Sono passati diciotto anni tra il primo gol di Cassano - quel primo gol, con quel controllo di tacco in corsa - e il suo grottesco doppio addio al Verona. Diciotto anni sono una quantità di tempo enorme a pensarci bene, in cui sarà stato complicato, persino per Cassano, mettere a frutto una percentuale così striminzita del suo talento.
Cosa ricorderemo di questi diciotto anni? La sua stagione miracolosa alla Sampdoria? Le combinazioni palla a terra con Francesco Totti? Le lacrime amare dopo l’inutile rete alla Bulgaria? Oppure ci accontenteremo di conservare quel singolo gol all’Inter come un momento di perfezione inarrivabile?
Come ha scritto Daniele Manusia, quella di Cassano non è stata neanche un’autodistruzione ma «una pacifica rinuncia a raggiungere il meglio di se stesso». Per questo il suo declino è stato così lento, insignificante e poco luminoso. Cassano non ha brillato come le bombe ma si è lasciato spegnere poco a poco, invecchiando e perdendo la luce nelle sue giocate, nelle sue dichiarazioni, nel suo senso dell’umorismo.
Il duplice ritiro dal Verona è stato, tra le sue decisioni auto-distruttive, la meno divertente. Tutti noi, da tempo, avevamo rinunciato ad aspettarci un riscatto di Cassano, ma volevamo quanto meno provare un po’ di nostalgia nel guardare qualche vecchia, nuova giocata. Giusto per ricordarci la nostra infanzia.
Ci eravamo emozionati persino con questo tuo assist indolente per Cerci, alla prima amichevole con la maglia del Verona.
Guardandoci indietro - sforzandoci di non pensare alla sua parabola con compatimento - i suoi momenti di grandezza possiedono una bellezza fragile, di una cosa appena nata che sta per svanire. Per questo, per rendere onore alla bellezza e forse anche alla fragilità, ho preso una partita di Cassano quando aveva vent’anni e l’ho scomposta un tocco palla alla volta. Non è la partita migliore della carriera di Cassano, né la più memorabile, ma una partita importante in un momento della sua carriera in cui sembrava ancora avere l’intenzione di dimostrare qualcosa.
La partita che ho scelto è un Valencia-Roma di più di quattordici anni fa.
Il contesto
È il febbraio del 2003, la Roma gioca col gruppo dello Scudetto invecchiato di due anni. Batistuta segna poco, la difesa è troppo vulnerabile e in campionato la squadra stagna a metà classifica. Aleggia il senso di congiura tipico delle annate storte della Roma di quegli anni: «Quest’anno sarà difficile arrivare in Coppa Uefa» aveva dichiarato Capello a novembre dopo un brutto pareggio contro l’Inter, arrivato al 90’ con un gol di testa di Okan, motivando il pessimismo con ragioni politiche.
Cassano è alla seconda stagione a Roma, cresce senza fretta ma in modo evidente. Porta i capelli lunghi stirati con le mèche e tenuti dal cerchietto. Si è tatuato degli ideogrammi giapponesi sul braccio sinistro, un faccione messicano indecifrabile su quello destro e un granchio gigante sulla schiena. Porta dei brillochi luminescenti alle orecchie e spesso dei vestiti fosforescenti. Il suo talento sembrava crescere in maniera inversamente proporzionale al suo gusto estetico.
Con la depressione calcistica di Batistuta, nel corso della stagione Cassano gioca sempre di più. A gennaio l’argentino viene ceduto all’Inter e Cassano inizia a far spesso coppia con Totti. In quel momento il capitano ha 27 anni e Cassano 20, hanno l’aria di due universi calcistici in espansione, la cui unione sembra poter dare una somma tendente all’infinito.
Nel 2003 esisteva ancora il meccanismo infernale del doppio girone di qualificazione alla Champions League e questa partita fa parte del secondo. La Roma è già con un piede fuori da un gruppo che comprende Ajax, Valencia e Arsenal, colpa soprattutto di un rendimento casalingo disastroso. È la prima di ritorno e la squadra di Capello gioca con la leggerezza di chi ha poco da perdere.
Dopo una prima mezz’ora di sofferenza, i giallorossi passano in vantaggio con un gol di testa di Totti - che in quegli anni segnava anche di testa - su calcio d’angolo di Candela. Cinque minuti dopo, Totti raccoglie dal limite un cross basso di Cafu e tira di piatto schiacciando per terra: la palla rimbalza come sulla cresta di un’onda e finisce sotto l’incrocio dei pali.
La partita di Cassano
La partita di Cassano, che fino lì si era limitato a qualche giocata scolastica, inizia in quel momento. Si è sempre sentito a proprio agio nei contesti in cui poteva far pesare la propria superiorità tecnica senza ansia del risultato. Quando poteva giocare con la frustrazione degli avversari.
Se la Roma dello Scudetto cercava di controllare la partita soprattutto attraverso il controllo, lento, del pallone, negli anni successivi è diventata sempre più conservativa, affidando la propria pericolosità offensiva alle connessioni tecniche dei suoi migliori talenti in contropiede.
Ad esempio, qui Lima ha spazio per portare la palla in conduzione e offrire linee di passaggio. Ma Lima è un giocare quasi esclusivamente difensivo e verticalizza per Cassano che riceve sulla trequarti sinistra. Più defilato c’è Totti, che si sposta sempre a ridosso del compagno di reparto.
Cassano gli corre incontro e gli lascia la palla per ridurre gli spazi: sono circondati da 4 giocatori del Valencia ma più si riducono gli spazi e più si aprono cunicoli invisibili dove far passare il pallone. Totti la porta avanti di piatto, la ridà a Cassano con l’esterno e taglia subito verso l’area. Cassano se la porta avanti e cerca di ridargliela col piatto sinistro, guadagnando un calcio d’angolo. Se quella palla fosse passata, avrebbero creato praticamente dal nulla, col solo aiuto di triangolo e righello, un pericolo immediato per la difesa avversaria.
Totti e Cassano, come Starsky e Hutch, sembrano affrontare interi eserciti di nemici. Rimangono ancora oggi uno dei migliori esempi della capacità di attaccare anche in drastica inferiorità numerica, attingendo all’estro e alla sensibilità tecnica per trovare soluzioni di volta in volta diverse.
Dalla difesa arriva una verticalizzazione verso Lima, che però ha l’intuizione di fare una finta che lascia scorrere la palla verso Cassano defilato. Il barese pensa in svelta e si accentra subito, finta di servire il taglio di Lima in verticale e invece cerca Cafu dal lato opposto. Ne approfitto per dire che Cassano è stato uno dei playmaker offensivi con più talento degli ultimi anni. Parte del merito, forse, va dato anche all’educazione siberiana a cui lo stava sottoponendo Capello in quella fase della sua carriera.
Dopo i due gol la Roma si mette bassa e per risalire il campo si affida alla capacità surreale di Cassano e Totti di giocare spalle alla porta, annullare l’inferiorità numerica e permettere alla squadra di accompagnare l’azione. Qui Cassano deve gestire una palla a campanile, circondato da due giocatori del Valencia. Effettua uno stop di controbalzo, d’esterno, facendo tunnel a un avversario. Poi scala le marce e allarga ancora per la sovrapposizione di Cafu.
Cassano, anche a 20 anni, aveva un gusto sudamericano per la lentezza del gioco. Un aspetto che, a rivederlo oggi, fa impressione per la sua anti-modernità, oltre che per la sua estraneità al calcio italiano.
Fallo #1 subìto proteggendo il pallone (da notare il passetto col destro che fa per togliere luce all’intervento del difensore).
Intercetta un passaggio svampito di un giocatore del Valencia e col primo tocco dribbla girando attorno all’avversario. Si infila poi sulla fascia col suo tipico passo da toreador: se la porta avanti col piatto destro ciondolando un po’, in attesa di una distrazione del difensore; poi tenta un tunnel. Non gli riesce ma la palla gli rimane sempre attaccata. A quel punto i compagni sono saliti e può servire Candela, ma Cassano aspetta l’ultimo secondo per scaricare, quasi invocando a sé l’intervento del difensore. In quell’attesa che trasforma un semplice passaggio in un passaggio elusivo, che inganna un avversario, c’è la differenza fra Cassano e un giocatore normale, una forma di provocazione piuttosto sudamericana.
Questo fotogramma è bello anche solo per la corsa unica di Cassano, quel modo goffo e insieme iper-composto: col sedere all’indietro, il petto in fuori, la testa alta. Non può arrivare su questa palla ma continua la corsa e la corona con una scivolata enfatica. Per un giocatore come lui, con un’idea alta del proprio talento, una corsa così può essere fatta solo per comunicare agli altri che, almeno per oggi, ha voglia di sporcarsi i pantaloncini.
Riceve la respinta di un difensore ma stoppa male il pallone, che gli rimane sotto. A quel punto perde il tempo della giocata ed entra nel suo territorio peculiare, quello in cui è circondato come nei film d’azione ed è costretto a pensare all’impensabile. Cassano non è quel tipo di dribblatore - stile Neymar, per capirci - che ha sviluppato un’arte dell’elusione fisica, ma uno a cui piace invece il contatto, usare gli avversari come perni cui girare attorno.
Anche qui la prima cosa che fa è appoggiare la schiena sull’avversario, tirandosi la palla all’indietro con la suola. Poi la tocca col sinistro e sembra allungarsela, invece la recupera con un movimento a elastico interno destro-interno sinistro con cui evita un altro marcatore. Sulla fascia costringe di nuovo l’avversario al fallo, in quel modo per cui non sembrava aspettare altro.
Ecco un altro esempio. Riceve sulla trequarti, ci mette un po’ a prendere una decisione e quando scarica per Totti fa un passetto verso il difensore in corsa per subire un altro fallo. In giornate come questa era un incubo marcare Cassano, un ragazzo formatosi calcisticamente nei mundialito tutti-contro-tutti nei vicoli di Bari Vecchia.
Emerson difende il pallone all’indietro e Cassano si inserisce sulla sua traccia portandosela avanti con l’esterno sinistro. Di nuovo, Totti e Cassano si vengono incontro come due pianeti, un movimento a elastico di condensazione ed estensione che fa evaporare il calcio a uno stato gassoso. Totti e Cassano come microparticelle che si muovono a un livello inafferrabile per i difensori. Cassano è così addosso a Totti quando gli lascia la palla che non sa dove andare, fa un po’ di zig-zag, poi passa davanti a Totti quasi chiudendogli lo specchio del tiro. Totti per qualche ragione gliela lascia di nuovo, è un passaggio controintuitivo ma si muove in orizzontale con fiducia. Cassano a quel punto gliela restituisce con uno scavetto d’esterno. Totti sembra volerla colpire di controbalzo, ma poi gli sfila troppo verso destra e calcia male ed alto.
Nella gif ho lasciato anche il replay per farvi godere a pieno della tecnica di Cassano. Guardate la parte del piede che Cassano usa per dare la palla, perché bisogna ricordare che i piedi sono di per sé uno strumento troppo grezzo per manipolare una sfera, ma quella parte del piede è la teoricamente la meno ergonomica di tutto il piede e pochi giocatori sanno usarla.
Cassano riceve una sponda di Cafu e si trova defilato contro un difensore del Valencia. Ancora aspetta di prendere il contatto, poi comincia la corsa in conduzione con l’esterno. A un certo punto rallenta leggermente per mandare fuori sincrono il difensore, e gli sposta la palla con l’interno, costringendolo al fallo, non fischiato. Cassano la prende col sorriso divertito di chi sa che sta facendo impazzire tutti.
Stoppa col petto un traversone di Cafu. La palla gli si allunga un po’, anche se lui ha l’aria sempre un pizzico indolente, e quando sembra condannato a una giocata banale, verticalizza per Totti oltre la linea, in leggero fuorigioco. Anche riguardando più volte la gif è impossibile capire con quale parte del piede Cassano stavolta dà la palla a Totti, forse la suola.
Totti tira ma prende un difensore, sul doppio rimpallo Cassano riesce ad addomesticare una palla imbizzarrita col sinistro. Manda fuori tempo prima l’intervento di un difensore, poi di Canizares, reclama un rigore (chiaro) ma rimedia solo un buffetto consolatorio del portiere. A vent’anni, il gioco d’appoggi di Cassano, i passetti con cui si sposta per il campo, è un enigma per qualsiasi marcatore.
Fallo #6 subito proteggendo palla. La Roma è schiacciata dietro, quando Cassano riceve il suo unico pensiero è farsi fare fallo. Stoppa, aspetta, mette il corpo, sposta la palla con la suola e tac.
Fine.
La Roma vincerà per 3 a 0 ma non riuscirà a qualificarsi per la fase a eliminazione diretta. Totti, autore di una doppietta, sarà votato migliore in campo e Cassano è stato meno appariscente che in altre occasioni - come contro la Juventus o contro l’Inter. Eppure una partita di questo tipo riassume bene cos’era Cassano nel momento in cui stava per sbocciare nella stagione migliore della sua carriera, quella 2003/04 (insieme forse a quella con la Sampdoria).
Il carisma con cui Cassano a 20 anni abitava il terreno di gioco non ha molti precedenti nel calcio italiano, non solo per la qualità delle sue giocate, ma anche per la sfrontatezza con cui vuole prendersi il palcoscenico, mettendo il proprio stile da strada al servizio del calcio professionistico.
Cassano non è stato solo un talento sprecato, ma un talento unico all’interno della nostra tradizione. Il suo gusto per la giocata barocca, il suo stile fondato sulla provocazione e l’inganno è stato quasi un unicum in Italia, un Paese cattolico anche nel proprio gusto calcistico, a cui non piace il tradimento, l’eccesso, l’orpello; che invece preferisce il pragmatismo, la sobrietà, il sacrificio. Pur con il nostro amore per i numeri 10, rispetto all’eleganza senza tempo di Rivera o Del Piero, all’universalità di Totti, al fatalismo cupo di Baggio, la sfrontatezza guascona di Cassano è stata un’esotismo. Forse dovremo ricordare Cassano come il primo vero italiano ad essere anche un vero calciatore sudamericano.