La scorsa settimana, contro il Torino, Charles De Ketelaere riceve un passaggio in area di rigore. Quando la palla arriva a lui, di solito, il mondo rallenta, decelera, si assesta su una velocità minore. È il suo pregio, il motivo per cui è un giocatore speciale, ma stavolta c’è qualcosa di disturbante nella sua lentezza. La palla gli arriva sul destro, non il suo piede migliore, e in più la capisce tardi. Se fate attenzione, sentirete montare un brusio sempre più sconfortato tra i tifosi del Milan. Lo specchio della porta si è richiuso, in mezzo non c’è nessuno, e allora De Ketelaere gira sui tacchi e torna indietro. Non è quel tipo di giocatore che affretta una giocata, figuriamoci in questo momento in cui non gli riesce niente. Ancora più forte, allora, si alza questo lamento di impazienza, di insoddisfazione, di frustrazione che non ha solo a che fare con questa occasione mancata, ma con la fine dei sogni, con lo scontro con una realtà dura da affrontare.
C’è stato un momento, la scorsa estate, in cui la felicità di un vasto gruppo di persone che tifa Milan dipendeva da un ventunenne belga dal nome lungo. Quest’estate l’acquisto di Charles de Ketelaere rappresentava due diverse cose.
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