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Cathy Hulbert ha infranto le barriere del poker
13 lug 2020
13 lug 2020
Una delle pioniere nel gioco d'azzardo.
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Tutti i tavoli da gioco dello Stardust di Las Vegas sono in gran fermento. Il chiacchiericcio infuocato delle persone si mescola al vortice pagano delle fiches che rimbalzano impazzite. È l’ora di punta. Cathy Hulbert è arrivata in città la sera prima. Sogna di diventare una giocatrice di poker professionista da quando era una bambina, e ora, che ha 24 anni, la testa piena di riccioli e il carattere testardo dei pionieri, non vede l’ora di iniziare quella vita. Il fatto che abbia scelto lo Stardust come “prima esperienza” non è casuale: il leggendario casinò sulla Strip non è solo quello con l’insegna più accattivante del momento, ma è stato anche il primo ad assumere delle donne che lavorassero ai tavoli da gioco come dealer o croupier.Siamo alla metà degli anni ’70 e il vento del cambiamento soffia forte da costa a costa degli Stati Uniti ormai da anni. Mentre a New York nasceva uno dei più iconici movimenti radicali di lotta per la liberazione femminile del paese, le Redstockings, dall’altra parte della nazione, Frank Rosenthal, già all’epoca al timone dello Stardust, sdoganava quello per che anni era stato un lavoro esclusivamente maschile. Non un’innovazione vera e propria, per essere precisi: si erano viste donne croupier a Reno, Nevada già alla fine degli anni ’30, a l’”Harold’s Club”, quando il proprietario era stato costretto ad assumerle dopo che tutto il personale maschile era partito per combattere nella Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia la trovata di Rosenthal, pur pensata per aumentare i profitti del locale, ebbe l’effetto di amplificare l’impatto dei testi rivoluzionari delle grandi femministe dell’epoca come Shulamith Firestone o Anne Koedt, che proprio nel 1970 pubblica quello che sarebbe diventato uno dei testi più importanti del movimento (Il mito dell’orgasmo vaginale), proprio pochi mesi prima che Shirley Brancucci diventi la prima donna ad “arbitrare” una partita di baccarat.Hulbert è entusiasta, gira per i tavoli senza toccare per terra. Decide di sedersi a un tavolo da blackjack, si mette a chiacchierare con il dealer, che è un uomo, e inizia a riempirlo di domande: vuole sapere tutto. È incuriosita e spaventata dall’aria che si respira in città, così libertina e carica di tensione sessuale; tutto sembra nuovo o imperdibile. Il dealer le dice che non ci vuole niente a imparare a giocare a blackjack, e che il suo turno sta proprio per finire: se vuole può insegnarle i trucchi nella sua stanza al piano di sopra. «Neanch’io posso credere che all’epoca fui così ingenua» racconterà in seguito.

In un altro fondamentale testo femminista pubblicato in quel periodo, Contro la nostra volontà, Susan Brownmiller scrive: «La scoperta dell’uomo che i suoi genitali potevano servire come arma per generare paura deve essere annoverata fra le più importanti scoperte dei tempi preistorici, insieme con l’uso del fuoco e le prime rozze asce di pietra». Neanche il tempo di giocare due mani che i pantaloni del dealer sono sul pavimento. L’euforia si trasforma in paura. Cathy si difende come può: spintoni, schiaffi, pugni, grida, calci; il suo vestito nuovo è da buttare, ma fortunatamente riesce a liberarsi e scappare dalla stanza.Quella che per moltissime persone sarebbe stata un’esperienza sconvolgente, terminale, per Hulbert è un’ulteriore lezione da imparare, una motivazione aggiuntiva per conquistare quel mondo misogino e violento. Nel corso della sua carriera sarà capace di superare complicazioni e difficoltà, pregiudizi e umiliazioni di ogni genere, diventando una giocatrice di carte fenomenale e aprendo la strada per tutte quelle che donne che verranno dopo di lei. E lo farà partendo proprio dal blackjack. La donna con i baffiPochi altri giochi da tavolo possono godere di un’origine nobile come quella del blackjack, il quale, sebbene abbia una paternità tutt’oggi incerta, compare per la prima volta attraverso la raffinatissima penna di Miguel de Cervantes. In uno dei dodici racconti che compongono le Novelle Esemplari, l’opera scritta da Cervantes agli inizi del 1600 subito dopo il Don Chisciotte, i due protagonisti trascorrono il tempo sfidandosi alla “ventiuna”, quello che secondo lo scrittore è il gioco popolare delle classi meno abbienti dell’epoca, molto noto in Spagna come in Francia.Saranno proprio i francesi a raffinarlo nel corso del diciassettesimo secolo, per poi esportarlo nel mondo e ovviamente anche in America, dove nell’Ottocento le famiglie creole che vivono sulle coste della Louisiana ci giocano per non sentire la nostalgia di casa.Proprio da una di queste famiglie, i Jules, nel 1829 viene alla luce una bambina, Simon, che nel corso della sua vita cambierà nome in Eleanor Dumont e diventerà la prima dealer della storia del blackjack – di entrambi i sessi. La storia di Jules/Dumont è piena di vuoti di sceneggiatura ma incredibilmente affascinante: nel 1849 arriva a San Francisco, California spinta a Ovest dalla stessa “febbre d’avventura” che travolge la nazione e nel 1854 la ritroviamo a Nevada City, California, intenta ad aprire il “Vingt-et-Un”, il locale (che di fatto è un saloon) dove vengono allestiti i primi, veri, tavoli da blackjack della nazione.

Soprannominata Madame Mustache (per ovvi motivi), Dumont porterà il “21” in molte altre città della California, del Sud Dakota e del Montana, prima di morire, probabilmente suicida, nel 1879.

La sua eredità sarà raccolta soltanto da un’altra manciata di donne dopo di lei. Quando Cathy Hulbert arriva a Las Vegas, nel 1976, volendo paragrafare Virginia Wolf, la tradizione alle sue spalle è così breve e parziale da essere pressoché inutilizzabile. Non esiste realmente un modello di riferimento al quale ispirarsi, la strada per realizzare la propria vocazione personale è tutta in salita; ma questo non può essere un problema per una ragazza abituata a partire senza i favori del pronostico.Figlia di un'infermiera e di un camionista costretto a letto prima dei cinquant’anni per colpa di una malattia irreversibile, e cresciuta in uno di quei paesini dell’Upstate New York con duecento anime e una sola televisione, Hulbert sa cosa significa dover lottare per guadagnarsi il proprio spazio nel mondo. Il suo rapporto con la madre si deteriora presto, all’età di 15 anni, un anno dopo essersi quasi lasciata morire assiderata in una tormenta di neve dopo che il fidanzatino dell’epoca l’aveva lasciata. Hulbert si trova una fattoria dove stare, lavora in una fabbrica di sapone ogni giorno dopo scuola, e in qualche modo tira avanti, trovando all’interno della sua tenacia lo stimolo per iscriversi all’università. Sarà l’unica di sei fratelli a laurearsi – un motivo d’orgoglio più per la madre che per lei – dopo aver trascorso i quattro anni del college a giocare a carte e immedesimarsi nei personaggi dei libri di Ayn Rand, più che la sua scrittrice preferita una vera musa ispiratrice.La sua indipendenza non è solo quella di una femminista convinta, ma ha anche i tratti tipici dell’eroe randiano che vuole sovvertire il sistema. «Una volta stavo giocando contro un iraniano che tutte le volte che vincevo una mano mi dava un cazzotto sulla spalla» ha raccontato in una lunga intervista alla BBC «Fino a quando ho preso una bottiglia d’acqua e gliel’ho tirata in testa neanche fossi Mickey Mantle». Uscita dal college si trova un lavoro giornalistico al Senato dello Stato di New York, ma non le piace: il suo sogno è andare a Las Vegas e quindi mette tutte le sue (poche) cose nella sua Honda Civic, ritira tutti i suoi risparmi (1600 dollari) e proprio come Eleanor Dumont parte alla conquista dell’Ovest.

Nel suo libro Regina batte Re (tradotto in Italia da dgs-3) Hulbert parla anche di quel lunghissimo viaggio, soprattutto di come un camionista le disse di tornarsene a casa perchè le sue gambe erano “troppo grosse” per una città come Las Vegas.

Appena arrivata in città trova lavoro nello staff del Rainbow Club, un casinò dei sobborghi, ma due giorni dopo il proprietario cambia il dresscode del personale (fino a quel momento unisex) costringendo le donne a indossare «degli hot pants scollatissimi che mettevano in mostra le mie gambe da calciatore». La sua avventura nel locale finisce subito. Le cose non vanno meglio con il suo secondo lavoro, all’Union Plaza, stavolta un casinò in pieno centro della città. Nonostante avesse fatto domanda per lavorare ai tavoli da gioco, il proprietario la mette al Big Six Wheel (un gioco simile alla Ruota della Fortuna), un lavoro «che avrebbe potuto fare una scimmia ammaestrata» e che le viene assegnato dopo che il proprietario del casinò l’aveva presa in antipatia per via dei suoi trascorsi universitari. Ancora una volta è il suo carattere a fare la differenza, e nel giro di qualche settimana sono costretti a toglierle l’incarico viste le sue capacità di regalare jackpot a ripetizione. «Avevo imparato a girare quella maledetta ruota talmente bene che furono costretti a mettermi al blackjack». Abituata a familiarizzare con le carte fin da bambina, Hulbert legge il gioco con grande facilità, tanto da accorgersi che nelle puntate di alcuni giocatori ci sono degli schemi ricorrenti. Un giorno decide di vederci più chiaro e lo chiede direttamente, in maniera sfacciata, com’è nel suo stile, a uno dei giocatori che ha davanti. L’uomo — che Hulbert in ogni intervista chiamerà sempre “Peter” — è un immigrato cecoslovacco che indossa una camicia à-la-Sonny Bono e dei pantaloni talmente corti che gli si vedono i calzini fino sopra le caviglie. La guarda dritta negli occhi e le fa segno di stare zitta; aggiunge soltanto: “Se vuoi posso spiegarti meglio, ma non qui”. Per un attimo a Hulbert sembra di tornare a quella macabra notte di qualche settimana prima, ma stavolta le cose andranno in maniera totalmente diversa.Vento dell’EstEssendo cresciuto nella Cecoslovacchia del blocco sovietico, anche George Hascik ha dovuto imparare ad arrangiarsi per sopravvivere. Fin da bambino ha sempre voluto una cosa: scappare dal comunismo e dalla miseria per diventare ricco e ritirarsi in un paesino della Costa Azzurra. Prima però deve oltrepassare la Cortina di Ferro.Una volta compiuti diciotto anni chiede un permesso di soggiorno per trasferirsi nella Germania Ovest che però gli viene rifiutato. Poco male. Studiando le cartine, Hascik ha notato che il confine con l’Austria è molto meno controllato rispetto a quello con la Germania; ci sono meno sentinelle e al posto del muro c’è una rete di ferro che può essere tagliata. Nelle settimane successive si muove sui bus pubblici studiando e ristudiando una porzione di confine della bassa Moravia che sfocia in una foresta, ed è proprio da lì che scapperà, approfittando di un cambio guardia in una delle torrette di controllo. Hascik riesce a raggiungere l’Austria dove chiede asilo politico e vive per qualche mese in un centro rifugiati. In quello stesso campo farà amicizia con Walter Spengler e Jan Vogel, altri due immigrati cechi che condividono i suoi stessi ideali e che lo seguiranno nell’estate del 1974 nella traversata della fortuna che li porterà fino in America. Hascik si stabilisce in California, dove di giorno guida gli autobus e la sera serve ai tavoli in un ristorante italiano. Nella sua testa, però, c’è soltanto una cosa: il blackjack. Uno degli altri camerieri lo ha stregato con i suoi racconti e gli ha consigliato di leggersi Playing Blackjack as a Business di Lawrence Revere, che Hascik consuma nelle pause del suo nuovo lavoro al Money Tree, un casinò di Las Vegas – dove nel frattempo si è trasferito. Le tattiche descritte da Revere, però, non funzionano e in meno di una settimana si brucia tutti i risparmi. Fortuna vuole che stia arrivando il Natale e come ogni anno l’Horseshoe Club celebra l’evento raddoppiando ogni vincita ai tavoli da blackjack per una settimana. Complice una buona dose di fortuna, Hascik riesce a recuperare il denaro perso e, ancora più importante, è a quei tavoli che ha la possibilità di conoscere Vladimir Reznek, Wayne Mooney e John Russell, tre abili giocatori che si uniranno a lui nella formazione originale di una delle squadre più famose e vincenti – chiamata appunto “I Cechi” – della storia del gioco. https://youtu.be/Ek07Z9EpvFY

Se siete interessati, potete leggere l’intera storia della squadra all’interno di Legends of Blackjack di Kevin Blackwood. Contiene molto cose interessanti, come per esempio che niente di tutto questo sarebbe successo senza l’aiuto del leggendario Bill Kaplan, lo stesso che qualche anno più tardi aiuterà a creare anche la storica squadra del MIT.

È impossibile stabilire con certezza chi sia “Peter”, l’uomo che sta guardando Cathy Hulbert dritta negli occhi: secondo alcuni è proprio George Hascik, secondo altri Reznek. La cosa certa è che Hulbert non solo accetta l’incontro ma è da lui che apprenderà le tecniche fondamentali per diventare una giocatrice professionista. «Per tre mesi ho continuato a lavorare come dealer» racconta lei stessa nel libro Gambling Wizards di Richard Munchkin «Mentre nel tempo libero imparavo concetti come deviazione standard, fluttuazione e soprattutto a contare le carte».Nel blackjack Hulbert inizia a scoprire la propria natura. «Ho sempre avuto un debole per le persone con un cervello bizzarro; gli arroganti, gli incompresi, quel tipo di persone che sanno giocare a dodici giochi contemporaneamente da bendati ma che poi non sanno riconoscere il dentro o il fuori di una maglietta» dice al Los Angeles Times, parlando di come “Peter” (che nel frattempo è diventato anche il suo compagno) fosse elettrizzato dall’idea di usare una donna per contare le carte. Nessuno ci aveva mai pensato prima. Hulbert non ci mette niente ad imparare, perché sebbene esistano tantissime tecniche diverse – High-Low, K-O, Red 7, RAPC, Ten Count, Zen, Thorp Ultimate, e altre ancora – il concetto di base è sempre lo stesso: essere a conoscenza di quante carte alte (e basse) sono rimaste nel mazzo. Più carte alte ci sono e maggiori sono le probabilità di vincita per il giocatore, viceversa è il banco ad essere avvantaggiato. Tutto qui. Il problema principale, semmai, è convincere gli altri che una donna sia in grado di farlo altrettanto bene quanto un uomo.The Atlantic City Counter ConventionNonostante le ore spese a fare pratica, e nonostante avesse messo la stessa quota iniziale degli altri componenti per entrare in squadra, il ruolo che le viene assegnato è quello di “spotter”, ovvero: deve occupare il posto a un tavolo fino a quando il mazzo diventa caldo per poi segnalarlo al giocatore principale – il che, per dire, è anche il ruolo che avranno le donne nella squadra del MIT. Un ruolo «insoddisfacente» ma che le permette anche di iniziare a guadagnare molti soldi, soprattutto dopo che nel maggio del 1978 viene aperto il primo casinò di Atlantic City, il “Resorts International”.Temendo che la mafia (che di fatto possiede ogni casinò della nazione in quel momento) potesse truccare i giochi ostracizzando i consumatori, il New Jersey Casino Control Commission (l’organo incaricato di fare le regole) decise di lasciare ai giocatori la possibilità di riavere indietro metà di quanto puntato inizialmente anche dopo aver visto le proprie carte. Questo dette a giocatori del calibro di Hascik e gli altri un vantaggio considerevole, tanto che l’EarlySurrender venne abrogato appena sette mesi dopo. Questo fenomeno, chiamato in gergo The Atlantic City Experiment o The Atlantic City Counter Convention, è stato raccontato splendidamente in Two Books of Blackjack di Ken Uston, un giocatore leggendario che in quei mesi fece parte della squadra di Hascik usando spesso Hulbert come proprio “spotter” personale.Sebbene dotato di un'indole geniale – accettato a Yale all’età di 16 anni, ha fatto il dottorato a Harvard e lavorato in alcune delle migliori compagnie del paese, prima di diventare un giocatore a tempo pieno – anche Uston è fermamente convinto che «nessuna donna possiede neppure la capacità di capire un gioco come il blackjack». Il che è un problema non da poco, visto che la sua è una delle figure più importanti della storia del gioco d’azzardo statunitense: il suo libro The Big Player ha avuto un impatto enorme sulla seconda generazione, così come la sua causa legale contro lo Stato del New Jersey dopo che i casinò avevano iniziato a bandire chiunque contasse le carte (Uston vs Resorts International Hotel Inc. – vinta da Uston perché “non è possibile punire qualcuno perché sta utilizzando il proprio cervello”) è stata un faro nella lotta contro l’establishment corrotto e criminale di quel periodo. Nella sua vita Uston è stato un fenomenale jazzista, un brillante matematico, un divulgatore che ha saputo dare risalto ai “testi sacri” della prima ora come Playing Blackjack to Win (il primo libro di tecnica mai scritto sul gioco, pubblicato nel 1957 da “I quattro Cavalieri dell’Apocalisse”) oppure Beatthe Dealer di Edward Thorpe (il padre del conteggio delle carte), ancora oggi riconosciuto come la Bibbia del settore. Eppure, nonostante tutto questo, neppure lui riesce a distanziarsi dall’ideale freudiano dell’inferiorità della donna.

«Aveva un sistema per contare le carte complicatissimo [il Uston Advanced Point Count, o UAPC, nda] e toccava a me ricordargli i passaggi quando perdeva il conto» ricorda Hulbert «Ma nonostante questo non si fidava di lasciarmi puntare da sola».

Nei mesi di Atlantic City la squadra ceca cambia pelle, sostituendo la componente americana con Walter Spengler e Jan Vogel, fatti arrivare in città da Hascik giusto in tempo. Hulbert resta fedele al gruppo, e sarà con loro anche quando inizieranno a girare il mondo, andando a esplorare quei mercati dove in pochissimi possiedono il loro livello di esperienza.Girare il mondo non è gratisVecchio continente, vecchie abitudini: anche in Europa, Hulbert continua a “scaldare” il posto agli altri. Il gruppo ottiene un successo dietro l’altro in Olanda, Inghilterra e Francia; tuttavia, nonostante i soldi accumulati, la vita all’interno della squadra è molto austera. «Quando si parla di gioco d’azzardo uno si immagina una vita à-la-James Bond, ma la realtà è molto diversa» spiega Hulbert parlando delle notti spese negli ostelli a basso costo, dei pranzi al McDonald o del camper che la squadra utilizza per spostarsi da un posto a un altro. Molti dei casinò sono senza mezzi termini delle topaie, e ogni quattro o cinque giorni tocca spostarsi nuovamente. Salisburgo, Berlino, Bulgaria, Moldavia, Nizza, Monaco: ogni posto vale l’altro. «È un’esistenza stileDottor Jekyll e Mister Hyde: la notte vinci tanti di quei soldi da credere di non dover lavorare un altro giorno in vita tua, ma poi di giorno vivi come fossi un vagabondo».Uno degli svantaggi dello spostarsi in continuazione sta nel dover viaggiare con addosso grandi quantità di denaro, un compito ancora più difficile se sei una donna. «Sono stata rapinata una decina di volte nel corso della mia vita, la peggiore è stata in Spagna, quando dentro alla borsa avevo 70mila dollari. Ho seriamente pensato di uccidermi in quel momento, non avevo più un centesimo». Lo stesso capiterà a Santo Domingo, in Asia e anche a Las Vegas, dove viene addirittura minacciata con una pistola. Hulbert gira tra Egitto, Nepal, Beirut, Kenya, Corea del Sud, Macao e nel frattempo viene pure promossa; ma quello che era sembrato un piano diabolico all’inizio – mettere una donna a contare le carte – si trasforma presto in un problema insolubile, perché non essendoci altre giocatrici come lei, i proprietari hanno vita facile nel riconoscerla e cacciarla dalle proprie strutture. Oltretutto sono proprio quelli gli anni in cui i casinò di tutto il mondo iniziano ad avvalersi del Griffin Book, un documento prodotto da un’agenzia investigativa (la Griffin Investigations) che fornisce foto e descrizioni dettagliate di ogni giocatore ritenuto “scomodo”.

«Questa foto è stata scattata da una telecamera di sicurezza di un casinò di Las Vegas. Quel giorno indossavo un bellissimo vestito che avevo comprato da Marshall Rousso, ma a rivedermi ora sembro più un membro della banda Baader-Meinhof».

In quel periodo qualcosa inizia a cambiare dentro di lei, per la prima volta sembra non riuscire più a trovare la forza per sopportare quella vita. «A Macao durammo solo una settimana prima che ci riconoscessero; al Walker Hill [un casinò di Seoul, nda] ancora meno. Ero stanca di viaggiare; nei casinò del Pacifico le persone sputano per terra ai tavoli, l’igiene è pessima». La situazione non migliora neanche dopo essere rientrata stabilmente in patria, dove nel giro di neppure un anno viene arrestata almeno cinquanta volte per “violazione della proprietà privata” (l’unica carta rimasta ai casinò contro i “contatori”) e altrettante volte viene portata nella back-room, dove i buttafuori la fanno temere per la propria incolumità.Stanca di essere emarginata, arrestata, di vivere col terrore di essere derubata, la sua carriera nel blackjack si esaurisce per sempre. Gli anni ’90 stanno per iniziare e per Cathy Hulbert non potrebbe esserci momento peggiore: durante una visita le viene riscontrato un disordine bipolare della personalità e per guadagnarsi da vivere è costretta a lavorare nel “settore” delle slot machine – «la forma più infima, sporca e umiliante di gioco d’azzardo che esista». Il suo umore ne risente tremendamente, passa giornate a letto, non vuole vedere nessuno. Dentro di sé sogna di poter finalmente iniziare la sua carriera nel poker, ma le pillole (che sarà costretta a prendere per tutta la vita) la fanno sentire malissimo, tanto che «certi giorni mi sento molto depressa, altri incredibilmente su di giri; e non so cosa sia peggio, se essere il pugile o il sacco al quale tira cazzotti».Giocare a poker da depressi è un’esperienza piuttosto complessa. Ogni tua fragilità viene esposta, ci sono momenti dove viene facile scoraggiarsi, oppure auto-accusarsi. Il poker è un gioco interamente incentrato sul controllo dei nervi. Devi saper leggere la mente del tuo avversario, e cosa ancora più importante devi impedirgli di condizionarti. Il che non è facile, perché se nel blackjack gli uomini hanno una mentalità ristretta e sessista, il poker è «una vasca piena di piranha razzisti e misogini con un ego smisurato» che non vede l’ora di umiliarla ulteriormente.La sirena e il minotauroNel periodo che va tra il 1980 e il 1991 le World Series di Poker vennero affiancate dal Super Bowl of Poker, una competizione alla quale potevano partecipare soltanto i grandissimi campioni dell’epoca – e tra questi pure Billy Walters, l’uomo che rivoluzionerà il mondo delle scommesse sportive. Il torneo venne creato da Thomas Amarillo, per tutti “Slim” – il nome ufficiale della competizione è infatti Amarillo Slim’s Super Bowl of Poker – per via della sua figura sottile. Amarillo è un texano orgoglioso, uno di quelli che vestono sempre col cappello da cowboy e gli stivali con lo sperone, che se ne va in giro a dire cose come: «Se mai arrivasse il giorno nel quale una donna vincerà le World Series sono disposto a prendere il mio fucile e uccidermi seduta stante». Se lo ricorda bene Cathy Hulbert, che ogni volta che lo sentiva rispondeva prontamente «La domanda è se lo farà prima o dopo che una donna sarà arrivata alla Casa Bianca!».Questo è un esempio del genere di ostilità con le quali deve scontrarsi nel momento in cui inizia il “passaggio” al poker. Intelligentemente sceglie la tipologia Seven-Stud Card invece del Texas Hold’em vista la maggiore somiglianza col blackjack. Lo Stud è un gioco che favorisce la memoria, dove la pazienza viene fortemente ripagata (come il blackjack appunto) e che alla fine degli anni ’80 nessuno (al di fuori del geniale Danny Robison) gioca meglio di David Heyden. Hulbert lo conosce a una festa dopo aver incassato batoste ai tavoli per tre anni di fila, lo ferma nel mezzo di un discorso che stava tenendo davanti ad alcune persone, e gli chiede di essere il suo maestro. Heyden accetta e tra i due nascerà una solida collaborazione oltre a una relazione.

Imparare a giocare a poker non è diverso da imparare a giocare a scacchi: non è sufficiente conoscere ogni mossa, bisogna anche saper calcolare ogni variante, ogni aggiustamento. Heyden le insegna tutto quello che aveva imparato a sua volta dal suo maestro (il grande Rick Greider) ma inizialmente i risultati non arrivano. «I primi tempi avevo il cuore distrutto, ma non ho smesso, l’ho presa come una battaglia personale: se potevo riuscire in questo, potevo superare tutto il resto».Ancora più difficile che l’atto di perdere in sé (parliamo sempre di giocatori professionisti ultra-competitivi per natura) quello che veramente Hulbert non sopporta sono le persone da cui perde sera dopo sera. Uomini rozzi, minotauri, come li avrebbe definiti Dorothy Dinnerstein, che non le lasciano altra scelta che recitare il ruolo della sirena. Hulbert ne soffre, anche perché il poker l

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