Quando Marco Cecchinato ha sconfitto inaspettatamente David Goffin agli ottavi di finale del Roland Garros, per realizzare il pezzo celebrativo dell'impresa ho chiesto una breve testimonianza a suo zio Gabriele Palpacelli, suo primo maestro e attuale presidente della FIT Sicilia. La cosa più interessante detta da Palpacelli è stata che «abbiamo sempre cercato di lavorare sulla costruzione del ragazzo, sia a livello tecnico che personale, senza avere il risultato come obiettivo immediato. Marco a 13-14 anni era il terzo o quarto miglior tennista in Sicilia, non in Italia, ma la famiglia ha avuto sempre fiducia: oggi già a 9-10 anni se un ragazzino non ottiene i risultati il genitore tende a storcere il naso e a cambiare circolo».
La programmazione sulla crescita del giovane tennista palermitano presentava in sé un presagio sul successivo sviluppo della carriera. Lo scandalo scommesse ha rappresentato un incidente di percorso, ma quando Cecchinato al torneo di Budapest di quest'anno ha battuto in finale John Millman, dopo essere stato eliminato nelle qualificazioni ed essere rientrato come lucky loser, finalmente ha intuito che fosse arrivato il momento di riscuotere tutti gli investimenti fatti su se stesso. Ancor di più dopo aver rimontato due set di svantaggio a Marius Copil al primo turno al Roland Garros, prima ancora di arrivare a battere Goffin.
Difficilmente, nel momento in cui l'ho interpellato, Palpacelli pensava che poche ore dopo suo nipote avrebbe sconfitto anche Novak Djokovic. L'aspetto più significativo di quel miracoloso quarto di finale è stata l'impressione di consapevolezza lasciata da Cecchinato, un linguaggio del corpo più simile a quello di chi conosce il proprio potenziale e sa perché sta costruendo un grande successo, anziché tradire l'adrenalina e la trance agonistica tipiche della partita della vita. Un linguaggio del corpo che solo chi ha compiuto un percorso graduale e consapevole nella propria carriera può mostrare in campo.
Forse Cecchinato ha disputato il primo set davvero su una nuvola, ma il contro-break incassato nel secondo set non ha intaccato le sue fondamenta psicologiche nell'approccio alla partita. Il calo fisiologico e la sconfitta nel terzo set non hanno modificato più di tanto la centratura mentale del palermitano, che nel quarto set ha annullato la palla del doppio break a Djokovic. In pochi minuti Cecchinato è riuscito a conquistarsi il tie-break e ha mostrato che quella dei primi due set fosse più o meno una versione autenticadi se stesso, senza essere vittima di un incantesimo poi improvvisamente interrotto.
Arrivato alle ultime fasi della partita c'è un punto in particolare (scelto tra i 10 che ho raccolto come i più significativi dell'epica sfida) dove si può cogliere forse la maggiore grandezza dell'impresa compiuta da Cecchinato, che risiede appunto nella sua consapevolezza.
Sul 9 pari del tie-break Djokovic prova a mangiare progressivamente campo al palermitano fin dalla risposta. I rovesci in anticipo del serbo sono sempre temibili ma per fortuna non così letali come invece sarebbero su un campo veloce. Il rovescio lungolinea di Djokovic viene così raggiunto da Cecchinato, finito ormai lontano dalla riga di fondo. In quel momento, da quella posizione così lontana dal campo, la scelta più automatica sarebbe quella di giocare profondo in diagonale per riprendere qualche metro, ma Cecchinato compie quasi una giocata pokeristica: anticipa il pensiero del suo avversario e con lo sguardo vede anche che Djokovic aveva accennato a spostarsi verso la propria destra, proprio per coprire il diagonale. Per un attimo Cecchinato trattiene la rotazione del busto: il suo dritto lungolinea è preciso in larghezza ma corto, non forzato in profondità, rilassato e decontratto, sicuro che avrebbe realizzato un colpo vincente dopo aver letto con lucidità le intenzioni di Djokovic.
In un solo punto, in un solo colpo, Cecchinato ha dimostrato quanto la programmazione lungimirante sulla sua crescita gli abbia dato, in un momento così delicato, quella necessaria lucidità e gli abbia tolto quella frenesia e quell'isteria che troppo spesso vengono imputate ai giocatori italiani, anche in altre discipline sportive. Un punto di vista diverso, più ampio e intelligente, ha consentito a Cecchinato di non rimanere vittima delle altissime aspettative che troppo presto vengono riposte sui giovanissimi tennisti italiani di maggior talento, permettendogli di compiere a pieno quel salto di qualità e quella maturazione definitivi che ormai in tutti i tennisti del mondo arrivano dopo i 25 anni di età.
La sua impresa al Roland Garros ha rappresentato in questo senso una pietra miliare del 2018 dello sport italiano, travalicando i nostri confini per raggiungere la meritata risonanza mediatica nel mondo. L'auspicio di tutti è che rappresenti anche un evento spartiacque in un certo modo di intendere la crescita dei nostri giovani sportivi, sfruttandone il potere trainante e accettando finalmente l'effetto positivo della gavetta e della crescita anteposta al risultato immediato.