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Cesare Benedetti, calciatore e pittore
03 nov 2020
03 nov 2020
Dalla maglia della Roma ai ritratti dei papi.
(articolo)
7 min
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Roberto Baggio era Raffaello, Del Piero Pinturicchio, ma anche andando oltre la passione dell’Avvocato Agnelli nel dare nomi di pittori rinascimentali ai numeri dieci della sua squadra, non è difficile azzardare paragoni tra i calciatori più talentuosi e degli artisti. Se l’affermazione “il calcio è arte” può sembrare una banalità, è anche vero che - sì - alcuni dei gesti che vediamo su un campo da calcio ci ricordano il lavoro di un artista: non si dice “pennellare una punizione all’incrocio” per caso.

Nessuno però ha vissuto questa dicotomia più di Cesare Benedetti. Nato a Treviso il 24 ottobre 1920, ha diviso la sua vita tra il calcio e la pittura. Nel calcio esordì giovanissimo - a 16 anni - con la maglia della squadra della sua città in una partita contro l’Udinese in Serie C. Nella pittura, con il nome di Benè, si fece strada dopo la fine della carriera da calciatore, diventando allievo e amico di Giorgio de Chirico e Pietro Annigoni.

Il calciatore

Benedetti era un difensore dal fisico massiccio (era alto 185 centimetri), ma che all'occorrenza poteva essere schierato anche a centrocampo, a intendere che anche i piedi dovevano essere educati. Con la prima squadra del Treviso restò tre anni, fino al 1940, quando si trasferì al Bologna di Renato Dall’Ara. Qui dovette servire il servizio militare obbligatorio e - grazie all’interessamento del Presidente del Bologna - fu mandato al 35º Reggimento, dove si trovano già due suoi compagni di squadra, Vittorio Malagoli e Aurelio Marchese, con cui avrebbe dovuto formare la mediana della squadra emiliana.

Tuttavia sono momenti ancora pionieristici del calcio e soprattutto c’è una guerra alle porte: "Svaniscono i sogni sportivi, molta nostalgia della famiglia accampati in tenda, armati di fucile, baionetta, munizioni. Marce su marce, dormire per terra; affezionatissimi: cimici e pidocchi. Del mangiare: meglio non ricordare...". Sono le parole che scrive Benedetti alla famiglia durante il servizio militare, ed è difficile immaginare di poter fare una vita d'atleta in quelle condizioni.

Benedetti viene trasferito prima in Calabria, da dove di fatto non può giocare per il Bologna, poi viene assegnato al fronte africano dove si trovavano le forze italiane guidate dal maresciallo Graziani. L’intervento di Edgardo Bazzini, importante funzionario dell’Agip e Presidente della Roma, la nuova squadra di Battisti, gli evita la spedizione in Africa per un posto nella rosa della squadra della Capitale.

Come scrive Massimo Izzi ne “L’AS Roma dalla A alla Z”, Benedetti venne “provinato” il 25 luglio 1942 sotto gli occhi di Eugenio Danese che una settimana più tardi, dando conto del suo ingaggio, scrisse sul Littoriale: «il giovane perno, somigliantissimo a Todeschini che ricorda anche nel gioco, è elemento in fase di sviluppo ma già promettente come pochi. le sue aperture all’ala, quel giorno specialmente a sinistra, ciò che potrebbe far pensare a un migliore impiego del piede destro rispetto al sinistro, sono frequenti ed esatte e il suo comportamento nel corpo a corpo rivela abilità e scaltrezza».

Nell’idee dell’allenatore Schaffer, Benedetti avrebbe dovuto rappresentare una alternativa a Mornese, tuttavia rimarrà confinato nel ruolo di riserva per tutta la stagione, pagando una certa inesperienza, come indicato in un resoconto dell’allenamento del 9 dicembre sul Littorale dove si scrive che il centrocampista «ha dato prova di chiara concezione del gioco, è però sembrato un poco immaturo».

A questo punto della storia bisogna anche fare attenzione a un caso di omonimia totale: alla Roma in quegli anni c’è anche un altro Cesare Benedetti, nato anche lui nel 1920, ma di ruolo attaccante, che passerà alla storia con il nome didascalico di Cesare Benedetti I (primo), facendo del Cesare Benedetti di questa storia Cesare Benedetti II (secondo), per quel che vale.

Benedetti riuscirà a vestire i colori giallorossi dopo la fine della guerra, collezionando 6 presenze nell’improbabile campionato 1945/46, l’unico dal 1929 a oggi a non essersi disputato a girone unico.

Bisogna aspettare il 2 dicembre 1945 per l'esordio di Benedetti con la maglia della Roma. I giallorossi perdono 1-0 contro il Bari ma la sua prova è buona: "La Roma ha perduto. Non importa: la squadra ha giocato, è stata generosa, è stata magnifica in difesa, eccellente nella mediana dove Benedetti, quantunque emozionato, ha sostenuto degnamente la prova anche se si è rivelato un centro mediano da difesa e non da offesa"

; gioca anche contro Salernitana e Napoli prima di scendere in campo nel derby numero 41, vinto dalla Roma per 2 a 1 alle porte del Natale. Gioca poi Roma-Palermo 2-1 per poi collezionare la sesta ed ultima presenza in occasione di Milan-Roma 2-0, nella fase finale del campionato quella che premierà il Torino, all’inizio di quello che sarà il Grande Torino.

Se a Roma sarà una figura di passaggio, è a Salerno che trova la sua dimensione: Benedetti fu tra i protagonisti della grande promozione della Salernitana in Serie A nella stagione 1946/47. Nella squadra allenata da Gipo Viani - e dove trova anche Alberto Piccinini, padre del giornalista Sandro - Benedetti gioca più di tutti, 32 presenze, trovando anche due gol. Rimarrà a Salerno anche per l’anno di A, prima di chiudere la carriera a 29 anni ancora nel Treviso.

L’artista

Cesare Benedetti non fu il primo calciatore-artista della Serie A. Prima di lui ci fu Domenico Maria Durante, secondo portiere della Juve nel primo novecento che si distinse come ritrattista, paesaggista e disegnatore con lo pseudonimo Durantin. Diversi portieri finiranno per essere anche pittori: Enrico Paulucci, anche lui passato per la Juventus, fu pittore del Gruppo dei Sei di Torino; Ezio Sclavi si dedicò alla pittura dopo la prigionia in Etiopia. Ma nessuno raggiunse mai il successo artistico di Benedetti.

Benedetti inizia a interessarsi di pittura grazie allo zio Riccardo Rubrichi, professore di liceo e esperto di lingue classiche, con cui discute di filosofia e arte. Grazie a frequentare gli artisti Piero Annigoni e Giorgio De Chirico, del quale fu anche alunno e che disse di lui:«Benè capisce la pittura, sente la forma e sa rendere il volume». A Roma, dove frequenterà anche l'Università grazie al premio d’ingaggio promesso dal Presidente per recuperare gli studi, si appassiona alla pittura: "Essere della Roma allora significava essere soprattutto romano. Per riuscire tale, Cesare prese la residenza nella Capitale sia come calciatore che come artista", così scrisse di lui Giovanni Comisso, scrittore, poeta e amico di Benedetti. A Roma abitò in Piazza di Spagna e iniziò a firmare i suoi quadri con il diminutivo "Benè" e proprio a Roma conobbe e divenne amico di Giorgio De Chirico.

Ben presto inizia a distinguersi come artista figurativo, il ritratto è la forma in cui si esprime con più successo. Si fa notare con la serie di dipinti detti “belle donne”, in cui ritrae modelle e nobildonne come fuori dal tempo, sottolineandone i tratti e la bellezza con grande sensibilità.

Notturno a Venezia

Le sue capacità nel ritratto lo portano fino a lavorare per la famiglia reale monegasca, realizza ritratti pittorici per la Principessa Grace e per il Principe Ranieri di Monaco, e addirittura per i Papi, tanto da guadagnarsi il titolo di “pittore dei Papi”. Durante la sua carriera Benedetti ha realizzato i ritratti di Giovanni XXIII, Pio XII, Paolo VI e Giovanni Paolo II. In particolare, quello di Karol Wojtyla - che sarà esposto sia nel il Battistero della Cattedrale di Monaco che nel Duomo della sua Treviso - è una delle più celebri di Bené per dimensioni (alta 2 metri) e qualità realizzativa.

Ma forse dove Benedetti ha mostrato meglio la peculiarità della sua arte è nei dipinti che hanno per soggetto dei cavalli, una passione ereditata dal nonno maniscalco, eseguiti prevalentemente ad olio e a carboncino. Il culmine di questa ricerca è senza dubbio la sua reinterpretazione del Derby di Epsom, la famosa opera di Gericault, dove i cavalli non sono soggetti alla guida del fantino ne al gioco della sella, ma sono liberi e selvaggi.

Oggi le sue opere sono sparse per il mondo, in collezioni pubbliche e private. La sua storia sembra arrivare da un altro tempo, difficile anche solo da immaginare. Una storia che intreccia lo sport, l’arte, ma anche aspetti quotidiani, come la famiglia, gli amici, la cultura. Come dice la figlia, Gloria Benedetti Boschi, dobbiamo considerare Cesare Benedetti come una sorta di trinità: l’uomo, l’atleta e l’artista.

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