Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Si fa presto a comprare la Roma
08 mag 2020
08 mag 2020
In tanti ci hanno provato negli ultimi anni, quasi nessuno ci è riuscito.
(di)
(foto)
Dark mode
(ON)

 

 



A quanto pare, l’era Sensi è finita la prima volta in uno sfarzoso negozio d’abbigliamento in via dei Condotti. Prada, Bvlgari, Gucci, chissà. L’unica cosa che sappiamo è che ha i prezzi talmente alti che sono gli stessi commessi a non credere nemmeno per un secondo che mai qualcuno possa entrarci per comprare qualcosa. E così,

un articolo del Corriere della Sera del 9 febbraio del 2004, quando Valery Simenov si presenta per acquistare un cappotto da 25mila euro il commesso che lo serve rimane per “un istante a bocca aperta”.

 

Valery Simenov è un russo sulla quarantina, “occhi chiari e capelli biondo cenere, look vagamente alla Arcady Renko di «Gorky Park»” e nonostante abbia appena squarciato il velo di Maya dei negozi di lusso non è venuto a Roma a fare shopping. È da giorni che si sta incontrando con Fabio Capello, Franco Baldini e Rosella Sensi per conto della Nafta Moskva, una grossa compagnia petrolifera russa che per qualche motivo vuole comprare la Roma. Qualcuno dice sia stata consigliata da Roman Abramovich, che ha una quota di minoranza nella società e avrebbe voluto comprare Totti ed Emerson per 150 milioni. Nonostante gli “inequivocabili modi da nuovo ricco”, quindi, Simenov è solo un emissario venuto in Italia con tre cose: un portafoglio pieno di carte di credito, una compagna appariscente e un messaggio: «Vogliamo la Roma. Siamo disposti a pagare 400 milioni di euro, cash».

 

Sulla metaforica lettera che Simenov fa recapitare a Trigoria ci sono due nomi. Il primo è quello di Anatoly Kolotilin, presidente della Nafta Moskva con un passato poco chiaro nell’Unione Sovietica: ministro dell’industria secondo il Corriere, vice-ministro del petrolio

Repubblica, consigliere economico per il governo a Baghdad

l’intelligence americana. Il secondo è quello di Sulejman Kerimov, su cui le notizie sono ancora più nebulose. Repubblica, ad esempio,

come “collettore della malavita daghestana attiva nel contrabbando del caviale e nel commercio della droga proveniente dall’Afghanistan” subito prima di precisare che si tratta di accuse giornalistiche mai provate. Per quanto vaga, la stampa italiana è attirata dalla sua vita apparentemente sregolata come una falena da una lampadina in veranda d’estate. Ovviamente fa gola la sua passione per le donne. Due, in particolare: Anastassia Volochkova, ballerina del Bolshoi “da poco silurata perché troppo «grassa»”, e Natalia Vetlizkaja, star del pop russo a cui ha regalato un concerto personale di Toto Cotugno e una Mercedes 420.

 

In ogni caso, la loro offerta non passa inosservata perché la Roma non naviga in buone acque. Ci sono quattro mensilità arretrate da versare ai giocatori, 105 milioni di euro di Irpef mai pagati e un piano di ristrutturazione del debito concordato già in quell’anno dal gruppo Italpetroli di proprietà dei Sensi con Capitalia (antenata di Unicredit). Forse è per questo che

ipotizza che in realtà l’offerta dei russi includa anche altre proprietà, come i depositi petroliferi sulla costa tirrenica e la partecipazione nel porto di Civitavecchia. Il petrolio italiano ai russi fa gola, si dice.

 

Ma la Roma non è petrolio. Qui ci sono di mezzo i sentimenti e per questo in molti dipingono per la famiglia Sensi una situazione alla

, con il padre Franco restio a privarsi del suo pezzo di cuore e le figlie, in primo luogo Rosella, a spingere per una cessione che cancellerebbe con un colpo di spugna tutti i debiti e i problemi.

 


Foto di Elio Castoria / LaPresse.


 

Quanto c’è di vero? È difficile, quasi impossibile, da dirsi. A Roma il confine tra la realtà e la diceria non esiste, e le leggende scavano nella verità come i buchi nel marmo del Colosseo, e oggi non riusciamo a immaginarcelo senza. Mentre la cessione sembra più vicina ogni giorno che passa in città convivono tutte le possibilità che il futuro potrebbe riservare alla società giallorossa: «Roma venduta, Roma ancora ricca e pronta a intervenire sul mercato, Roma lontana da Sensi e in mano a una cordata russa, Roma di nuovo sola e piena di problemi», come scrive Repubblica alla fine di febbraio.

 

D’altra parte, sembra la stessa Roma a pensare di essere di fronte una truffa. Di fronte a rumor ormai fuori controllo, da Trigoria sono costretti a pubblicare un comunicato ufficiale

: «C’è stato un unico incontro tra un rappresentante della famiglia Sensi ed alcune persone

dirigenti della Nafta Moskva». Così come i commessi di via dei Condotti, forse nemmeno i Sensi riescono a credere che qualcuno voglia comprare la Roma a quella cifra. Le vere o presunte cordate di imprenditori romani,

a quel tempo dall’allora sindaco Walter Veltroni, non erano arrivate che a poco più della metà. L’altra metà, secondo Veltroni, la pagavano in sicurezza: «Un padrone straniero non ti fa mai stare tranquillo».

 

Non stupisce quindi che, sotto lo strato di voci e dicerie, la trattativa in realtà vada avanti. A rappresentare i russi, che

sono in attesa di notizie sulle nevi svizzere di St. Moritz “pronti a piombare nella capitale” come barbari, c’è il leggendario avvocato siciliano Salvatore Trifirò - giuslavorista. Trifirò è abituato alle trattative-maratona, anche se questa con le voci che si rincorrono assomiglia più a una staffetta 4x100. Si dice che nei momenti più intensi ami togliersi le scarpe e camminare scalzo per la stanza. Quando esce per una cacio e pepe dal palazzo romano in via Bocca di Leone dove vanno avanti i lavori si svincola dai reporter che pendono dalle sue labbra dichiarando: «Noi non sappiamo nemmeno come ci chiamiamo», e non si capisce se è più immerso nei suoi pensieri o più paraculo. La Gazzetta dello Sport, in un pezzo di fine febbraio dal titolo

, propende per la seconda ipotesi e fa filtrare una voce che dice che il grosso è già fatto.

 

Quando l’affare sembra concluso e impazzano le foto di Sensi con il colbacco la trattativa però sfuma. I celebri dettagli tecnici, vere colonne d’Ercole delle trattative che hanno riguardato la Roma più o meno da sempre, come sappiamo non verranno mai limati. Cosa è successo? Le teorie sono diverse.

 

è quella che vede il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, spaventato da un possibile competitor nel campionato italiano per il suo Milan, chiamare l’amico Vladimir Putin e chiedergli di ordinare ai suoi oligarchi di ritirarsi. Una teoria che, come spesso succede alla farsa in questo Paese, rischiò di finire in Parlamento.

La Margherita a chiedere allora un’interrogazione parlamentare sulla questione, bollata da Gianfranco Fini come “una colossale sciocchezza”.

 

Una seconda teoria, sostenuta dallo stesso avvocato Trifirò, è che Kerimov e Kolotilin si spaventarono della

che la Guardia di Finanza fece scattare in quei giorni nelle sedi di tutti i club di Serie A e Serie B per presunti illeciti sui bilanci e le fideiussioni bancarie per iscriversi al campionato.

 

, meno propensi all’immaginazione, gli oligarchi russi invece avrebbero semplicemente approfondito la situazione disastrosa dei bilanci della Roma, “peggiori delle pur catastrofiche attese”, e avrebbero quindi deciso che alla fine quel cappotto non valeva 25mila euro.

 

C’è infine chi ha puntato il dito sul rapporto tra il settore bancario e la politica.

l’Espresso, ad esempio, a opporsi sarebbe stata la stessa Capitalia nella figura di Cesare Geronzi, “l'unico banchiere non di sinistra d’Italia”, che non voleva perdere il controllo sul gruppo Sensi e che avrebbe chiamato addirittura Palazzo Chigi, che come sappiamo a quel tempo per le persone non di sinistra aveva un occhio di riguardo.

 

Qualche giorno dopo sarebbe intervenuto sulla questione pure Giulio Andreotti, che in quanto a segreti e AS Roma ha sempre avuto voce in capitolo. «È molto preoccupante che la trattativa sia saltata»,

Andreotti «evidentemente sono venuti al pettine i nodi che tutti conoscevano ma di cui nessuno parlava». A cosa si riferiva l’ex Presidente del Consiglio? «Mi piacerebbe sapere come hanno fatto i russi a fare tutti questi soldi, come possano comprare società ovunque, spendere tanti miliardi, come gli americani qualche anno fa». Nella coda, il veleno: «Speriamo bene, adesso bisogna guardare oltre. Ai rapporti fra banche e imprenditori, per cui non si capisce bene se i soldi nel calcio ce li abbiano messi davvero loro o invece gli istituti di credito».

 



Joe Tacopina sembra un personaggio uscito dai

. Sotto i capelli corvini tirati indietro con il gel, gli occhiali da sole anni ’90 e il sorriso spaccone, però, c’è un rinomato avvocato penalista italo-americano con un passato da pubblico ministero. Suo padre,

, gli ha passato la passione per i colori giallorossi e quando nell’estate del 2007 è venuto a sapere che i Sensi erano ancora disponibili a trattare la cessione del club non ci ha pensato due volte. Fa circolare l’idea tra alcuni suoi amici del settore, tra cui Charlie Stillitano (l’uomo dietro l’International Champions Cup da sempre interessato a portare il calcio negli Stati Uniti), e in poco tempo arriva alla compagnia d’investimento Inner Circle, che gli dice di poterlo mettere in contatto con George Soros.

 


Foto di Mario Carlini / Iguana Press / Getty Images.


 

Vecchia volpe della finanza, il miliardario americano di origini ungheresi nella Roma ci vede qualcosa, ma solo per una valutazione intorno ai 250 milioni di dollari. Secondo

fatta anni dopo da David Rossi, quindi, incarica la Inner Circle e Joe Tacopina di portare avanti per suo conto le trattative a Roma, dove arriverà come un imperatore in trionfo solo una volta raggiunto l’accordo sul prezzo. L’operazione ha il nome in codice

e dovrebbe portare Tacopina a diventare presidente operativo della Roma in meno di un anno.

 

L’avvocato italo-americano, tra il settembre e l’ottobre del 2007, fa diversi viaggi a Roma, fa recapitare l’interesse della Inner Circle alla famiglia Sensi, si incontra con alcuni esponenti dell’ambiente romano. Tra questi c’è anche Massimo D’Alema, allora vicepresidente del Consiglio e ministro degli esteri del governo Prodi, a cui, chissà, magari svela l’intenzione di Soros di voler costruire uno stadio di proprietà, come si legge sui giornali.

 

Il piano funziona, tutto va spedito verso la felice conclusione della trattativa, e fino all’aprile del 2008 sulla strada dell’offerta da 283 milioni di euro non sembrano esserci ostacoli. La visione di Soros di trasformare la Roma nel “nuovo Manchester United”, come avrebbe detto in un’email privata a Joe Tacopina, sembra a un passo dal realizzarsi. Nell’aria di Roma, però, ci sono i segnali di qualcosa che cambia. Sui giornali inizia a diffondersi la notizia di una seconda offerta. Un’offerta araba, per la precisione, che si aggirerebbe intorno ai 400 milioni di euro.

 

Fin da subito c’è qualcosa che non torna. La Repubblica, per esempio, riporta le parole di quello che dovrebbe essere Saeed bin Maktoum bin Rashid Al Maktoum, tiratore al piattello olimpico e, incidentalmente, membro della famiglia reale di Dubai, che, da Pechino, dove si tiene la Coppa del Mondo della sua disciplina,

di conoscere l’interesse concreto degli Emirati per la Roma, con tanto di nota di precisazione della Federazione italiana tiro a volo. Quello in foto, però, sembra essere il quasi omonimo Ahmed bin Saeed Al Maktoum, presidente tra le altre cose del gruppo Emirates. Lo sceicco, tra i due, sembra inequivocabilmente il secondo, mentre le dichiarazioni dovrebbero essere quasi sicuramente del primo.

 

Già il giorno dopo la famiglia Sensi

alla Consob, l’organo di controllo della borsa, che non esiste nessuna offerta araba e che sta trattando la cessione della società con la Inner Circle. Il piano della storia, però, ormai si è inclinato: Soros, temendo di essere coinvolto in una manovra speculativa al rialzo, si tira fuori e Unicredit, che ha ancora il piano di ristrutturazione del debito di Italpetroli sul tavolo, rimane con il cerino in mano per la seconda volta.

 

Un anno dopo, con la trattativa ormai morta e sepolta, Joe Tacopina

sull’accaduto ribandendo che la trattativa era talmente avanzata che il suo gruppo aveva già iniziato a pensare al calciomercato, che sarebbe dovuto partire con il botto Drogba.

 

Come tutti i più grandi misteri italiani non conosceremo mai la verità, così come non sapremo mai da dove è uscita fuori l’offerta araba che ha fatto collassare l’operazione

. Secondo Tacopina, tutto nacque da una email inviata a Unicredit da Giuseppe Marra, detto Pippo: cavaliere del lavoro, proprietario dell’Adnkronos, uomo molto vicino ai Sensi nonché grande maschera della Prima Repubblica.

“l’ombra di Cossiga” e “gran cerimoniere dei palazzi romani”, su Pippo Marra circolano le più disparate teorie. Sul perché abbia voluto far fallire l’offerta di Soros la nebbia della storia è però ancora troppo fitta.

 



A quasi un anno esatto dall’avvio dell’operazione

a Trigoria tornano a bussare gli stranieri. Chi questa volta? Alla fine di novembre del 2008 si inizia a parlare di un generico interesse del leggendario dittatore libico Muammar Gheddafi che, attraverso la Banca di Libia, detiene una piccola quota di azioni di Unicredit (tra il 4 e il 7%). Tanto basta. È con la primavera, però, che a Roma sbocciano i rumor, forse perché in strada si sta così bene e non si può evitare di parlare di futuro, di sognare di mercati faraonici di nuovi facoltosi proprietari. All’inizio di aprile del 2009 alla Roma vengono associati non uno ma ben due nuovi nomi. Quelli di Gert Rudolph Flick (detto “Muck”) e Friedrich Christian Flick (detto “Mick”): mercanti d’arte, nobili, figli di una famiglia di industriali tedeschi che durante la Seconda Guerra Mondiale collaborò con il nazismo. La stampa romana li piazza entrambi al 197esimo posto tra gli uomini più ricchi del mondo e tra gli azionisti di minoranza dell’azienda tedesca di automobili Daimler. Nel chiacchiericcio, poi, rimane, indelebile, anche l’ombra di una possibile cordata romana, tra cui, al tempo, spicca soprattutto il nome di Francesco Angelini, il cosiddetto “Signor Tachipirina”, dal farmaco di punta della sua nota casa farmaceutica.

 

Al varco della manifestazione d’interesse, però, di tutti questi nomi non ne rimane nemmeno uno, e alla fine d’aprile emerge una nuova torbida figura, quella di Vinicio Fioranelli. Esponente di punta degli svizzeri di origini italiane legati emotivamente al Pescara (chiedere a Marco Giampaolo per informazioni), Fioranelli è un agente di mercato con il nome del musicista bossa nova di Serie B e non si capisce cosa abbia precisamente a che fare con la scalata di un club. Dopo una laurea in biologia e una carriera nel mondo della ristorazione in Svizzera, all’inizio degli anni 2000 ha collaborato soprattutto con la Lazio di Cragnotti: dopo aver portato ai biancocelesti Stankovic soffiandolo proprio alla Roma, però, il suo curriculum è andato via via peggiorando. Dopo

De la Peña alla Lazio è stato costretto a

la grana Mendieta rigirandolo al Barcellona, e

a vendere Paolo Negro al Real Madrid. Con lui, effettivamente, c’è un Flick, ma non è né Muck né Mick, bensì un certo Volcker - non meglio precisato avvocato austriaco.

 

A maggio, con il susseguirsi dei comunicati di smentita, l’ombra di Fioranelli diventa sempre più oscura e concreta. Si parla di un’offerta di circa 200 milioni per il 67% delle azioni della Roma detenute dal Gruppo Italpetroli, a cui qualcuno ne aggiunge, per non farsi mancare niente, altri 200 nei successivi quattro anni solo per il mercato. Sono giorni in cui i reali obiettivi di mercato della Roma si chiamano Stefano Guberti e Marco Motta, e sognare in questo contesto non può che fare bene. Alla Procura di Roma, però, il mercato purtroppo non interessa e, annusando immediatamente la situazione, riapre il fascicolo dedicato alle scalate alla Roma, identificato per qualche ragione con la lettera K.

 

https://www.youtube.com/watch?v=5W4PBWRW_G0

 

Il 22 maggio, dopo un’attesa spasmodica di giorni, Vinicio Fioranelli viene finalmente avvistato a Roma e fermato da SkySport24. Sguardo piacione, capelli radi e borsa a tracolla da professore universitario, a vederlo oggi Fioranelli sembra esattamente uno che sta bluffando. Questi sono alcuni dei passaggi più rilevanti della sua intervista.

 



«È vero. L’Unicredit non dice mai bugie. Io non ho mai sentito una banca che dice bugie».

 



«Sì, in televisione. […] Questa discrezione sottolinea la serietà di questo progetto, di cui fanno parte persone molto molto serie. È anche una dimostrazione di solidarietà per la famiglia Sensi».

 



«Il mondo è stato costruito in 7 giorni, lasciatemi qualche giorno in più visto che Dio è qualcun altro. Ci sono già tanti che pretendono di prendere il posto del Padre Eterno. Io non lo pretendo perciò ho i tempi un po’ più lunghi».

 



«Non so che giorno è oggi».

 



«Non lo so».

 



«Mia moglie dice di sì e mi conosce bene».

 

Segue un giugno di presunti avvicinamenti e allontanamenti. Repubblica il 20 giugno titola

. Nonostante questo, la fantomatica offerta di Fioranelli e della cosiddetta cordata svizzero-tedesca sfuma esattamente così com’era apparsa: nel nulla.

 

Dei sogni dei romanisti rimane solo l’esotica prospettiva del mai precisato interesse libico. Quando a giugno, tra uova, polemiche e proteste, arriva a Roma Muammar Gheddafi piazzando le sue tende e le sue amazzoni a Villa Pamphili, a piazza del Campidoglio compare uno striscione che recita: «Benvenuto Gheddafi, Forza Roma». Ad accogliere il dittatore libico a braccia aperte, tra sindaci, funzionari e ministri, si presenta anche Mario Corsi, detto Marione, “conduttore radiofonico ed ex terrorista italiano”

, che gli regala una maglietta della Magica. Di quell’incontro in piazza, Repubblica conserva persino

di un altro anonimo tifoso della Roma, già innamorato del suo nuovo proprietario: «A vederlo bene in faccia Gheddafi sembra un romanista».

 



Dopo sette anni di avvicinamenti, truffe e sogni, proprio quando nessuno ci credeva più, l’era Sensi è finita davvero nell’estate del 2011 passando alla cordata di imprenditori guidata prima da Thomas DiBenedetto e poi James Pallotta. Ovviamente non prima di un vortice di offerte mai presentate o presunte: dal gruppo Aabar al presidente egiziano di Wind Naguib Sawiris, passando per il padrone di Banana Republic e GAP, John Fisher, ad Antonio Angelucci,

a un mai precisato imprenditore francese sponsorizzato da Vincent Candela.

 


Foto di Paolo Bruno / Getty Images.


 

C’è un ultimo colpo di coda del realismo magico, però. A febbraio del 2013 si presenta alle porte di Trigoria un nuovo sceicco, l’ennesimo. Si chiama Adnan Adel Aref al Qaddumi al Shtewi e secondo alcuni si è presentato in limousine bianca al ritiro estivo negli Stati Uniti della squadra giallorossa l’estate precedente. Quando la Roma

di aver raggiunto con lui un accordo preliminare per l’acquisto di una quota di minoranza della società di lui si sa ancora pochissimo. Si dice sia nato a Nablus, in Cisgiordania, e sono tutti concordi sul fatto che sia giordano. Da una trentina d’anni vive in Italia, dove opera la sua società, la Amyga, che ha la sua sede amministrativa a Perugia, che però nessuno riesce a trovare.

 

La prima volta lo si vede sugli spalti dell’Olimpico accanto a Michele Padovano durante una Roma-Juventus decisa da un gol di Totti, chiuso in un elegante cappotto beige, con gli occhiali da sole tartarugati, il pizzetto e la barba a incorniciarne la smorfia. «Chi si aspettava il classico sceicco con tanto di turbante e tunica bianca, resterà deluso»,

Repubblica. Dicono che voglia iniettare nella società giallorossa 50 milioni di euro ma non è chiaro nemmeno da dove provengano esattamente questi soldi. In

al Tempo dice di avere da parte un’immensa eredità depositata su “banche arabe”, scoperta dopo la morte del padre nel 1990. «Dopo l’11 settembre 2001 la parte di eredità presente in America è stata congelata come tutti i conti arabi presenti in tutto l’Occidente».

 

Racconta di aver fatto una fortuna investendo in una società di proprietà della famiglia reale saudita ma il mistero e la leggenda intorno a lui sono in realtà molto, molto più grandi. A Bergamo, dove due anni prima

di comprare una casa di riposo, fanno sapere che millanta sangue blu. «Si accompagnava a un anziano faccendiere di Como che faceva da suo "garante" e spesso parlava per lui», ha ricordato il direttore amministrativo di quella casa di riposo «Fu suo papà Qaddumi in letto di morte - ci raccontava per voce del faccendiere - a svelargli di essere solo il patrigno e che il vero padre era il re d’Arabia». Al Qaddumi, sceicco di Perugia e forse principe d’Arabia, ha però sempre negato.

 

Non si ha la minima idea nemmeno di dove viva. C’è chi assicura di averlo visto in una modesta casa a Cordigliano, a nord di Perugia, ma lui ha smentito anche quello. Repubblica,

, racconta di una casa in affitto alla Borghesiana insieme alla figlia Jasmine: “È stata a lungo la sua dimora, soprattutto nei caldissimi giorni del 2010 in cui trattava l'acquisto di Acquamarcia, girando per la città, tra la Magliana e la Casilina, a bordo di una Opel”. Ma adesso? Nessuno lo sa.

 

Si arriva velocemente al punto in cui l’interesse per scoprire la vera storia di al Qaddumi supera quello per la sua effettiva entrata nella Roma, possibilità ormai inconsciamente abbandonata da tempo. Lo sceicco di Perugia viene attaccato dal Messaggero come se fosse davvero un personaggio di spicco. Racconta della sua richiesta di apertura di credito per mille euro respinta da una non meglio identificata "banca del nord”, ventila l’idea che sia in mora con le banche per 4mila euro. Al Qaddumi è costretto a difendersi con

, realizzata in un autogrill alle porte di Roma sulla strada verso l’Umbria: «Non capisco perché sono così attaccato, a chi dà fastidio quello che sto facendo?».

 

Il suo accordo preliminare firmato con la Roma non si trasformerà mai in qualcosa di concreto. E anche la storia dello sceicco di Perugia si conclude come le altre, con una multa della Consob e

da parte della procura di Roma.

 



Dopo essere passati per il prisma giallorosso di distorsione della realtà, l’esistenza di tutti i personaggi narrati è continuata nel mondo reale, per quanto possa sembrare incredibile. Questa è la loro storia dopo essere venuti a contatto con Trigoria.



 


 


 


 

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura