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Foto di Denis Doyle/Getty Images
Calcio Stefano Borghi 21 dicembre 2016 7'

Carrasco, versione definitiva

Nel 2016 Yannick Ferreira Carrasco ha raggiunto forse la sua completa maturazione.

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La sensazione che ci porteremo dentro quando ripenseremo al 2016 come l’anno della definitiva esplosione di Carrasco non sarà quella di stupore per qualcosa di inatteso, ma dell’inevitabilità delle conseguenze naturali: in Carrasco non è avvenuto nessun vero cambiamento, piuttosto un’evoluzione e un’armonizzazione di caratteristiche che ha sempre avuto, e che i suoi maestri hanno avuto il pregio di saper rendere sistema.

 

Non è, per intenderci, un guizzo da zero a cento, ma più un’accelerazione costante e inesorabile, scandita da fasi, come i motori delle fuoriserie. Anche se lui in campo è profondamente diverso. È una tigre: bella, elegante, che ama farsi ammirare. Ma che quando vuole colpirti, sbuca all’improvviso e succede l’inevitabile.

 

 

Un’accelerazione costante

 

Il primo stacco stagionale è datato 30 Gennaio 2016, con una maglia biancorossa, ma diversa da quella con cui si è affacciato sul panorama europeo, quella del Monaco. Al Camp Nou si gioca Barcellona-Atletico Madrid, la partita che nei due anni precedenti ha sempre deciso il titolo. L’Atleti è staccato di tre punti e con una partita in più: o la va o la spacca. Simeone mette Carrasco dal primo minuto.

 

Per il belga si tratta della prima titolarità in una partita di quello spessore, e in qualche modo un’importante investitura di responsabilità. L’avvio dell’Atletico è da sogno: il vantaggio immediato di Koke, l’ennesimo miracolo che sembra materializzarsi. Ma che poi sfuma, per colpa dell’uno-due firmato da Messi e Suarez e l’espulsione folle di Filipe Luis. Quei quarantacinque minuti rimangono fra i più intensi, emozionanti e qualitativi che il calcio europeo abbia proposto negli ultimi anni.

 

Ma sono soprattutto i secondi quarantacinque, quelli in cui l’Atletico, prima in dieci e poi addirittura in nove, trasforma una prevedibile agonia in una sorta di sacrificio collettivo in stile 300. In inferiorità numerica contro i semidèi, il minimo che si può chiedere alle proprie possibilità è di morire con onore. E l’onore lo hanno dato soprattutto le puntate brucianti di Carrasco, che al Camp Nou mette in mostra una serie di progressioni palla al piede semplicemente ingestibili.

 

 

 

Pochi mesi fa

 

Le migliori prestazioni di Carrasco spesso vengono fuori nei momenti meno prevedibili. Come è successo a Milano, nella finale di Champions League, lo scorso maggio, nell’ultima e più importante partita della stagione. Anche in questo caso entra nel secondo tempo: Simeone, in svantaggio, lo inserisce all’intervallo al posto di Augusto, profetizzando la sua idea di rivoluzione qualitativa evidentemente già pianificata per l’anno successivo.

 

La prestazione è sintetizzata in un’azione che si sta svolgendo sul lato di campo opposto alla sua posizione. Dissimula, Carrasco, come a non voler attirare l’attenzione su di sé. Aspetta che la linea del pallone arrivi sul suo asse, e solo allora si muove, dietro a tutti. Brucia Lucas Vazquez, e segna.

 

 

Il bacio, la notorietà definitiva, e poi la sorte che si frappone, sotto forma di palo, tra Juanfran e la gloria, sono il corollario di una serata eloquente soprattutto di un aspetto di Carrasco: ha raggiunto una nuova e più stabile misura. Una dimensione importante, come importante è il numero che dalla partita successiva accetterà di portare sulla schiena, il 10.

 

L’ultimo gradino salito da Carrasco nel 2016 corrisponde all’ingresso in pianta stabile nel gotha dei migliori giocatori. Avviene quando Simeone lo porta sempre più all’interno del campo, più vicino alla porta, dandogli definitivamente i gradi del risolutore. Il giocatore è sempre lo stesso, cresciuto però fisicamente e tatticamente. L’Atletico ha avuto il merito di raccoglierlo quando la maturazione era già avviata, anche se lo teneva d’occhio da molto tempo, ancor prima ancora del suo debutto monegasco. Quando ancora giocava nella squadra B del Monaco ed era “solo” un nazionale giovanile.

 

 

Flashback

 

Martedì 28 Febbraio 2012: ad Hamme, nelle Fiandre orientali, l’Under 19 belga ha in programma una morbidissima partita amichevole contro i pari età estoni. Niente di eccezionale, infatti finisce 6-0 senza un minimo di storia. A vederla però c’è un ragazzo di venticinque anni, spagnolo: Luis Rodriguez del Teso, un tipo sveglio e appassionato, che fin da giovanissimo si è messo a fare da osservatore costruendosi buone referenze e che nel 2011, dopo la decisione di aderire al programma Erasmus che lo avrebbe portato ad Anversa per un anno durante il suo corso di laurea in Amministrazione e Direzione d’Impresa, fu agganciato dall’Atletico per mandare rapporti dalle zone di Belgio, Olanda e Germania.

 

Quella selezione under19 belga gli interessava parecchio, perché – nonostante poi non sia riuscita a qualificarsi per la fase finale dell’Europeo estone – aveva sulla trequarti una quantità di talento impressionante. Ci giocavano Thorgan Hazard, Denis Praet e Yannick Carrasco. Che, nei ragionamenti di Rodriguez del Teso, presentava rispetto agli altri due vantaggi importanti.

 

Il primo è che alle qualità tecniche e alla velocità di esecuzione abbinava anche una visibile ambizione. Il secondo, determinante, era il suo essere madrelingua spagnolo. Carrasco segnò in quella partita, su punizione diretta. E sulla riva del Manzanarre arrivò un report tanto dettagliato quanto positivo. Seguito, tre anni dopo, da Yannick Carrasco in persona.

 

Un gol d’antan, a pochi mesi da quella partita, con la maglia del Monaco di Ranieri.

 

Il Carrasco che sbarca a Madrid ha già collezionato oltre cento partite da professionista e una ventina di gol sotto la cintura. Il livello d’ambizione che lo accompagna è altissimo: viene pagato una ventina di milioni per essere l’erede di Arda Turan, appena andato al Barcellona. La pressione è tanta, fin dal giorno della presentazione ufficiale, quando riesce a dire una sola cosa: “Ho la pelle d’oca”. Poi c’è l’impatto col Cholo Simeone e col suo staff, il che vuol dire fare una preparazione massacrante agli ordini del “Profe” Ortega, il preparatore atletico più esigente, marziale e forse anche bravo del mondo. La stessa preparazione che portò un altro nuovo acquisto di quel periodo, Luciano Vietto, a vomitare per la sforzo alla fine del primo allenamento.

 

Una volte superata l’educazione spartana di Oscar Ortega, Carrasco passerà da Simeone e da Burgos. È con loro che si diventa calciatori, tecnicamente e soprattutto tatticamente: un apprendistato meno violento, magari, ma molto più lungo e laborioso.

 

La prima partita della Liga 2015/2016 Carrasco la vede dalla tribuna del Calderon, come capita a quasi tutti i nuovi arrivi di Casa Cholo. Diego Pablo Simeone, come chiunque abbia visto giocare il belga con la maglia del Monaco, sa bene cosa ha a disposizione: un’ala sinistra di piede destro dalle qualità offensive straordinarie, con passo veloce e lunghe leve, tecnica da campetto e un tiro da fuori che fa tremare i muri. Ma questo non basta. O meglio: questo è tanta roba, solo che per essere un grande giocatore nel calcio di oggi devi avere tutto. Quindi la missione diventa curarne l’evoluzione fisica e tattica.

 

Gli estenuanti allenamenti del “Mono” e del “Cholo” lo portano spesso a lavorare sulla corsia di destra (“per abituarlo a scenari differenti e apprendere delle cose tattiche”, spiega l’argentino). Soprattutto, viene infarcito di nozioni strategiche e difensive: deve imprimersi nella mente i tempi e le distanze, imparare a rientrare sempre e a compattare le linee. Carrasco lavora, pensa solo a quello. E dà a Simeone tutte le risposte giuste. Un esempio? Il debutto da titolare in Champions League, 21 Ottobre 2015 contro l’Astana: gioca 90 minuti, non fa registrare né gol né assist come invece gli era capitato al Louis II nel giorno del suo esordio assoluto. Però percorre 11,5 chilometri, il secondo di tutta la squadra ad aver corso di più. Questo vuole Diego, solo questo deve aggiungere Yannick. La dedizione con la quale, gradualmente, porta a maturazione i suggerimenti del Cholo gli vale una costante scalata nelle gerarchie, e la costruzione di un rapporto di mutua fiducia.

 

 

Tre consacrazioni in sette giorni

 

Il lavoro che Simeone ha esercitato con Carrasco ha trovato quest’anno definitivo compimento con il concepimento di un ruolo che preveda costanti inserimenti nei corridoi interni, compito perfetto per uno giocatore con queste caratteristiche nel calcio che si gioca in Europa oggi.

 

L’apprendistato è finito, Carrasco è pronto e fatto: un assunto che si sancisce soprattutto nei sette giorni fra il 15 e il 22 ottobre. Nella partita col Granada segna la prima tripletta della sua carriera e la ricama con due assist. E lui è sempre lo stesso. Il modo, il medesimo. Solo sempre più continuo, sempre più forte, perché possiede le giuste conoscenze e viene messo nel contesto più adatto.

 

Tutto Carrasco in cinque, abbacinanti mosse.

 

Segna tre gol arrivando a rimorchio, come a Milano. Il primo di forza, entrando in una mischia su corner come un bulldozer in un bosco di alberelli. Demolitore. Il secondo in puro stile, danzando dal lato corto al lato lungo dell’aria di rigore per poi emettere la sentenza mortale. Falciante. Il terzo è un gol da re, che osserva il lavoro dei generali ed entra sul campo di battaglia solo per la stoccata finale. Maestoso. Poi due regali ai compagni, da freestyler.

 

Poi viene il match col Rostov, in cui segna il secondo gol di fila in Champions, dopo quello contro il Bayern.

 

Uno dei suoi classici gol: quando t’accorgi che è lì è già troppo tardi.

 

Al di là del gol, nella prestazione contro i russi dimostra anche che Carrasco è finalmente pronto a sporcarsi le mani quando c’è da scavare per trovare l’oro. La naturale conseguenza è che arriva la firma sul nuovo contratto, una blindatura fino al 2022 con una clausola da 100 milioni di euro.

 

 

Diventare grandi

 

Carrasco nel 2016 è diventato grande, ma grande davvero. È su di lui che si fonda il progetto di ricostruzione di un Atleti che sta chiudendo, fisiologicamente, il ciclo cholista e guarda al futuro. Che lo costruisca direttamente Carrasco o lo facciano i soldi di chi vorrà investire questa cifra su di lui lo vedremo.

 

Guardarlo giocare, che sia la prima o l’ennesima volta, regala sempre la stessa sensazione. Quella di un flusso elettrico, una corrente che percorre il terreno, tendenzialmente in diagonale e sempre con la stessa destinazione: la porta. Luce, energia, impulso. Ma è così più o meno da sempre, ed è per questo che l’esplosione di Carrasco può essere considerata più un’evoluzione che una rivelazione: la scintilla gliel’ha sempre data la passione costruita sulla strada, il senso della concretezza, la famiglia che è tutt’oggi il suo mondo privato. Poi, è stato grazie alle giuste richieste (a cui ha saputo dare le giuste risposte), che ha imparato a tradurre il potenziale in potenza.

 

Un’accelerazione non brusca ma costante, con quel passo cadenzato ma ingestibile, in attesa della sgasata, improvvisa, che cambierà ancora il futuro.

 

 

Tags : atletico madridferreira carrascoliga

Stefano Borghi è da anni una delle principali voci del calcio sudamericano in Italia. Ex telecronista di Sportitalia, è ora a Fox Sports dove commenta le partite di calcio internazionale, e della Liga spagnola in particolare.

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