedesco. Julian Weigl sembrava avere tutto per fiorire nel calcio contemporaneo ma a volte certe cose sono semplicemente destinate a non funzionare. Il passaggio al Benfica, all’inizio del 2020, sembrava poter rilanciare la sua carriera in un’ottica completamente nuova e invece niente: ritorno in Bundesliga (Borussia Monchengladbach) e infortunio al ginocchio. Peccato.
Quando abbiamo scritto questo Preferiti, Kimmich sembrava ancora uno di quei giovani lanciati prematuramente da Guardiola destinati a una carriera da culto minore. Era arrivato come aspirante regista e il tecnico catalano, in emergenza di formazione, l’aveva messo al centro della difesa in Champions League. Poteva andare tutto storto e invece eccoci qui, a commentare quello che è diventato uno dei pretoriani del Bayern Monaco e della Germania.
A metà agosto Ousmane Dembélé è passato dal Barcellona al PSG per 50 milioni di euro, il che è incredibile considerando quanto poco ha giocato in blaugrana. L’ala francese non ha un buon rapporto con gli infortuni e non sembra avere alcun interesse a mantenere vive le aspettative sul suo talento, eppure con quella corsa leggera e quell’ambidestria naturale evidentemente è ancora capace di far innamorare. D’altra parte, noi eravamo stati i primi a cadere nella sua trappola.
Almeno in un ipotetico podio degli abbagli più grandi presi non solo da noi ma dal calcio in generale. Di certo uno dei giocatori con la forbice più ampia fra cosa ci aspettavamo e cosa è successo. Oggi, a 28 anni, ha ancora i capelli lunghi, la barba sfatta, un’aria generalmente imbolsita da chi ha scarsa cura di sé. In realtà pare aver stabilizzato la propria carriera nel centrocampo del Fortuna Sittard, in Eredivisie. Non male, per uno che a un certo punto non sembrava nemmeno potesse più essere un professionista, una specie di Makaulay Culkin del calcio. Indimenticabile la sua comparsata nel Milan 2018/19. Forse il più triste dei nuovi Messi.
Inaki Williams ha questo record di aver giocato 251 partite di fila, senza mai un raffreddore, una panchina punitiva, un giorno libero. È un record che non ci dice tanto sul suo talento, ma qualcosa ci dice. È ancora all’Athletic Bilbao, come quando scrivevamo questo “Preferiti”. È segno di un profondo attaccamento identitario alla squadra più identitaria di tutte o non è diventato abbastanza forte da ambire a palcoscenici migliori? Il suo nome per anni spuntava qui e lì nel calciomercato, ora – a quasi 30 anni – è più facile immaginarlo per sempre qui. Anche perché, nel frattempo, quello forte sembra essere diventato il fratello più piccolo, Nico, anche lui all’Athletic Bilbao (a 21 anni e, forse per fortuna, non abbiamo fatto un “Preferiti” su di lui).
L’anno scorso Paredes ha vinto un Mondiale in una delle stagioni peggiori della sua carriera, e forse questo già esaurirebbe il discorso. Uno dei migliori calcianti – secondo la celebre definizione di Allegri – non si è rivelato un calciatore altrettanto brillante, ma alla Roma, con una delle maglie che lo aveva lanciato, sembra aver ritrovato almeno una scintilla di quella luce che ci aveva spinto a scriverne, nell’ormai lontano 2016.
La qualità migliore di Breel-Donald Embolo è rimasta la precocità. A 16 anni diventa professionista, a 17 esordisce con il Basilea, a 18 gli dedichiamo questo preferiti («Di lui mi piace tutto» diceva Paulo Sousa). Embolo aveva già segnato il suo primo gol con la Nazionale Svizzera a quel punto: uno dei più giovani di sempre a farlo. Oggi di anni ne ha appena 26 e si può dunque dire che sta entrando nel momento migliore della sua carriera. Il suo percorso fin qui è stato ambiguo: qualche lampo, qualche gol decisivo soprattutto con la Svizzera, ma anche la sensazione che gli manchi qualcosa per essere definito un ottimo attaccante. L’ultima, al Monaco, è stata comunque la miglior stagione realizzativa della carriera con 14 gol. In estate però ha subito la rottura del legamento crociato anteriore e per ulteriori notizie, speriamo buone, bisogna ripassare nel 2024.
Jonathan Calleri segnava gol difficili, inventava pallonetti, disegnava rabone il giorno del ritorno di Carlos Tevez al Boca Juniors.
I centravanti argentini in potenza sono tutti forti e Calleri è stato uno dei più forti in potenza: «rappresenta una variante del ruolo, per rubare un termine alla gastronomia più en vogue, destrutturata» scriveva Fabrizio Gabrielli e Calleri è rimasto fermo lì, a quell’idea un po’ vaga di centravanti moderno che poi rischia di non essere né carne né pesce. Da speranza del calcio argentino è ironico che il suo contesto ideale lo abbia trovato in Brasile, al San Paolo, dopo aver girovagato senza successo in Spagna.
Vi ricordate quando non si poteva giocare a calcio senza terzini? È ancora così, ovviamente, ma nel 2015 sembrava dovessero spuntare terzini fenomenali da tutte le parti. Oggi, lo possiamo dire, forse ci eravamo un po’ montati la testa, ci eravamo invaghiti di troppi terzini e, naturalmente, qualcuno doveva finire per essere un terzino normale, perché dopotutto una delle caratteristiche dei terzini è proprio quella. Normale, comunque, per un calciatore spagnolo spesso vuol dire in ogni caso speciale. Gayà è rimasto al Valencia, di cui oggi è capitano e idolo, in una squadra che si sta autodistruggendo con grande costanza. È uno dei migliori terzini della Liga, nel giro della Nazionale. Si è evoluto in un terzino da grandi letture, senza grandi picchi atletici o tecnici, ma bravo in tutto, sempre presente. A voler essere un po’ cattivi viene da pensare che il ridimensionamento del Valencia abbia anche un po’ limitato le sue potenzialità.
C’è poco da aggiungere su Kingsley Coman, una delle migliori ali in Europa, capace di a 27 anni di vincere già 11 campionati Nazionali e una Champions League, segnando il gol decisivo in finale, più tutta un’altra serie di trofei che non ho voglia di elencare. Rispetto a quello che scrivevamo otto anni fa, Coman ha migliorato le aspettative, arricchito il suo bagaglio tecnico e tattico giocando in una delle più grandi squadre del mondo, per alcuni dei migliori allenatori degli ultimi vent’anni. Coman ha fatto e ottenuto tanto, ma si può dire addirittura che – senza tutti gli infortuni – avremmo visto di più. La sua carriera, infatti, è stata martoriata da problemi fisici più o meno gravi, che gli hanno fatto anche perdere il Mondiale del 2018, poi vinto dalla sua Francia. Uno stillicidio che lo ha spinto anche a pensare al ritiro.
Per certi giocatori è difficile dire se abbiano o meno realizzato il proprio potenziale. Youri Tielemans sta avendo un’ottima carriera, confermando per tanti versi le sfaccettature del suo talento. C’è stato un momento in cui la sua crescita e quella del Leicester – di un nuovo Leicester vincente – sembrava potessero andare a braccetto.
Jurgen Damm non è mai stato forte ma è sempre stato molto veloce. Quando abbiamo scritto questo articolo circolava la notizia che fosse più lento solamente di Gareth Bale. Faceva i 35 chilometri orari. Questo è bastato forse a farci innamorare di lui. Ha giocato diverse stagioni al Tigres, poi in MLS, poi è tornato in Messico ma la sua carriera sembra sostanzialmente finita.
Prima il Wolfsburg e poi il Porto hanno creduto in lui, e non ha funzionato. Sostanzialmente ha avuto una buona stagione, ma così buona da essere convocato anche nella nazionale olandese. Ora è una riserva dell’AZ.
«Se il calcio fosse uno sport individuale Ricardo Kishna sarebbe uno dei migliori giocatori al mondo». Forse sarebbe bastata questa frase, una delle prime nel Preferiti che gli abbiamo dedicato, per anticipare il futuro di Kishna. Il calcio non è uno sport individuale e i trick che faceva in allenamento non sono bastati a regalargli una carriera anche solo decente. Oggi a 28 anni è svincolato, l’unico di questa lunga lista.
Dal 2015, anno in cui abbiamo scritto per la prima volta di Mitrovic, a oggi, il centravanti serbo ha segnato centinaia di gol, spesso di testa, spesso con la maglia del Fulham o quella della Serbia. Non è diventato Benzema o Lewandowski ma si è ritagliato il suo spazio come idolo minore, un centravanti grande e grosso con una sensibilità tutta sua, rispettando la previsione di Lorenzo De Alexandris in questo articolo: «Nel suo DNA calcistico c’è l’aspetto più tradizionale della punta robusta insieme a una qualità tecnica sopra la media». I suoi gol rimangono comunque un’esperienza atipica nel calcio di oggi. Quando sembrava avviato verso una seconda parte altrettanto, se non di più, di successo, è arrivata la chiamata dell’Arabia Saudita. Oggi Mitrovic gioca nel Al-Hilal, guadagna 25 milioni di euro l’anno e ha segnato 6 gol in 9 partite.
Nell’estate del 2022 Pep Guardiola ha dichiarato che Bernardo Silva è stato uno dei migliori giocatori che abbia mai allenato. Allora sembrava un modo per allontanarlo dalle tentazioni del Barcellona, ma poi nei mesi successivi è sembrato vicino anche al PSG e addirittura all’Arabia Saudita. Ogni volta, comunque, Bernardo Silva è rimasto al Manchester City e ogni volta ha ribadito in campo la sua importanza ma anche la sua unicità all’interno di quella che è la migliore squadra d’Europa degli ultimi anni. Pochi altri giocatori hanno restituito la stessa sensibilità tattile con il pallone, lo stesso gusto nell’averlo attaccato al piede, se ovviamente escludiamo Lionel Messi. Bernardo Silva è stato un sospiro di sollievo in una squadra che a volte sembra lasciare poco spazio all’individualità. Ed è incredibile se pensiamo al contesto tattico in cui è maturato, il Monaco di Jardim, in cui lo vedevamo risalire – spettinato e con le guance rosse – metri e metri di campo, nei nebbiosi stadi francesi. In questi otto anni è cambiato tutto ma Bernardo Silva è rimasto speciale per gli stessi motivi che ci fecero innamorare allora. “Il motivo per cui il suo prezzo continua a salire sta per certi versi nella sua unicità”, scriveva Dario Saltari nell’estate del 2015.
Che bella idea era Luciano Vietto, numero 9 basso argentino dai piedi raffinati e grandi istinti in area di rigore. Esultanze enfatiche, il paragone col “Tigre” Falcao. Purtroppo nella realtà Vietto aveva davvero pochissima predisposizione a fare gol. La sua carriera è collassata su questa incapacità. Oggi è in Arabia Saudita, ma in serie b! (Come per la Championship, tra quanto cominceranno i discorsi che la seconda divisione saudita è meglio della nostra Serie A?).
Ok, qui forse non ci abbiamo preso al 100%, ma il senso di questi articoli non stava tanto nell’indovinare i campioni del futuro, quanto scrivere di “cotte”. Innamorarsi di Matías Kranevitter era facile: argentino, volante, carismatico, erede di Mascherano, fenomeno a Football Manager. Il suo assalto all’Europa si è fermato alla periferia: comprato dall’Atletico Madrid (sembrava un matrimonio perfetto) dopo 6 presenze e un prestito al Siviglia, è finito in Russia, allo Zenit San Pietroburgo, che però dopo appena una stagione gli ha preferito Leandro Paredes, un altro che trovate in questa rubrica. Dopo due anni al Monterrey, in Messico, Kranevitter è tornato al River Plate e si è spezzato la caviglia all’esordio. Recentemente è tornato a disposizione, ma non sembra trovare grande spazio.
Bernat ha sempre goduto di una buonissima stampa, compreso questo articolo, tanto che si può dire che forse sta avendo una carriera leggermente migliore rispetto a quello che meriterebbe. Tanti anni al Bayern Monaco, tanti anni al Paris Saint Germain: non ruba l’occhio ma un livello molto alto. Un giocatore con una tecnica in velocità che pochi hanno. Per squadre che vogliono terzini offensivi è stata una risorsa.
Leggenda della fascia destra del Sassuolo, della Serie A tutta, del tiro a giro sul secondo palo, delle pause pigre col terzino che gli mette pressione alle spalle. La faccia di quello che a scuola ti fregava la merenda pure se era un Kinder Colazione+ tutto spiattellato nella bustina. Nel frattempo ci ha aiutato a vincere un Europeo e ha sbagliato l’occasione più clamorosa che ci avrebbe forse (FORSE) fatto qualificare per il Mondiale. Culto.
Semplicemente il giocatore più sottovalutato dal 2000 in avanti. Più che subire questa sottovalutazione l’ha abbracciata, e non potendo diventare uno dei più forti giocatori al mondo è diventato uno dei più fichi, giocando in due squadre romantiche come Olympique Marsiglia e Vasco Da Gama.
Davvero abbiamo scritto di Muhamed Bešić? Sì (per sicurezza vi basta cliccare sul nome).
La carriera di Federico Bernardeschi da una parte è andata anche oltre le aspettative giovanili (più di 200 presenze in Serie A, molte delle quali con la Juventus, 3 Scudetti, 2 Coppe Italia, 2 Supercoppe; 39 presenze con l’Italia e l’Europeo vinto), dall’altra si è però come prosciugata del talento aggraziato, quasi erotico, con la palla di cui scriveva Emanuele Atturo in questo articolo. È difficile spiegare il motivo, forse il contesto alla Juventus l’ha costretto a cercare una strada diversa per giocare, forse non è stato capace di evolversi senza snaturarsi, forse avevamo visto troppo noi. In ogni caso a 29 anni, prima cioè del solito, è in MLS con il Toronto e non sembra passarsela troppo bene, almeno a sentire gli spifferi dello spogliatoio. Negli ultimi giorni si sta parlando, sempre più insistentemente, di un suo possibile ritorno a gennaio alla Juventus.
In quegli anni sembrava che il calcio a-stelle-e-strisce dovesse invadere l’Europa con calciatori sempre più forti e moderni. DeAndre Yedlin era uno di loro, uno che, come aveva scritto Fabrizio Gabrielli, «interpreta il ruolo di esterno basso di difesa, in un tipo di calcio in cui la parola “difesa” è solo un’ancora di sicurezza, una coordinata spazio-temporale di partenza». Un terzino quindi propositivo, atleticamente esuberante, velocissimo e con piedi educati. Come è andata alla fine: Yedlin ha messo insieme un centinaio di presenze in Premier League, che – comunque – le devi fare, due anni al Galatasaray, una solida presenza con la Nazionale. Oggi è il capitano dell’Inter Miami, almeno quando Messi non c’è.
C’è stato un momento in cui il talento di Martin Odegaard sembrava poter non esprimersi mai. Un momento durato tre anni, dal 2015 al 2018, prima insomma che Odegaard compisse i vent’anni. In quegli anni si diceva che l’hype che lo circondava fosse esagerato, che forse il Real Madrid – club che sbaglia poco – si era sbagliato con lui. Odegaard ci dimostra che la pazienza serve, specie per un giocatore peculiare come lui, un numero 10 che fa della sensibilità tecnica, delle letture e della visione di gioco i suoi punti di forza. Dopo l’ottima stagione alla Real Sociedad la Premier League sembrava un passo sinceramente azzardato, come avrebbe retto quei ritmi di gioco? All’Arsenal invece ha raggiunto un livello che ci sta facendo domandare se l’errore del Real Madrid, in realtà, non sia stato venderlo.
Diciamo la verità, eravamo tutti innamorati di Daniele Rugani e della sua compostezza quasi religiosa nell’Empoli di Sarri. Tornato alla Juventus sembrava destinato a ripercorrere la strada dei migliori difensori italiani di sempre, certo magari farlo a suo modo – meno fenomenale in marcatura, ma moderno, intelligente e tattico – ma farlo. Invece prima piano poi sempre più velocemente alla Juventus Rugani è diventato niente più che un tappabuchi, un nome da leggere tra quelli in panchina. Rugani in bianconero è rimasto un difensore buono per tutte le occasioni d’emergenza, ma inevitabilmente inadatto a ereditare il posto dei Chiellini, Barzagli, Bonucci, ma neanche dei Benatia, De Ligt, Bremer, Danilo, Alex Sandro e più o meno tutti gli altri difensori passati da Torino negli ultimi anni. Il suo momento di massima viralità è quando è stato il primo calciatore a risultare positivo al Covid-19. In ogni caso Rugani è ancora alla Juventus, e comunque bisogna saper fare il proprio lavoro per restare in una delle migliori squadre d’Italia (tranne un paio di prestiti) per 10 anni.
Sembrava un regista metodista classico, con una certa predisposizione al gioco lungo, si è affermato come attaccante ombra nell’Atalanta di Gasperini, ha trovato una sua dimensione da mediano instancabile nella Roma di Mourinho. Sembra davvero un giocatore d’altri tempi, per una solidità con pochi fronzoli, l’intelligenza e una tendenza quasi malata a giocare in pratica tutti i minuti disponibili.
Evidentemente Lazar Markovic è stata un’allucinazione collettiva. Come spiegare altrimenti il suo declino? È capitato, qui e lì, che i nostri articoli fossero enfatici, ma non c’era niente di non-enfatico nel talento di Markovic. Eppure dopo una stagione da stropicciarsi gli occhi al Benfica, il suo passaggio al Liverpool nel 2014 è stato l’inizio della fine. Che sia stato uno dei primi calciatori rottamati dai ritmi della Premier? Oggi a 29 anni, dovrebbe essere teoricamente nel prime della sua carriera. A vedere le sue foto, però, sembra già un fantasma: capelli ancora lunghi ma sempre più radi, la barba appena rasata che già si fa strada, una generale sensazione di leggero sovrappeso. Gioca in Turchia, nel Gaziantep.
Lazar Markovic looks really thrilled to be joining Gaziantep. pic.twitter.com/AuBzLpQBSp
— Serbian Football (@SerbianFooty) July 22, 2022
Oggi forse è difficile capire perché ci “innamoravamo” di Dennis Praet (più nello specifico Tommaso Giagni), ma immaginatevelo a 20 anni, con la maglia viola dell’Anderlecht, i capelli biondi al vento, gli occhi di ghiaccio. Esile ed efebico, portava ordine sulla trequarti, era tecnico e concreto, un Charles De Ketelaere senza la parte del cigno. Che è successo dopo allora? Dopo è arrivata la Serie A (Sampdoria) e dopo la Serie A la Premier League (Leicester) e dopo la Premier League è tornata la Serie A (Torino). Ora tocca alla Championship (sempre Leicester) e l’idea è che a breve torna di nuovo la Serie A.
Ora, è difficile riassumere in poche righe tutto quello che è successo ad Adrien Rabiot in tutti questi anni. Sull’Ultimo Uomo se ne è scritto solo in negativo ma la realtà è ben più complessa. Per semplificare potremmo dire che Rabiot è diventato molto più grosso. Quella specie di personaggio di Cocteau che vedete nell’illustrazione ora si è trasformato nella sua versione apocalittica. Un centrocampista odiato dai suoi tifosi, ma sempre titolare nella Juventus e nella Francia. Un mistero ben poco misterioso, se valutiamo il dinamismo di Rabiot, e l’importanza del dinamismo nel calcio contemporaneo.
La Redazione de l'Ultimo Uomo è divisa tra Roma e Milano, ed è composta da una dozzina di ragazzi e ragazze che, generalmente parlando, ti vogliono bene.
Questa volta è stato il trequartista del Bayer Leverkusen a rubarci il cuore.
Stavolta è stata l’ala del BVB a rubarci il cuore.
Questa volta è stato l’attaccante, figlio d’arte, del PSG a rubarci il cuore.