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Marco D'Ottavi
La brutta serata di Cristiano Ronaldo
18 feb 2021
18 feb 2021
Una delle peggiori partite di Champions League di CR7.
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Marco D'Ottavi
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Foto Quality Sport Images / Getty Images
(foto) Foto Quality Sport Images / Getty Images
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L’ultima immagine di Cristiano Ronaldo al Estádio do Dragão di Oporto lo vede con le braccia larghe e l’espressione contrita verso l’arbitro. Pochi minuti prima aveva controllato in area un lancio di de Ligt, portandosi il pallone verso l’interno con il tacco per liberarsi lo spazio di tiro, ma era entrato in contatto con Zaidu ed era caduto a terra. Per diversi minuti il portoghese era sembrato non capacitarsi di quello che stava succedendo, con l’arbitro che aveva dichiarato conclusa la partita senza dare il rigore o consultare il VAR per dirimere la questione. Un rigore all’ultimo minuto per pareggiare una partita che fino a pochi minuti dalla fine sembrava compromessa avrebbe permesso a Ronaldo di recitare la parte dell’eroe ancora una volta. Una parte che in Champions League di solito gli riesce bene. Prima di ieri Cristiano Ronaldo aveva segnato 67 gol nelle 81 partite a eliminazione diretta della Champions League, più di tutti per distacco. Se da lui ci aspettiamo almeno un gol in ogni partita che gioca - perché banalmente la sua media è quella - in Champions League sembra quasi scontato vederlo segnare, soprattutto quando l’avversario predilige una difesa bassa e compatta e per essere scardinata c'è bisogno proprio della giocata del singolo. Proprio in questo stadio 12 anni fa Ronaldo aveva iniziato a creare la sua leggenda di Coppa, segnando il gol decisivo per il passaggio dai quarti alla semifinale di Champions League con un tiro scagliato da quasi 40 metri, in uno dei gol più belli della sua carriera, premiato anche con il Puskas Award.

«È per questo che sei il migliore» gli aveva urlato nelle orecchie Rio Ferdinand dopo questo gol.

Insomma le premesse erano tutte per una notte da Ronaldo di Ronaldo. Nel tunnel aveva salutato Pepe, l’amico di tante battaglie, e ricevuto il saluto deferente di tutti i giocatori del Porto. Ronaldo è infatti il figlio prediletto di tutto il Paese e se senza pubblico non possiamo ricostruire l’accoglienza che gli avrebbero riservato i tifosi del Porto, tra i giocatori portoghesi CR7 è quasi un culto. Entrando in campo l’avevamo visto caricarsi saltando da fermo, come una macchina che scalda il motore, inspirare l’aria di Porto con fiducia come solo con l’aria di casa si può fare, scambiare occhiate e frasi di incitamento con i compagni, ricoprendo quel ruolo di leader che sembra venirgli sempre più naturale nelle notti di Champions. Tutto, apparentemente, stava filando liscio.

Ronaldo aveva battuto il calcio d’inizio, accorgendosi subito che il pallone era sgonfio. Se avesse creduto ai segni, forse avrebbe capito che quello era un segno. Pochi secondi dopo aveva ricevuto nel mezzo spazio di sinistra, abbassandosi per facilitare la manovra. Si era girato con quell’elettricità di chi ha sempre fretta che lo contraddistingue, ma quando aveva allargato per Alex Sandro il pallone era stato intercettato da Corona. Il lancio immediato dell’esterno del Porto era stato assorbito dalla Juventus, ma sul palleggio seguente era arrivato l’errore di Bentancur e il vantaggio avversario. In lontananza Ronaldo si era messo le mani sui fianchi, assumendo quella postura contratta che ci rivela che non è contento. Erano passati 66 secondi e il portoghese aveva una palla persa nelle statistiche personali e un gol subito nelle statistiche di squadra. Il secondo pallone lo aveva toccato dopo altri 140 secondi, in uno scambio nello stretto con McKennie sporcato però da un recupero di Marega. Invece che un incidente di percorso, il vantaggio lampo aveva tagliato le gambe alla Juventus e galvanizzato il Porto. Al contrario di come ci si poteva aspettare, la squadra di Conceiçao attaccava il primo palleggio della Juventus con foga, abbassandosi solo in un secondo momento. Questo aveva reso ai bianconeri molto difficile arrivare in maniera pulita nella trequarti avversaria, frustrando quindi la parte migliore del gioco di Ronaldo. Forse il più grande cambiamento nel gioco della Juventus portato da Cristiano Ronaldo è quello di aver ribaltato il concetto di uno vale uno che aveva contraddistinto l’ascesa dell’ultimo decennio (forse potremo dire, però, che questo concetto faccia parte del DNA della Juve da sempre). Sia con Allegri che con Sarri, infatti, al fuoriclasse portoghese è stata lasciata grande libertà d’azione. Lui ha scelto di giocare a sinistra, posizione di campo dove ha reso la sua carriera un sogno, essendo libero di trovare la posizione in campo, muovendosi come un segugio per la trequarti alla ricerca di un tartufo a forma di gol mentre i compagni si organizzano di conseguenza. Con Pirlo questa tendenza si è ridotta. Schierato in una coppia di punte, la divisione vede il portoghese dominare la zona sinistra e il compagno, in questo caso Kulusevski, stazionare a destra. Quando dopo 20 minuti tutto quello che aveva fatto Ronaldo era stato finire due volte in fuorigioco e prendersela con Bentancur per non avergli passato il pallone nell’unica occasione in cui i bianconeri erano riusciti ad attaccare il Porto allungando il campo, non era quindi stato strano vederlo spostarsi a destra per cercare uno spazio vitale, anche perché il Porto aveva particolare attenzione nel difendere la catena composta da Alex Sandro, McKennie e Cristiano Ronaldo, soprattutto vista la lentezza del palleggio dei bianconeri. Più che in altre apparizioni, i giocatori di Pirlo sembravano molto confusi per quanto riguarda lo scaglionamento da tenere in campo. I movimenti di Ronaldo per ricevere finivano per scontrarsi con quelli dei suoi compagni. Al 25esimo, ad esempio, aveva ricevuto all’incrocio dell’area di rigore da Alex Sandro, ma dopo il controllo si era trovato davanti McKennie e il suo relativo avversario, che avevano reso più complicata la sua azione. Ronaldo per uscirne aveva provato una giocata un po’ goffa ma ha finito per sbattere addosso all’avversario.

Un immagine indicativa: otto giocatori del Porto in un fazzoletto di campo costringono la Juventus a tornare indietro.

Ronaldo poteva quindi scegliere se allargarsi per ricevere lontano dal granitico blocco centrale del Porto, finendo però così per tagliare fuori Alex Sandro dalla fase d’attacco, oppure se posizionarsi tra le due linee del Porto per agevolare la risalita del campo della Juventus, costringendo però McKennie a essere lui il giocatore a correre alle spalle della difesa avversaria per allungarla. In tutto il primo tempo il portoghese non ha mai voluto prendersi la croce di un lavoro di scatti continui oltre l’amico Pepe per creare uno spazio sulla trequarti. Dopotutto è il motivo per cui non vuole giocare da centravanti puro, per tutto quel lavoro di duello e scatti contro i centrali avversari che finirebbero per sfiancarlo. Pirlo non ha trovato un’alternativa per creare spazi tra i giocatori del Porto dove creare gioco, se non con qualche corsa di Chiesa, e il primo tempo di Ronaldo si è ridotto in un ricevere a sinistra e dover tornare indietro o perdere il pallone in un imbuto di maglie bianche e blu, e qualche lamentela verso compagni, arbitro e raccattapalle. Forse gli ultimi cinque minuti sono stati i peggiori, almeno emotivamente, del primo tempo di Cristiano Ronaldo. Prima ha visto Rabiot colpire il pallone in rovesciata, l’unico tiro in porta del primo tempo per la Juventus, a pochi centimetri da lui. Il movimento del francese era stato efficace ma scoordinato, da chi era alla prima rovesciata in vita sua, e come se non bastasse era stato fischiato un fuorigioco - un po’ cervellotico - proprio a Ronaldo. Poi nel recupero aveva ricevuto sulla sinistra, puntando il centro come ci ha insegnato negli anni, ma dopo un paio di doppi passi si è trovato tre avversari davanti finendo per perdere il pallone in maniera anche troppo banale. Dopo aver perso palla aveva abbassato la testa sconsolato.

Le reazioni di Ronaldo sono sempre molto evidenti. Nel bene - dopo un gol - e nel male - quando è frustrato - rappresentano una parte del suo racconto. Non si può raccontare Ronaldo senza il Siuuuuu, gli sbuffi, i sorrisi, i gesti. E forse allora più che le palle perse (4 alla fine), dell’imprecisione nei passaggi (il peggiore in percentuale di passaggi riusciti tra i compagni) è il gesto fatto dopo il secondo gol del Porto, preso dopo appena 24 secondi dal fischio d’inizio del secondo tempo, a raccontare la partita nella partita di Ronaldo. Il portoghese alza l’indice verso i compagni (nell’inquadratura si vede Bentancur, ma è rivolto a tutta la squadra) come a dire «Uno». E non è facile capire, proprio perché è Ronaldo, se sia un incitamento del tipo “ci basta un gol perché questa partita non sia un totale fiasco” oppure se sia piuttosto la rabbia di chi pensa di dover decidere la partita “datemi almeno un pallone giocabile per favore”. O chissà, magari voleva rimproverare la difesa ("Non ne azzeccate una") o far notare ai compagni come fosse il primo minuto (per la seconda volta il primo minuto di gioco).

Nel secondo tempo, c’è da dire, Ronaldo ha provato a essere più funzionale alla squadra e meno idiosincratico nella ricerca del pallone. Questo gli ha permesso di effettuare l’unico tiro della sua partita dopo 5 minuti, ma anche di rendere un po’ più efficace l’attacco dal lato sinistro. Tuttavia sia lui che i compagni hanno avuto difficoltà nel controllare e giocare il pallone nei pochi spazi lasciati dai giocatori del Porto, che braccavano Ronaldo con particolare sadismo. L’atteggiamento più propositivo si è però scontrato con Alex Sandro, in maniera, mi perdonerete se abuso del termine, letterale. Che c’era un problema nella disposizione dei giocatori in campo era apparso da subito evidente. Come una slavina, l’assenza di Cuadrado aveva portato Danilo a spostarsi a destra cambiando i meccanismi della fluidità della Juventus. Se con il terzino brasiliano a sinistra da quel lato Ronaldo si accoppiava con giocatori come Ramsey, Chiesa e McKennie, molto più a loro agio a entrare dentro al campo, con Alex Sandro la gestione dell’ampiezza a sinistra doveva essere gestita in maniera diversa. I due hanno avuto più di un problema nel gestire le loro posizioni. L’azione è indicativa delle difficoltà della Juventus e di Ronaldo lì a sinistra: Sandro riceve un pallone troppo indietro sull’esterno. Dopo il controllo ha McKennie davanti e Ronaldo alla sua destra, a cui passa il pallone. Il portoghese prova a chiudere il triangolo, ma Corona intercetta il suo passaggio. Il controllo non è perfetto e sul giocatore del Porto piomba McKennie che in scivolata sposta il pallone verso la linea laterale. Ronaldo è un falco nel arrivare prima di tutti e con l’esterno portarselo avanti. Sulla sua linea di corsa però c’è Alex Sandro. L’impatto tra i due - dopo che nel primo tempo era successa una cosa simile tra Kulusevski e Rabiot - è diventato l’emblema delle difficoltà della Juventus. Un momento di calcio a cui è difficile assistere nel calcio dei professionisti dove le distanze sono studiate a tavolino e la sensibilità dei giocatori impedisce scene comiche. Ma se un episodio buffo può capitare, quando coinvolge Cristiano Ronaldo - l’uomo di Vitruvio, la macchina perfetta, il calciatore azienda - è difficile ignorarlo. Dopo l’impatto Ronaldo rimbalza indietro di qualche passo e poi si mette a camminare spalle all’azione, con un linguaggio di chi vorrebbe incolpare il compagno. Spesso le sue reazioni hanno questo tipo di egocentrismo, più frutto del momento che non odio verso gli altri. Le spalle spioventi sono il segno della frustrazione.

A voler analizzare l’episodio è difficile dividere le colpe: Alex Sandro non può smaterializzarsi, mentre Ronaldo aveva dalla sua l’inerzia dell’azione. Probabilmente il portoghese dopo aver visto l’impasse del brasiliano avrebbe potuto lasciare lì il pallone e spostarsi e il fatto che non lo abbia fatto è una dimostrazione della natura cannibale del suo gioco. Quando qualche secondo dopo Chiesa aveva colpito male un pallone che poteva trovarlo solo al centro dell’area, Ronaldo aveva comunque alzato il pollice. L’idea è sempre che si può sbagliare, l’importante è farlo cercando di servirlo. Dopo questo episodio era iniziato il momento migliore per la Juventus. L’ingresso di Morata aveva portato un giocatore in grado di muovere a fisarmonica la difesa avversaria, mentre quello di Ramsey aveva dato più smalto nel palleggio tra le linee. Anche per Ronaldo era stato un buon momento, non a caso: per due volte aveva servito un compagno dentro l’area di rigore, creando due occasioni di tiro. Anche nella gestualità si è mostrato più presente. Al 67esimo una sua azione di pressing sul portiere, non seguita da Chiesa, lo aveva portato a cacciare un urlo belluino accompagnato da un ampio gesto del braccio. Nell’azione successiva ha indicato il cambio di campo a Alex Sandro. Quando riceveva tra le linee però era stato impreciso, anche per la pressione degli avversari, pronti a raddoppiarlo anche lontanissimo dalla porta (al 73esimo lo ha fermato Grujic, dopo una bella sequenza di controllo, dribbling e tunnel che però aveva generato un 4 contro 4 nell’altra metà campo). Se le cose erano migliorate, il tempo iniziava a stringere. È quello il momento in cui Ronaldo diventa impaziente. Il suo pressing si accentua, ma è spesso impreciso, causale. Quando viene superato dal palleggio avversario saltella inviperito (come al minuto 80). Proprio allora era arrivato il gol della Juventus. Alex Sandro aveva ricevuto basso sulla sinistra, Rabiot era scattato alle spalle della difesa avversaria, ricevendo la verticalizzazione del terzino brasiliano. Sul suo cross arretrato Chiesa aveva battuto di piatto Marchesin. Ronaldo si era visto sfilare il passaggio di Alex Sandro vicino. Non aveva avuto ruolo nel gol, ma se si fosse accentrato quel pallone non sarebbe mai arrivato diretto a Rabiot. Nel momento della conclusione di Chiesa, come magicamente, Ronaldo era lì vicino. Dopo l’impatto aveva fatto un saltello, quando il pallone era entrato in rete aveva stretto i pugni. Nello stadio vuoto si sente un urlo strozzato sopra gli altri, con un timbro di voce sordo che sembra il suo. Come uno squalo, la Juventus aveva fiutato il sangue, ovvero la possibilità di chiudere in pareggio una partita affrontata male e giocata peggio. Ronaldo aveva continuato la sua partita nella partita. Al minuto 84 aveva ricevuto sull’esterno, era rientrato sul destro e d’interno aveva messo una palla intelligente a giro sul secondo palo dietro la difesa del Porto. Il cross era però troppo alto per Ramsey e troppo lungo per Morata. Nonostante tutto il portoghese aveva urlato qualcosa e fatto ampi gesti verso nessuno mimando un taglio come se i compagni avessero mancato per imperizia l’assist perfetto.

Alla partita di Ronaldo mancava solo l’appendice. Prima era arrivato un mezzo liscio in semirovesciata su un pallone difficile e poi l’azione finale, proprio nell’ultimo minuto di gioco. Con un senso di necessità che ormai lo divorava, sull’ultima palla Ronaldo aveva fatto la giocata migliore della sua partita, un controllo a rientrare di tacco su un lancio di 30 metri nel cuore dell’area di rigore, senza il successivo contatto sarebbe stata un’occasione ghiotta per tirare in porta o servire un facile assist. Le proteste iniziali del portoghese si erano accentuate dopo il fischio finale, arrivato pochi secondi dopo. Ronaldo si era piegato con le mani nei capelli come se avesse ricevuto una brutta notizia in un film drammatico. Non era stato subito chiaro quello che sarebbe successo dopo. Il VAR avrebbe potuto concedere il rigore dopo il fischio finale? Ronaldo e i suoi compagni hanno provato a indirizzare l’arbitro verso il televisore a bordo campo, ma non c’era stato nulla da fare. Quando il portoghese aveva capito che l’arbitro non sarebbe tornato sui suoi passi si era arrabbiato molto. Nel capannello finale aveva alternato con molta grazia i saluti con gli avversari (tra cui Conceicao padre e figlio) e le occhiatacce all’arbitro, come se volesse convincerlo che c’era ancora tempo per concedere il rigore che avrebbe riscattato la sua partita. Poi se ne era tornato negli spogliatoi con le pive nel sacco, portandosi sulle spalle una delle peggiori prestazioni in carriera nelle sfide a eliminazione diretta della Champions. Una prestazione che ha stonato ancora di più alla luce di quello che era successo a neanche troppi chilometri di distanza dove Haaland aveva segnato una doppietta al Siviglia, arrivando a 13 gol in 18 partite. L’attaccante norvegese dopo la partita aveva citato la tripletta di Mbappe della sera prima come un'ulteriore motivazione. Questa idea di vedere la Champions come un’ossessione - idea che Haaland incarna più di tutte le nuove leve - arriva dritta da Cristiano Ronaldo e questa settimana di coppe potrebbe essere vista quasi come un passaggio di consegne. Mbappe e Haaland che salgono sul trono, Cristiano Ronaldo e Messi che scendono. Dopotutto non si può sconfiggere il tempo. Tuttavia va ricordato che, prima del gol di Chiesa, Ronaldo aveva segnato gli ultimi sette gol della Juventus nelle sfide a eliminazione diretta. Aveva giocato male all’andata contro l’Atletico Madrid - deviando addirittura nella propria porta il tiro di Godin - ma al ritorno aveva segnato i tre gol che avevano permesso alla Juventus di passare il turno, nella serata migliore della sua esperienza in bianconero. Anche contro il Lione aveva giocato una partita anonima all’andata per poi riscattarsi al ritorno, segnando due gol che - se non erano stati sufficienti per il passaggio del turno - avevano evidenziato lo scarto tra lui e i compagni nella mentalità con cui affrontare queste partite. Uno scarto che ieri è apparso ancora più evidente. Se la cattiva prestazione di Ronaldo ha dato adito a speculazioni e articoli come questo, quella dei suoi compagni è apparsa la norma e un problema per la Juventus. Se Ronaldo riuscirà a nasconderlo sotto il tappo tra tre settimane, buon per lui, altrimenti per i bianconeri potrebbe arrivare il tempo delle riflessioni.

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