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Gianni Montieri
C’è qualcosa nell’aria
22 apr 2022
22 apr 2022
Una poesia di Mark Strand per raccontare la malinconia del Napoli.
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Gianni Montieri
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«C’è qualcosa nell’aria» scrive Mark Strand in una formidabile poesia e prosegue «e non mi riferisco / a ciò che avete letto / sui giornali, né alle voci / che avete messo in giro», mi fermo qui sulla soglia che separa la prima strofa dalla seconda, perché questi versi (che conosco pressoché a memoria) hanno cominciato a risuonarmi di nuovo in testa dopo il fischio finale di Napoli-Roma, anzi ancora prima, dal gol del pareggio della Roma, anzi ancora prima, forse dalla fine del primo tempo, e chissà da quanto prima ancora. Perché c’è qualcosa nell’aria, nell’atmosfera – deve esserci qualcosa, un pulsare indefinito, un suono lontano, una crepa, la zolla sempre sbagliata, qualcosa c’è e quella cosa che non sappiamo definire – ma che dobbiamo provare a scovare – impedisce e impedirà al Napoli di vincere alcunché. Farà sì che la squadra partenopea si dissolverà, sparirà, in ogni momento decisivo, fino a trasformarsi in un trattato mobile della rinuncia, non sarà altro che (e un po’ lo è già) la somma empirica delle sue mancanze. Il Napoli si sottrae, quando meno te lo aspetti (ma non è vero perché lo sai) si trasformerà in trasparenza che consente all’avversario di ritrovarsi, di precipitarsi davanti alla porta e segnare.

 

Cos’è? Pulviscolo, materia proveniente dallo spazio, pressione atmosferica, vento che soffia da Bagnoli, quello che passa sotto ai Campi Flegrei. Cos’è? Un fantasma che s’aggira al Diego Armando Maradona, una nuova frase senza senso di Spalletti «andare dietro lo spazio, trovarci oltre lo spazio, la linea della palla ma spezzata, il baricentro, dobbiamo essere noi e solo noi». Cos’è? Il vuoto sul quale la città si regge, quello che passa sotto viale Augusto, il pubblico non presente (per alcuni), molto presente (per altri). Cos’è? Una nube tossica, i pastori di San Gregorio Armeno che si mettono nell’erba e deviano la palla, ‘o munaciello che fa dispetti e che non fa regali. Cos’è? Lozano che arriva mille volte dentro l’area e poi abbassa la testa e non mette mai la palla come si deve a centro area, Insigne che arriva fino al limite dell’area e mille volte impazzisce, il caffè fatto male con la moka. Cos’è? Zielinski che gira a vuoto per il campo senza sapere chi sia lui, cosa sia il campo, il Cristo Velato che ci maledice, il sangue che non si è mai sciolto per davvero, la funicolare, Fabián che non sta più sulle gambe. Cos’è? Lobotka che prima ci sembrava uno scarpone, poi ci è sembrato uno dei più grandi registi di sempre, poi si è infortunato per la volta mille. Cos’è? È questione da ricondurre agli infortuni muscolari, certo, e gli anni precedenti, allora? Cos’è? Sono le sovrapposizioni, il cimitero delle Fontanelle, la città sotterranea che inghiotte il pallone. Cos’è? Non più il mistero di Napoli ma il mistero del Napoli. Momento decisivo, sparire. Ultimo minuto, crollare. Solo davanti alla porta, calciare fuori. Piangere, tutti. Cos’è? No, non è Mario Rui, lui che non amo, lo salvo, lo salviamo.

 





 

La città opprime, dicono, la città non si accontenta, aggiungono, la città pretende, sottolineano, la città non cambia, mentre è già cambiata di minuto in minuto. In un quartiere tifano in un modo, in un altro tifano differente, chi pretende il distacco, chi reclama la presenza. L’allenatore è bravo, l’allenatore è scarso, ha raggiunto l’obiettivo, ma, dicono che ha fallito perché ha promesso altro. No, non ha fallito, ha fatto quello che poteva, però qualche critica se la può serenamente beccare. È un campionato mediocre, il Milan non è niente di che, e perfino l’Inter è deludente, ecco il Napoli (ma perché?) è appena sotto il gradino della mediocrità, pensa te. Ma non è colpa del Napoli, no, deve essere Posillipo, la finestrella di Marechiaro, deve essere la Curva B, ma subito la Curva A dice di no e si vuole prendere la colpa. Ecco che le testate giornalistiche cittadine confessano, testimoniano anche le radio, ufficiali o meno. Dev’essere colpa di Castelvolturno troppo lontano dal centro città, troppo vicino a Mondragone. Dev’essere che le cose belle finiscono senza realizzarsi fino in fondo, bisogna capirlo, bisogna cambiare per tempo, bisogna avere coraggio, non di deve far finta di niente. I proprietari del Napoli hanno fatto finta di niente e i fantasmi della città hanno cominciato a soffiare. Ed ecco che l’assist non viene, che il tiro a giro non gira, che il difensore non recupera, il portiere non para. Ecco che l’attaccante avversario che non segnava da anni azzecca il tiro vincente, l’altro che fa il primo gol in serie A.

 

Strand prosegue con la seconda strofa: «e nemmeno di ciò che detestate nominare», parla proprio del Napoli, leggete qua: «la crepa dell’intonaco della casa nuova, / i fusibili che si bruciano spesso, i rubinetti che gocciano / i giochi pericolosi dei bambini». Il poeta americano scrive della Serie A, della squadra del Napoli dentro la Serie A. La crepa dell’intonaco della casa nuova e tutto ciò che non funziona nello schema, compreso chi non lo sa applicare, chi lo dimentica, chi si lascia saltare da un avversario, chi tira troppo lentamente. I fusibili che si bruciano spesso: Insigne, Lozano, Zielinski. Li sostituisci, dai che stavolta durano, che la lampadina regge e invece assist sbagliato, tiro fuori, tiro debole e centrale, palla persa a centrocampo, calcio d’angolo battuto male. I rubinetti che gocciano: Osimhen che corre a vuoto, che perde lucidità, Mertens che più di questo non può più, Ospina che boh, Politano che diosanto. I giochi pericolosi dei bambini: Ounas che non sa nemmeno in quanti si giochi (questa me l’hanno prestata), Koulibaly – perfino lui – che si perde un attaccante, Spalletti che abbassa la testa, la scuote e sorride amaro. Come se sapesse, ma cosa? Polvere rossa, sabbia del deserto, scoria radioattiva, vulcano che non esplode, mare che non sale, palazzi che si scurano. Cos’è?

 

Il Napoli sparisce è nel suo destino, lo sappiamo, ne siamo certi, non capiamo ma amiamo, attendiamo fiduciosi il momento del crollo. Gli alberghi di Firenze, gli ammutinamenti, le partite col Verona, la Fiorentina di Italiano, la Roma di Mourinho. Strand scrive poi: «Sta succedendo qualcosa / che non riuscite a capire. / Qualcosa si è mosso. / C’è qualcosa nell’aria». Qualcosa è il gol di Giroud, qualcosa è il Sassuolo, è l’Empoli dell’andata, qualcosa sono i tre gol della Fiorentina, qualcosa è la certezza che la Roma avrebbe pareggiato, qualcosa è El Shaarawy che da lì, dalla sua posizione, dal passato da dove riemerge non può sbagliare, e non sbaglia. C’è qualcosa nell’aria e sposta la palla che ruota, e Meret non ci arriverà mai e, parliamoci chiaro, nemmeno ci prova, non che non voglia, ma qualcosa non lo fa partire per tempo, non lo fa distendere bene, fa sì che non pari.

 





 

«Sta lì nel pasticcio / del mezzobusto che legge una cosa per l’altra / o nel tremore della mano del perdente / mentre gioca l’ultima carta». Strand che è bravo sul serio e non sbaglia il gol davanti alla porta, non fallisce il raddoppio, la partita la chiude. Il pasticcio dei giornalisti che non capiscono, si contraddicono, provano a spiegare un mistero che in parte hanno contribuito a creare. Il tremore della mano del perdente o tutti i gol incredibili che il Napoli fallisce. Mentre c’è da giocare l’ultima carta, nel momento decisivo qualunque calciatore del Napoli dimentica di decidere, decide male, poi scuote la testa a errore avvenuto, applaude il compagno che ha sbagliato il passaggio di dieci metri, se la prende con l’erba, piange a fine partita.

 

«Sta lì di domenica, il pomeriggio presto», così il poeta va verso la chiusura, ci dice il giorno, l’ora simbolica e continua: «quando il sole ustiona i tetti / e uno straccio bruciacchiato viene soffiato, senza ombra, / lungo i marciapiedi e i porticati della città morta». Per me lo straccio bruciacchiato che viene soffiato è Elmas, che dieci volte entra, una risolve, e nove spreca palloni per troppa frenesia. I marciapiedi sono le fasce, dove inesorabilmente il Napoli si lascia sconfiggere, sono i limiti dell’area di rigore, i porticati sono gli incroci dei pali che si sfiorano, si mancano. La città però non è morta e non lo è nemmeno la squadra, ma è condannata a questa vita senza ombra, che purtroppo non è un romanzo di Soriano, ma solo un altro campionato che non vinciamo.

 

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