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(di)
Emiliano Battazzi
Cartoline dal Mestalla
04 gen 2016
04 gen 2016
Il racconto di un Valencia - Real Madrid visto dal vivo nello storico stadio valenciano.
(di)
Emiliano Battazzi
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Nella sua attuale eleganza apparente, mimetizzato nel quartiere che porta il suo stesso nome, il Mestalla nasconde bene i suoi anni e tutte le sue peripezie. È difficile immaginare che impresa fosse, per i primi tifosi del Valencia, arrivare allo stadio: bisognava addirittura superare la roggia di Mestalla, uno dei canali artificiali creati durante la dominazione musulmana di Valencia (allora

).

 

Nel giorno della sua inaugurazione, il 20 maggio del 1923, nessuno avrebbe mai potuto immaginare che questo stadio sarebbe arrivato alle future generazioni quasi come un monumento. La storia ne ha messo a dura prova l’esistenza: durante la guerra civile venne usato come campo di concentramento e discarica di rottami, con danni talmente estesi che rimaneva in piedi solo una tribuna; subito dopo la ricostruzione, avviata dal presidente Casanova, lo straripamento del fiume Turia, il 14 ottobre 1957, distrusse alcune parti tra cui spogliatoio, uffici e alcune file della tribuna.

 

L’inondazione però ha decretato la fine del fiume e non dello stadio: il primo è stato letteralmente spostato fuori dalla città, mentre il Mestalla ha continuato a essere ammodernato, fino ai giorni nostri, con il restyling estetico della presidenza Lim a renderlo almeno esternamente apprezzabile. Lo stadio più antico della Liga ha già un rimpiazzo pronto, il Nou Mestalla, a 4 chilometri di distanza: lo scoppio della bolla immobiliare spagnola lo ha lasciato però sospeso a metà, con una carcassa che è quasi un monito anti-speculazione.

 


La carcassa.



 

Prima o poi i lavori saranno completati (il club spera per il centenario nel 2019) e il Mestalla smetterà di ospitare calcio: per ora però rimane il simbolo di una comunità, con la sua essenza contadina e moderna al tempo stesso. In questo antico teatro di calcio si sono sfidati Valencia e Real Madrid: due squadre confuse e, quindi, divertenti.

 



Prima della partita, nei dintorni dello stadio sembra effettivamente di trovarsi in un piccolo paese: i bar sono pieni di tifosi che bevono, la folla invade ma non sequestra il quartiere, che rimane moderatamente vivibile.

 



 

Entro allo stadio alle ore 20, cioè mezz'ora prima dell’inizio della partita: per le mie abitudini romane è già un orario folle e sono in ansia: all’Olimpico si entra in grande anticipo, anche perché prefiltraggi e controlli rendono il processo di avvicinamento estremamente lento. Ma a Valencia è un'altra cosa e il ragazzo ai tornelli mi guarda con aria stupita e chiede se sono sicuro di voler entrare così presto.

 

Sempre per i miei standard romani i controlli sono talmente blandi che mi sento troppo rilassato: lo stadio vuoto, però, con il pipistrello disegnato dai seggiolini della tribuna opposta, mostra per intero il suo fascino. Appena seduto, mi accorgo che dimostra anche la sua età: le file sono così strette che è quasi impossibile camminare; la struttura è piena di piccoli elementi davvero vecchi; le tribune sono a strapiombo sul campo, quasi da vertigine, e anche il settore coperto mantiene un aspetto rustico.

 

Purtroppo la musica da anonima discoteca commerciale rovina questa sensazione; gli slogan in inglese incollati sugli spalti ricordano a tutti che il Valencia è di proprietà di un magnate di Singapore, Peter Lim.

 

Uno dei suoi soci in affari, Gary Neville, dirige la squadra, dopo l’esonero del portoghese Nuno. Stile impeccabile, si affaccia nel riscaldamento, blando per entrambe le squadre: dall’altro lato solo Pepe sembra prendere sul serio l’incombenza del pre-partita.

 

Purtroppo l’inno del Valencia lascia molto a desiderare e la sfida inizia senza quel momento sentimentale di cui avrei bisogno per entrare appieno nel mondo

. Le squadre entrano in campo e si capisce subito come giocheranno: i padroni di casa si sistemano con un 4-1-4-1 flessibile e confusionario, mentre i madrileni provano di nuovo il 4-3-3 del rimpianto Ancelotti, che diventa 4-4-2 in fase difensiva grazie al ripiego di Bale sulla destra.

 


Vertigini.



 

Capisco subito che Cristiano Ronaldo è il giocatore più odiato della serata (ma forse di tutta la Spagna): i buu scimmiottano il verso successivo a ogni gol del portoghese e sono davvero intensi, c’è tutto lo stadio dietro.

 

L’ironia del pubblico valenciano si mostrerà anche in altre occasioni, ad esempio dopo un volo di Marcelo in area di rigore: parte un coro che suggerisce al brasiliano di non perdere tempo a protestare con l’arbitro e di andare a “cortarse el pelo”.

 

Questione di gusti, come quelli di Benítez, che schiera Kovacic in una posizione ibrida da mezzala sinistra, senza grande successo: troppo disconnesso e poco dinamico. Eppure l’allenatore del Real Madrid si merita una standing ovation, all’improvviso, quando la partita è iniziata da qualche minuto: la curva del Valencia comincia a cantare il suo nome e srotola uno striscione commovente con tanto di faccione del buon Rafa.

 


“Nos regalaste los mejores años de nuestras vidas. Gracias”.



 

In quel momento dovrebbe suonare immediatamente “I migliori anni della nostra vita” di Renato Zero (e c’è pure la banda pronta a bordo campo). Come dargli torto: è stato l’ultimo a regalare successi nazionali (due campionati sui 6 in totale vinti dal Valencia) e internazionali (la Coppa UEFA del 2004) al Valencia.

 

Se fossimo negli Stati Uniti, la partita si fermerebbe per qualche minuto; ma mentre immagino un Benítez in lacrime davanti a uno stadio in piedi, mi ricordo che per fortuna siamo a Valencia. In campo la BBC dimostra come funziona il gioco del calcio e con una triangolazione rapida e quasi inevitabile arriva al gol: ci pensa Benzema, ma è merito anche di Cristiano Ronaldo (assist) e Bale.

 


Facile.



 



Una delle questioni più dibattute sulla conduzione tecnica di Gary Neville riguarda la comunicazione: come può un allenatore dialogare bene con i suoi giocatori se parla un’altra lingua?

 

I giocatori hanno capito Bielsa a Marsiglia e capiranno anche Neville a Valencia, probabilmente, e forse si tratta solo di una questione secondaria. Il problema è individuare le idee calcistiche dell’allenatore inglese, ed è difficile: la sua squadra sembra andare avanti per inerzia, per passione, senza mai essere troppo compatta; poco ampia, a volte attacca con una semplice verticalizzazione per l’isolato Alcácer.

 

Nessun giocatore rappresenta meglio lo spaesamento del Valencia di questa stagione meglio di Abdennour: impacciato, persino timoroso, a volte sembra la controfigura di Alex del Milan. Il pubblico lo teme e mormora ogniqualvolta entra in possesso di palla. Il vantaggio del Real nasce proprio da un suo disimpegno sbagliato e dalla seguente uscita irrazionale su Bale: chiedersi dov’è finito il grande difensore del Monaco della scorsa stagione significa anche domandarsi che fine abbia fatto il Valencia dell’anno passato.

 

Fatto sta che il Real Madrid domina la partita per i primi 30 minuti, sembra più squadra, sicuramente ha più talento: è quasi un’esperienza artistica vedere i lanci di Kroos e Modric, così geometricamente precisi. Eppure il Real è ancora una squadra malaticcia: gli squilibri madridisti a volte lasciano attoniti e si può solo immaginare quanto ne debba soffrire un maniaco tattico come Benítez. Dietro Kroos si aprono delle voragini, le distanze tra i reparti aumentano in modo inspiegabile e persino la coppia difensiva si fa trovare impreparata. La BBC gioca senza troppa passione, in particolare Cristiano Ronaldo: appare addirittura meno sfrontato, quasi rassegnato, mentre Bale continua a vagare per il campo alla ricerca di una posizione che non trova. Questa non è la squadra di Benítez, ma di Florentino Pérez, e l’equivoco rischia di mandare in rovina la stagione della Casa Blanca.

 

Nonostante il Real controlli la partita da un punto di vista tattico, le migliori occasioni capitano proprio ai padroni di casa, che giustamente riescono a pareggiare su rigore nell’ultimo istante del primo tempo: segnale davvero preoccupante per i "Blancos".

 



 

La banda che suona a fine primo tempo risveglia il pubblico e la squadra di casa, che rientrerà più convinta e aggressiva.

 



Nel secondo tempo è difficile capire dove sia il Real Madrid e cosa stia pensando, un po’ come i suoi tifosi: sistemati in una piccionaia con pochi posti, così in alto da riuscire probabilmente a vedere le stelle della notte valenciana, oltre a quelle in campo. Sono così pochi e distanti che le loro urla non arrivano dall’altro lato neppure dopo il gol.

 

Dopo 20 minuti di gioco intermittente, tra cori contro il presunto potere politico della Casa Blanca e buu contro Cristiano, ecco il momento Benítez: quel piccolo grande errore che poi spingerà i media a criticarlo per tutta la settimana. Esce Benzema, l’uomo più sostituito del Real, ed entra Lucas Vázquez, un pretoriano di Rafa, per risistemare la squadra con un 4-4-2. Il centravanti francese sembra quasi incredulo, non vorrebbe uscire e non ha torto, perché è il più vivo dei tre attaccanti. Nel frattempo la curva valenciana lo deride urlando “Valbuena, Valbuena”.

 


Una giocata che testimonia le condizioni di forma di Karim ieri sera.



 

Neppure il tempo di risistemarsi che Kovacic si fa espellere per un’entrata folle a centrocampo, mandando così in malora i piani di Rafa. Il Valencia prende coraggio, comincia ad avanzare sul campo e allora il Real Madrid sembra giocare meglio: ma è semplicemente grazie ai maggiori spazi che si aprono nella metà campo avversaria.

 

Il gol del vantaggio madridista arriva su calcio piazzato: riconosco Pecchia, il vice di Benítez, che quasi vorrebbe entrare in campo a esultare. Un signore anziano, esattamente una fila sotto al mio posto, per la disperazione apre una lattina di Guinness ottenuta non si sa bene come (a me avevano detto di non poter vendere birre) e decide di berla tipo shotgun, cioè tutta di un fiato. Tale rituale viene premiato dal pareggio di testa di Paco Alcácer, l’idolo del Mestalla, appena un minuto dopo, a conferma che i tifosi possono credere di influire, con le loro insensate scaramanzie, sul risultato finale.

 



 

Da quel momento, entrambe le squadre sembrano in stato di ebbrezza e barcollano sul campo senza una direzione: già in pieno recupero lo squalo Negredo, da solo davanti a Navas, si fa respingere un gol fatto; nella seguente azione, Bale quasi riesce a presentarsi davanti al portiere, ma arriva stremato e disturbato da un difensore avversario e spara in curva il pallone di una vittoria immeritata.

 

Il fischio finale interrompe questo festival della disorganizzazione che lascia felici i tifosi del Valencia: gli applausi sono sinceri, Neville si è guadagnato altra fiducia perché la squadra sembra almeno essere viva.

 

Il Mestalla si svuota in un attimo e il quartiere si riempie di nuovo: il pullman del Real aspetta in strada e chissà che a Benítez non convenga far finta di nulla e rimanere qui, in questa splendida città che lo ama profondamente.

 

Prendere un taxi diventa difficile, quasi come la stagione del Real Madrid: le altre macchine sfrecciano veloci e più passa il tempo, più si diventa nervosi. Ma per fortuna siamo a Valencia, vero Rafa?

 
 

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