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(di)
Emanuele Atturo
Ave Cesare
12 set 2022
12 set 2022
Carlos Alcaraz vince il primo Slam e inizia il suo regno.
(di)
Emanuele Atturo
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Foto di Tim Clayton / Getty Images
(foto) Foto di Tim Clayton / Getty Images
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Un anno fa agli US Open Carlos Alcaraz si rivelava al mondo battendo Stefanos Tstsipas e mostrando la differenza tra lui e una generazione di talenti in cerca d’autore. Una differenza intangibile, che non avremmo saputo definire con precisione, e tuttavia netta e riconoscibile. Un anno fa abbiamo visto qualcosa di speciale in Carlos Alcaraz, in un’edizione del torneo che con la vittoria di Emma Raducanu aveva suggerito un futuro divertente in uno sport a cui piacciono i toni apocalittici. Un anno fa lo sapevamo: per Alcaraz non era questione di se ma di quando.Certo, il tempo scorre lento nel tennis. I giocatori di oggi hanno imparato con piglio mesto la virtù della pazienza. Traguardi che i propri predecessori divoravano con la spensieratezza della gioventù, cogliendoli dall’albero ancora acerbi, loro sono stati costretti a lasciarli maturare, con la paura latente che prima o poi sarebbe arrivato qualcuno più giovane e più forte di loro, a coglierlo al posto loro.Carlos Alcaraz ci ha messo un paio d’anni di professionismo a imparare quello per cui agli altri sono serviti anni. In questo ha rispettato le aspettative. Dicevano che sarebbe diventato numero uno al mondo, e lo è diventato; dicevano che avrebbe vinto uno Slam, e lo ha fatto ieri sera, quando ce lo siamo ritrovato singhiozzante, con la faccia a terra, dopo aver battuto Casper Ruud in una finale da 4 set nell’arena chiassosa di Flushing Meadows. Ha raccolto il trofeo dalle mani di John McEnroe, col viso ancora butterato e il sorriso un po’ buffo. Un anno dopo la sua rivelazione, insomma, Carlos Alcaraz è diventato il nono teenager a vincere uno Slam nell’era Open e uno sport fatto di campioni logori e storie di conservazione eterna, si è trovato proiettato nel futuro. È il più giovane vincitore Slam da Nadal al Roland Garros del 2005.Troverete chi vorrà sminuire questa vittoria attraverso la presenza di Casper Ruud in finale. Ruud come elemento puramente decorativo della consacrazione del campione, come Mark Philippousis lo era stato di Federer a Wimbledon 2003; come Mariano Puerta lo era stato di Nadal al Roland Garros 2004. Come se questa vittoria di Alcaraz fosse una semplice anticamera preparatorio di altre più vere. Ci vorrebbe però più rispetto quando si parla di Casper Ruud, che quest’anno ha giocato due finali Slam ed è in costante crescita. Tre mesi fa ha giocato la sua prima finale slam con risultati modesti. Era stata una cerimonia di premiazione straniante. Ruud cresciuto col mito di Nadal e formatosi tennisticamente nella sua accademia. È umile ed educato, un’instancabile lavoratore, capace di imparare e limare i propri difetti all’infinito. Sorrideva felice al termine di una finale persa in modo netto e a tratti brutale, e sembrava un punto d’arrivo più che a un punto di partenza. Nel tennis di oggi non sono ammessi punti deboli e il suo rovescio lo era in modo fin troppo lampante.Mentre lo guardavamo felice a Parigi, splendido perdente, non avevamo ancora capito Casper Ruud, non immaginavamo che tre mesi dopo si sarebbe trovato alla finale degli US Open contro Carlos Alcaraz, l’erede al trono, e che per lunghi tratti di partita avrebbe persino giocato meglio di lui. Il suo percorso verso la finale è stato piuttosto lineare con un picco di gioco raggiunto nei quarti di finale contro Matteo Berrettini, annichilito per due set con un tennis in cui, stando alle parole di Ruud stesso, «Tutto ha funzionato fin troppo bene». Alcaraz è invece andato vicino a perdere quasi in ogni turno dagli ottavi in avanti, e infine ha sempre vinto; su campi trasformati in arene pugilistiche, ha dovuto dar fondo al proprio talento, e soprattutto al proprio spirito agonistico, per avere la meglio su Cilic, Tiafoe e Sinner, a cui ha dovuto annullare un matchpoint che ricorderemo ancora a lungo (cosa sareste disposti a rinunciare, per la prima di Sinner su quel punto?). Alcaraz non ha mostrato un tennis di dominio, ma una capacità sovrannaturale di rifiutare la sconfitta, di esaltarsi nella battaglia. Il suo serbatoio di energie e possibilità tennistiche, come sempre, è sembrato sconfinato, sebbene si sia manifestato solo in alcuni momenti. In quei momenti, però, il tennis diventa uno sport incredibilmente bello da vedere. La finale non è stata meno bella, e chi si aspettava una partita scadente e a senso unico, beh, deve essere rimasto deluso. Ruud e Alcaraz si sono scontrati con un tennis scintillante e a tutto campo, completissimo ma capace di innalzarsi ulteriormente quando i punti della partita si sono fatti più delicati. Una qualità dimostrata anche da un saldo tra vincenti e non forzati altamente positivo per entrambi. Chi si tifava in questa finale? Il pubblico si è diviso assecondando due gusti diversi. L’etica del lavoro di Ruud, l’idea dell’underdog che può strappare un successo oltre le proprie possibilità; dall’altra parte il giocatore più esaltante, quello dal pedigree più nobile, l’erede al trono designato, che si vuole vedere incoronato davanti ai nostri occhi per amore della storia.È stata una finale particolare anche per la conformazione fisica dei due giocatori in campo. Dopo anni di freak atletici, in grado di abbinare altezza, elasticità e coordinazione in modo unico, Alcaraz e Ruud hanno portato in campo dei corpi più normali. O almeno, la cui eccezionalità atletica è più tradizionale. Gambe forti e rapide, dinamismo e mobilità fuori scala, una capacità inferiore di generare punti diretti dal servizio. Due giocatori per certi versi simili, perché cresciuti su terra, una superficie che negli ultimi anni non ha espresso grandi campioni. È più comune che i tennisti forti crescano sul veloce per poi adattare i propri colpi alla terra, è più raro che succeda l’inverso. E se il talento di Alcaraz rende inutile descriverlo come un talento specialistico, Ruud per un certo periodo non sembrava potersi emancipare dal rosso. Negli anni si è costruito la fama di tennista gentile e banale. Kyrgios di lui aveva detto di preferire guardare la vernice asciugarsi piuttosto che una sua partita. Con questo US Open, e con la finale a Miami di qualche settimana fa, ha mostrato una crescita simile a quella di Dominic Thiem, che per anni ha ottenuto risultati solo sulla terra per poi migliorare sul veloce al punto di vincere il suo primo Slam agli US Open. Certo, ha colpi meno dirompenti di Thiem, meno vincenti nelle mani, ma il suo ritmo da fondo campo prometteva di pareggiare quello di Alcaraz.Nel primo game lo spagnolo annulla due palle break con due servizi vincenti. È un colpo poco appariscente ma solidissimo, equilibrato tra prima e seconda palla, con rotazioni e piazzamenti intelligenti, più di costruzione che di ricerca di punti diretti. Il tennis di Alcaraz si esprime a fiammate, e nella finale la prima fiammata arriva presto. Al terzo game si porta sullo 0-30 e poi gioca un punto paranormale per andare a palla break. Squarcia il campo in diagonale sia col dritto che col rovescio, spingendo con veemenza spaventosa. Poi chiude il campo in avanti di soppiatto, in uno di questi attacchi in contrattempo rari nel tennis di oggi ma non per lui, che gioca poi una volée di dritto vincente.

Anche ieri Alcaraz ha giocato con una qualità strepitosa a rete, scendendo con parsimonia ma sempre con grande arte. È una qualità che lo rende un giocatore insolito nel tennis di oggi - ma che soprattutto espande le sue possibilità tattiche. Il suo repertorio così vasto non era semplice da indirizzare in un gioco già pratico, con una sua linearità, a meno di vent’anni.Quel break è stato infine decisivo nel primo set. La finale sembra aver preso una piega inevitabile e Ruud di nuovo imprigionato nei panni dell’imbucato su un palcoscenico che non gli appartiene. Un’etichetta che forse in quel momento si sente appiccicato addosso, ma che nel secondo set si scrolla via. Alcaraz concede qualcosa - sbaglia una volée grossolana nel settimo game -, il servizio cala un tantino e diventa meno lucido strategicamente. Quando capita allo spagnolo, in genere, ce ne accorgiamo perché comincia ad abusare della palla corta, forse il suo colpo più iconico, ma quello in cui si rifugia quando in difficoltà. In molti credono debba giocarne di meno. Ruud però lo invita a volte, perché è distante chilometri dalla rete. Il norvegese però ha gambe eccezionali e riesce a recuperare tutto.

Il break che ha invertito l’andamento della partita. Alcaraz prova subito a prendere la scorciatoia della palla corta ma le gambe di Ruud sono strepitose. Il norvegese convertirà il break dopo un altro recupero corto con lob annesso.

Nel secondo set si giocano diversi scambi di fino, con i due giocatori chiamati a rete dai drop shot. Ruud non sfigura affatto e dimostra più volte non solo grandi gambe ma anche un’ottima mano. Vince i punti più spettacolari, ma anche quelli più regolari. Quasi tutte le volte che lo scambio di prolunga oltre i nove colpi, Ruud lo porta a casa (in questa settimana ne ha vinto uno nauseante da 56 contro Khachanov). Sulla diagonale di rovescio, quella in cui è più in svantaggio, tiene bene, a volte staccando anche la mano; poi quando lo scambio si accorcia sul rovescio non si fa pregare e lascia andare il braccio (ha fatto gli stessi vincenti di Alcaraz col dritto, che oggi è giudicato il migliore del circuito). In più, in fase difensiva alza il muro. La velocità di gambe di Ruud produce l’effetto indiretto di mettere pressione ai suoi avversari (era successo a Berrettini) e di influire sul contesto in maniera sottile e pervasiva. Recupera tutto e quindi invita Alcaraz a tirare un pochino più forte, a cercare la parte più esterna della riga. Un contesto delicato per un giocatore come Alcaraz che se ha una un peccato di gioventù è una certa esuberanza di braccio, un’incapacità di manovrare e gestire lo scambio su velocità intermedie.

Uno scambio importante che Ruud rimbalta con un dritto in corsa lungolinea che anche solo un anno fa non avrebbe mai giocato.

Nel secondo set Alcaraz perde le misure e nel terzo fatica a ritrovarle del tutto. Se i primi due set sono andati rapidi e alternati come in una coreografia, nel terzo la partita diventa lenta, pesante e spettacolare. Alcaraz è scarico ma sa che deve vincere il set. Viene da un torneo di partite di cinque ore, in cui il tennis è sembrato uno sport sanguinario. È difficile calcolare l’impatto che queste maratone potranno avere sulle sue gambe con l’andare della partita.Altro peccato di gioventù di Alcaraz: dipendere troppo dal suo entusiasmo. Nei suoi momenti migliori i suoi colpi sembrano ricoperti da una pellicola di energia supplementare. I suoi dritti e i suoi rovesci sembrano accelerare durante la loro traiettoria, filano come se nutrissero la propria velocità nell’aria, sfondando un muro invisibile di normalità. In quei momenti Alcaraz sembra una palla di fuoco, per come rimbalza per il campo, muove i piedi freneticamente, tira a velocità spaventose. Quando le energie si spengono, però, diventa un giocatore molto più normale. Non pare solo una questione di freschezza atletica ma di energia emotiva che proietta in campo. Forse è anche per questo che cerca sempre di tenere la spina attaccata a forza di pugni agitati, esultanze, grida verso il suo allenatore.Nel terzo set, soprattutto nella sua seconda parte, le energie di Alcaraz sono andate vicine a crollare. Le sue palle corte sono sempre più strampalate e sta perdendo il confronto sulla diagonale di dritto. Rimane attaccato soprattutto con la sua grinta e un amore per la battaglia agonistica che sembra un concetto vago, finché atleti come lui non lo fanno carne. Più praticamente, quando Ruud accorcia, Alcaraz lo attacca sul rovescio. Diminuisce le smorzate, rimane attaccato a un tennis più essenziale e annulla qualche set point in un game da boxe sul 5-5, durato dieci minuti. È sembrato davvero alle corde, ma se ne è tirato fuori con la magia.

È il solito discorso scemo, ma se Ruud avesse vinto il terzo set? Alcaraz avrebbe retto un’altra partita, la quarta consecutiva, al quinto?

Vedendo Alcaraz uscire dal bunker, Ruud forse vacilla. Poche cose sono più difficili, nel tennis, che l’arte orientale di lasciar andare i rimpianti. Alcaraz inizia a giocare con la foga del sopravvissuto, mentre Ruud con la paura di chi ha troppo da perdere. Il tiebreak del terzo finisce 7 a 1. Ruud come lo studente che fa scena muta all’esame dopo un’estate passata sui libri. Alcaraz invece un competitore nato, capace di governare la legge più crudele del tennis, quella per cui i punti sono tanti ma tutti con un senso diverso. Dopo la partita Ferrero ha detto che Alcaraz «È nato per vincere questo tipo di tornei e di partite. Fa cose diverse dagli altri ragazzi». Forse è questa, in fondo, la differenza tra Ruud e Alcaraz? Il motivo per cui anche l’occhio meno allenato alle sfumature del tennis può riconoscere in uno un campione, o potenziale tale, e nell’altro “solo” un gran giocatore? Esistono davvero queste impronte sacre che differenziano i talenti naturali dai lavoratori, gli uomini dai semidei?Nel quarto set Ruud sbarella, perde l’equilibrio dei colpi da fondo. Sul rovescio soffre sempre di più, e sul dritto cerca di forzare ogni palla a disposizione, esagerando. Alcaraz, invece, ricomincia a volare. In certi dritti anomali, per come gira attorno alla palla, sembra stare qualche centimetro sopra terra. Anche le sbracciate più violente, quelle più ambiziose e scatenate, restano in campo. Pare voler dare fuoco al campo a forza di pallate. Dopo la semifinale Frances Tiafoe aveva detto: «Non ho mai giocato con un tennista che si muove così bene. Sarà un problema per parecchio tempo».Durante la cerimonia di premiazione abbiamo avuto la sensazione, difficile da spiegare, dell’inizio di qualcosa. Qualcosa che qualcuno temeva non sarebbe mai arrivato. Il tennis da qualche anno ha cominciato a raccontarsi con tonalità apocalittiche, come alla fine di un’epoca grandiosa che non tornerà mai. Alcaraz è stato da subito investito del titolo di vero erede dei big-3, in grado di dominare il circuito per anni. L’unico il cui spessore di talento pareva diverso dagli altri. (Sarebbe interessante anche capire da dove viene, nel pubblico del tennis, questo desiderio di regnanti). Nelle sue prime parole da imperatore Alcaraz ha promesso un regno lungo. Ha detto che vuole restare in cima ancora per settimane, per molti anni. Ha indicato il trofeo e detto che ne vuole ancora di più. Sulle nostre timeline stamattina sono spuntate le sue foto mentre bacia la coppa ed è stato come cambiare la foto del regnante nelle aule pubbliche. Per quanto ci riguarda, auguriamoci che non sia assolutismo.

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