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L'uomo caschetto
27 apr 2020
27 apr 2020
Storia dell'inseparabilità tra Petr Cech e il suo caschetto.
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Foto di Stephen Dunn/Getty Images
(foto) Foto di Stephen Dunn/Getty Images
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Guildford, capoluogo della contea del Surrey, è noto principalmente per due cose: la “University of Law”, che annovera tra i suoi laureati anche il sindaco di Londra Sadiq Khan, e il “Miracolo della neve” del Perugino, conservato nella villa di Polesden Lacey. Nel 2017 vengono fondati i Phoenix, squadra satellite dei Guildford Flames. «Avrei preferito giocare a hockey invece che a calcio, ma non potevamo permetterci tutto l’equipaggiamento. Era un sogno che avevo fin da piccolo e nessuno può portarmelo via, ora». Il sorriso di Petr Čech, benevolmente ruffiano, di un bambino che a Natale ha ricevuto esattamente quello che aveva scritto nella letterina, quasi si scontra con l’immagine di un uomo ormai adulto, la stempiatura alta e la barba vecchia di un giorno che spunta bianca all’altezza del mento. Alla sua prima apparizione con la maglia dei Phoenix, Čech ha parato l’ultimo tiro della sfida shootout contro i Wildcats, aiutando la sua squadra a vincere. La porta è più piccola di quella che ha difeso per tutta la vita: solo 122 centimetri di altezza e 183 di larghezza. Il casco, personalizzato, raffigura il leone rampante dei Blues all’altezza dell’orecchio sinistro, mentre sul destro appare il classico cannone dei Gunners;gli stemmi delle due squadre dell’ex portiere vengono uniti dal disegno della Union Jack nella parte superiore. Sulle spalle il 39, lo stesso della legenda ceca Dominik Hašek. L’esordio con i Phoenix non avviene per caso, già qualche anno prima, tramite Miloš Melicherík, giocatore slovacco dei Guildford Flame, Čech partecipa agli allenamenti della prima squadra dei Flames e, successivamente, prende parte anche alla partita d’addio dell’amico Martin Havlát, a Brno. In fondo, dal gennaio del 2007 non è cambiato molto: la porta alle spalle, il casco sulla testa.14 ottobre 2006Non è semplice ricordarsi del Reading Football Club, non ci sono stati giocatori degni di nota nella sua storia, titoli importanti o una permanenza duratura in Premier League. Esistono tre fatti più o meno rilevanti associabili al Reading: la seconda è la sconfitta interna per 5 – 7 contro l’Arsenal in Coppa di Lega nel 2012 (un anno metafisico dove nei gunners coesistevano Aršavin, Walcott e Chamakh) mentre la terza è che l’attrice Kate Winslet ne è tifosa. Il più famoso però avviene il 14 ottobre del 2006, anno di esordio dei Royals in Premier League, quando all’ottava giornata la squadra dello Berkshire ospita il Chelsea di Mourinho. Il clima perfetto per far germogliare lo spirito del calcio inglese, gli underdog alla prima partecipazione nella massima serie, contro i campioni, vincitori di due Premier consecutive dopo 50 anni di sofferto oblio.Petr Čech è smarrito, a malapena riesce a trascinarsi fino a bordocampo, gattonando. Stremato, viene assistito dallo staff medico del Chelsea che lo carica sulla barella. Noel Hunt, ala del Reading, ha appena sbattuto il ginocchio contro la testa del portiere, che rimane a terra. Lo scontro avviene dopo quindici secondi, ma il portiere viene portato fuori dal campo quando il cronometro segna cinque minuti di gioco. Ad anni di distanza le immagini lasciano ancora un brivido lungo la schiena per la maniera tranquilla e ingenua con cui viene gestita la situazione: l’arbitro prima richiama Hunt per un semplice rimprovero e, solo dopo, alza il braccio per attirare l’attenzione dei sanitari. Al “Royal Berkshire” di Reading la conferma della gravità: frattura depressa del cranio per Čech, che viene trasferito d’urgenza ad Oxford per essere operato. Anche Cudicini, sostituto del ceco e sostituito a sua volta da John Terry, passa per l’ospedale di Reading, ma lo scontro con Sonko è meno devastante e violento di quello del collega.

Foto di Ben Radford/Getty Images

Le parole di Mourinho nella conferenza post partita sono lapidarie e non lasciano spazio all’interpretazione: “il primo [fallo] per me è incredibile. Il portiere prende la palla, la palla è tra le sue mani. Si lancia e scivola, scivola perché il campo è bagnato e il numero 10 va direttamente con il ginocchio sulla sua faccia. Secondo me è un contrasto terribile. E poi è tornato indietro, al centro campo, ridendoci in faccia e continuando a motivare i suoi compagni, per nulla preoccupato per la situazione. […] Non mi interessa del calcio, mi interessa dei miei due amici, Cudicini e Petr Čech. Il Barcellona è il Barcellona, il calcio è il calcio e non mi interessano.” Stiamo parlando del primo Mourinho, proclamatosi da soli due anni “Special One” e vincitore di due Premier League. I capelli iniziano a trasformarsi in quel sale e pepe iconico, perché facile da associare ai suoi anni migliori. L’arroganza è familiare e sottile, nascosta tra i dettagli con il diavolo, come quando omette di nominare Hunt, ma prova a svilirlo ricordando solo il numero di maglia. La differenza è che è una delle rare volte in cui dietro i discorsi da demagogo stavolta sembra essere sincero. Uno dei momenti più puri del portoghese sarà proprio quello che lo farà vacillare, prestando il fianco alle critiche.Un casco per amicoSe il test di Rorschach non fosse composto da una serie di macchie di colore, ma da una sola foto di Petr Čech, evocherebbe un’unica suggestione: un caschetto da rugby; di quelli utilizzati dai giocatori per proteggere le orecchie ed evitare di sfregarle in fase di mischia. È praticamente impossibile scindere all’interno della memoria collettiva un pre e post caschetto; Petr Čech è semplicemente questo, un uomo che visualizziamo costantemente avvolto da uno strato di morbida gommapiuma cucita all’interno di un involucro di stoffa nera. Altri personaggi famosi hanno associato la loro vita a un copricapo: Pavarotti al Panama, Sinatra al Trilby, Che Guevara al Basco, ma forse nessuno è mai stato prigioniero di una metonimia da contenente a contenuto come Petr Čech.Quando torna in campo, il 20 gennaio 2007 contro il Liverpool, lo indossa fiero, firmato “Canterbury of New Zeland”. Si creano subito frizioni con la Nazionale Ceca, sponsorizzata da Puma, e il Chelsea, griffato Adidas. Sarà Frank Weigl, progettista Adidas, a realizzare il nuovo casco di Čech mediante sofisticate scansioni 3D del suo cranio. Ci sono state diverse valutazioni dietro al nuovo prodotto della casa tedesca: «Abbiamo iniziato a utilizzare un supporto di plastica per coprire la zona lesa della sua testa», afferma Weigl, «ma Petr e il suo medico hanno preferito inserire una schiuma molto ammortizzante sui lati del casco. Avrebbe potuto influenzare il suo udito, per esempio. Voleva indossarlo come se non ci fosse». Anche FIFA, il simulatore di calcio, resta succube di questa spirale cognitiva, con il perplesso Čech che si ritrova all’incontro per il rinnovo contrattuale con il suo caschetto ben allacciato sotto al mento. Il ceco però non perde il suo aplomb, ritwittando: «Sbagliato ragazzi…indosserei una cravatta».

La prima apparizione di Čech con il caschetto (Foto di Clive Mason/Getty Images)

Questa idea di Čech non è solo causa nostra, nel senso di tutti quelli che non sono Petr Čech, ma in parte anche sua. Faccia da bravo ragazzo, mai sopra le righe, nulla per essere ricordato, qualcosa di non banale per un portiere. È stato uno dei simboli della rivoluzione portata da Roman Abramovič in Premier League.Gli investimenti enormi sul mercato, la squadra fatta come nelle figurine e un manager neo-campione d’Europa. La squadra più odiata di Inghilterra, secondo il ragionamento per cui la “storia” non si compra con i soldi, sta prendendo forma con le proprie regole. Il talento di Čech sboccia nel secondo anno della proprietà Abramovič, schierato titolare in Premier League dall’allenatore che la stessa estate si è incoronato da solo, come Napoleone a Parigi, e alle direttive dell’antieroe per eccellenza, John Terry. Petr Čech è sempre stato un passo indietro, lontano dalle personalità ingombranti della storia recente del Chelsea, ma quando si infortuna alla testa la sua assenza sarà pesante, se non decisiva. Il Chelsea arriva alla fine di quel campionato sei punti dietro i campioni del Manchester e viene sconfitto in semifinale dal Liverpool. Mourinho sarà esonerato a fine stagione, pagando gli strascichi di quell’infortunio. In un’intervista successiva a quella stagione, Trizia Fiorellino, presidente del Chelsea Supporters Group, dirà: «Onestamente, credo che l’incidente [di Čech] abbia portato alla caduta di Josè perché per quanto io ami Cudicini, non era nemmeno la metà di Čech».L’allegoria di Petr Čech, della sua impalpabile centralità, è racchiusa nel rigore decisivo della finale di Champions League contro il Bayern Monaco. Schweinsteiger prende la rincorsa, tira forte e angolato, la palla si schianta sul palo. Solo il replay, e uno sguardo attento, restituiscono l’impercettibile tocco del ceco, al terzo rigore parato tra tempi regolamentari e rigori. Ma in quella circostanza l’ultima parola spetta a Drogba, che con l’ultimo penalty consacra per la prima volta i Blues campioni d’Europa.Nella sua ultima stagione al Chelsea, la 2014 /15, che vede la squadra trionfare in campionato, il portiere viene declassato a riserva di Courtois - da Mourinho è stato promosso e da Mourinho viene deposto. Quando va ai rivali dell’Arsenal i tifosi colorano l’odio con l’accessorio; lo definiscono un “helmet-wearing snake”, un’aspide col caschetto. Di Petr Čech non esiste una biografia, tutta la sua storia la racconta lui stesso, sulla sua pagina web in cui accoglie i visitatori con un suo primo piano, due occhi azzurri profondi e intensi, che distolgono per una frazione di secondo l’attenzione al suo immancabile compagno di viaggio. Se anche il sito di Petr Čech si presenta con una foto di Petr Čech dove Petr Čech indossa il caschetto, allora, forse, è qualcosa di così intrinseco, così personale, che non siamo noi ad averlo intrappolato sotto questa visione, ma lui, con mourinhana astuzia, ad averci fatto credere fosse così.

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