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Perché le card di FIFA sono diventate così importanti?
13 set 2019
13 set 2019
Cosa ci dicono le proteste dei giocatori sui propri rating nel videogioco della EA Sports.
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Ogni volta che esce un nuovo capitolo di FIFA, ancora prima che il videogioco sia acquistabile, anzi, quando vengono rese pubbliche le prime card con i valori della nuova edizione, i giocatori professionisti iniziano a discutere i rating di se stessi, come una volta facevano gli studenti del liceo a fine anno con i quadri appesi fuori dall’ingresso della scuola. Per FIFA20 è successo a partire dal 9 settembre, quando EA Sports ha pubblicato i valori dei 100 giocatori con il rating più alto.

 


 

Ecco Jadon Sancho che si lamenta del suo valore nei passaggi, ad esempio.

 

Ma come

77? Chiede Sancho alla EA Sports, che si premura anche di coccolarlo, facendogli notare che invece nei “dribbling” ha addirittura 90. «Dovrebbero essere entrambi 90, un pochino severo», risponde Sancho, con una permalosità che non sembra ironica.

 

Aubameyang, invece, sul suo profilo Twitter ha retwittato i commenti di alcuni suoi follower secondo i quali il suo rating sarebbe dovuto essere più alto. Ma basta fare una ricerca molto generica su Google o su Twitter per scoprire che esistono migliaia di commenti, imprecazioni e meme sui rating delle card di FIFA, da parte di centinaia di persone. Alcuni club hanno capito l’antifona e hanno iniziato a produrre video in cui si chiede a due giocatori di indovinare il proprio rating. «Sono sicuro che il mio [rating] sarà irrispettoso», inizia subito Eric Dier

, dopo nemmeno cinque secondi, e quando scopre che il suo rating di velocità è 54 affonda la faccia in una mano e si lascia andare a una risata disperata.

 



 

Il Manchester City, invece, ha ribaltato l’idea: a due giocatori – in

Gabriel Jesus e Fernandinho – viene presentata una card con il viso coperto, e loro devono indovinare dai valori chi è. Fernandinho si chiede «cosa si intende per

» mentre Gabriel Jesus ha paura che un irriguardoso 39 in “difesa” sia suo. «Se sono io si vede che all’EA Sports piace scherzare». Quando si scopre che quella di cui stanno parlando è effettivamente la sua card la prende a ridere: «Devono essersi sbagliati: aiuto molto di più in difesa».

 



 

Poi c’è Romelu Lukaku, che si lamentava dei suoi voti

, e quest’anno è rimasto talmente scioccato dal valore della sua velocità (75) da portarlo a pubblicare una storia di Instagram (con un funereo sfondo nero) in cui dice che la sua

velocità di picco è 36 km/h e tagga l’account ufficiale del videogioco concorrente PES. «Spero che almeno voi non mi deluderete», ha scritto Lukaku, come i clienti delusi dai ristoranti su TripAdvisor.

 

Insomma, a questo punto avrete capito che i giocatori professionisti non sono quasi mai contenti di come si vedono riflessi nelle card di FIFA, distorti come negli specchi delle case dell’orrore nei luna park. E possiamo anche dare retta a chi, su Twitter, scriveva che alla EA Sports nessuno guardi davvero il calcio giocato, cioè che siano semplicemente degli incompetenti - una tesi particolarmente persuasiva, se si pensa che è stato aumentato il rating di Mustafi rispetto all’anno scorso - ma forse è inevitabile che ci sia dibattito nel definire qualcosa che per sua natura non è oggettivamente quantificabile, come il talento calcistico.

 

In fin dei conti sono le stesse identiche discussioni che faccio con i miei compagni del calciotto settimanale da quando abbiamo scaricato un’app che ti compone automaticamente le squadre più equilibrate, basandosi appunto su dei valori simili (anche se ancora più rudimentali) di quelli di FIFA. Certo nel nostro caso è ancora più difficile, trattandosi di giocatori fuori forma senza alcun allenamento, molti dei quali hanno iniziato a giocare a calcio solo pochi anni fa. Ma sono le stesse rimostranze dei giocatori iper-competitivi, iper-allenati, iper-pagati, nei confronti della EA Sports.

 



Nel frammento di Borges

, si immagina un impero in cui i cartografi sono arrivati ad un livello di perfezionamento tecnico tale da arrivare a pensare di costruire un’immensa mappa 1 a 1 di tutto il territorio. «I Collegi dei Cartografi fecero una Mappa dell'Impero che aveva l’Immensità dell'Impero e coincideva perfettamente con esso. Ma le Generazioni Seguenti, meno portate allo Studio della cartografia, pensarono che questa Mappa enorme era inutile e non senza Empietà la abbandonarono all'Inclemenze del Sole e degl’Inverni». Il paradosso di Borges somiglia a quello che coinvolge FIFA, con il Collegio dei Cartografi al posto dello staff di programmatori della EA, intrappolati nel paradosso cercando di ricostruire la realtà calcistica nel modo più fedele possibile, senza avere mai la possibilità di riuscirci.

 

Perché così come la rappresentazione di una strada su una mappa non sarà mai una strada, per quanto grande e dettagliata possa essere, allo stesso modo un rating non potrà mai veramente descrivere compiutamente il valore assoluto di un giocatore, o anche di un singolo aspetto del suo talento, come il passaggio o il dribbling.

 

C’è dell’ironia nel fatto che i programmatori di FIFA si stiano scontrando su questo limite, considerando come

sia aumentata in diretta correlazione con il suo realismo. È la stessa EA Sports che ha suggerito che FIFA potesse essere davvero

, ad esempio riproducendo fedelmente le esultanze dei giocatori, il loro modo di correre, di saltare. Anche cambiando continuamente i rating in base alle variazioni

dello stato di forma dei giocatori; oppure compiendo la strada inversa, dal videogioco alla realtà, facendo posare i calciatori premiati come giocatori del mese della Premier League con la loro card. EA Sports, tornando al paradosso di Borges, ha aumentato la grandezza e il dettaglio della mappa il più possibile, facendo gradualmente uscire FIFA dallo schermo per trasformarlo in un fenomeno culturale di massa, prima, e in uno sport vero e proprio poi.

 

In questo senso, le rimostranze dei giocatori nei confronti delle caratteristiche dei propri avatar digitali ci ricordano quale sia il limite per chiunque cerchi di riprodurre la realtà con i numeri, siano essi statistiche vere e proprie (che infatti quando vengono usate per determinare un valore assoluto si rivelano fallibili) o stelline per la voce “skills” di FIFA. La riproduzione di una montagna non è affatto una montagna, anche se molto dettagliata e in scala 1 a 1, così come una card di FIFA non è affatto, e non sarà mai, una rappresentazione realistica del talento di un giocatore e, similmente, un insieme di statistiche, per quanto dettagliate e complesse, non potrà restituire l’interezza di un giocatore. I numeri, proprio per la loro capacità di riassumere la realtà in maniera semplificata e astratta, celano una distorsione dietro alla loro pretesa di obiettività.

 



In confronto ai numeri, chi usa le parole assomiglia a quei ricercatori della tigre della Tasmania descritti in un

del

. La tigre della Tasmania è qualcosa a metà tra il Big Foot e il dodo: una creatura mitologica e un animale estinto. Ufficialmente la tigre della Tasmania si è estinta nel 1936, quando l’ultimo esemplare in cattività è morto nello zoo di Hobart dopo una notte particolarmente fredda passata all’addiaccio. Nonostante questo (o forse proprio per questo), negli anni si sono moltiplicati gli avvistamenti di questo animale, che ha sviluppato una sua mitologia tra i cercatori di creature fantastiche.

 

Ancora oggi decine di persone ogni anno si mettono in viaggio alla ricerca della tigre della Tasmania, anche se nessuno di questi avvistamenti sia stato mai confermato. Nell’epoca di internet, di Google Maps, in cui possiamo visitare (quasi) ogni angolo del mondo senza nemmeno alzarci dal divano, quella della ricerca della tigre della Tasmania sembra solo l’ennesima allucinazione collettiva, come quella per lo yeti o per il mostro di Lochness. Ma lo è davvero? Ad un certo punto, l’autore dell’articolo, Brooke Jarvis, si chiede: «Cos’è più assurdo? Inseguire quello che potrebbe essere un’allucinazione o presumere che il nostro pianeta non abbia più segreti?».

 

Così come Google Maps e internet ci hanno dato l’illusione di poter conoscere tutto, di avere un mondo senza segreti, allo stesso modo stiamo vivendo in un’epoca in cui la grandezza di un giocatore ci sembra misurabile. Basta pensare a come la principale rivalità sportiva di questi anni, quella tra Messi e Ronaldo, si giochi sul numero di gol, di Champions League, di Palloni d’Oro - o magari di assist, di triplette, di punizioni in una stagione, di Expected Goals... come se ci fosse un numero che possa

misurare il loro valore.

 

E viviamo anche in una realtà in cui FIFA è diventata talmente influente che dei veri giocatori si sentono in dovere di informare i propri fan di non essere d’accordo con i valori della propria card. In cui i commenti dei giocatori sui propri rating di FIFA sono praticamente l’unica finestra di autenticità su ciò che i giocatori pensano di se stessi e degli altri, almeno dentro al campo. Magari la sto facendo troppo grossa, ma quanto spesso capita che un giocatore professionista ribatta in modo così esplicito alle tematiche tecniche (non ai gossip, cioè) di un articolo di giornale, o a un libro che parli del suo stile di gioco o di quello di un suo colleghi? Sembrerebbe, anzi, che i videogiochi siano rimasti l’unico l’unico punto di contatto tra i giocatori d’élite e la realtà in cui viviamo tutti. E se fosse così, potremmo davvero contraddire la pretese di realismo di FIFA?

 




 

Raccontare il calcio con le

, così come lo leggete sull’Ultimo Uomo (anche quando usiamo a sostegno i numeri), o su altre riviste di approfondimento, cercando di raggiungere, di “catturare”, la verità dei giocatori, è la nostra personale ricerca della tigre della Tasmania. In una realtà ormai abituata a quantificare il talento, il più possibile precisa e netta, senza ombre e sfumature, in cui FIFA arriva ogni anno nelle case di milioni di persone, dove viene giocato per centinaia di ore, e in cui le discussioni sul fantacalcio (un altro gioco basato su valori numerici semplici, per quanto soggettivi) si mangiano il resto del discorso sportivo, gli allucinati che affrontano la foresta della Tasmania alla ricerca di un animale scomparso siamo sicuramente noi, che scriviamo centinaia e centinaia di parole su

.

 

 

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