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Carbone, champagne, Kopa
06 mar 2017
06 mar 2017
Ricordo di Raymond Kopa, uno dei più forti giocatori della storia del calcio, morto venerdì a 86 anni.
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Nell'autunno del 1958 il 26enne François Truffaut, critico cinematografico di bellissime speranze e ambizioni ancor più luminose, gira a Parigi I quattrocento colpi, una delle opere prime più folgoranti della storia del cinema. È la storia tormentata del piccolo e scapestrato Antoine Doinel, enfant sauvage che abbandona scuola, amici e parenti per scappare verso un futuro incertissimo che Truffaut, con un'inquadratura finale divenuta celeberrima, non chiarisce affatto.

Nelle stesse settimane Raymond Kopa, massimo esponente della nouvelle vague calcistica francese che ha meravigliato il mondo a Svezia 1958, varca il portone della redazione di France Football per ricevere il terzo Pallone d'Oro della storia, il primo consegnato a un giocatore francese. Oltre a elogiarne le qualità tecniche e tattiche, nella scheda di presentazione che compare sul numero della rivista il 16 dicembre 1958, Gabriel Hanot (l'inventore del premio) lo definisce «uno dei giocatori più lucidi e rilassati che si siano mai visti».

Carbone e champagne

Rispetto all'errabondo Antoine Doinel, l'infanzia di Raymond Kopa, nato Kopaszewski, è meno irrequieta ma ugualmente complicata. Nato da immigrati polacchi, entrambi discendenti da generazioni di minatori, il suo destino sembra segnato. Non a caso la famiglia Kopaszewski si è stabilita a Noeux-les-Mines, paesino nell'estremo Nord della Francia che ha come unica fonte di reddito l'estrazione del carbone. Raymond abita vicino allo stadio e leggenda vuole che qui compia da bambino il suo primo atto di resistenza, appropriandosi di un pallone finito sugli spalti durante una partitella tra soldati tedeschi. A scuola ci va il tempo sufficiente per farsi accorciare di due sillabe quel cognome che gli rimarrà addosso per sempre.

A 14 anni è già in miniera come rouleur, ovvero colui che spinge lungo le rotaie delle cave i carrelli carichi di carbone. Basta un attimo di distrazione per rischiare le penne, come testimonierà d'ora in avanti la sua mano sinistra, priva della prima falange dell'indice a causa di una frana che lo coglie di sorpresa a 600 metri di profondità. I problemi di salute di suo padre e suo fratello (moriranno entrambi di silicosi) sono un sinistro presagio di quel che potrebbe aspettarlo, ma per ora il calcio resta un semplice passatempo. «Il proprietario della miniera», ricorderà anni dopo, «era anche il presidente della squadra locale, il Noeux-les-Mines. Avrebbe potuto aiutarmi a trovare un lavoro migliore, ma non lo fece. Era un coglione». Sì, Raymond Kopa non aveva una particolare passione per i giri di parole.

Ma la palla fa il suo giro e di rado mente. Nel 1949 il giovane Kopa si presenta alle selezioni giovanili nazionali, organizzate dalla Federazione in verità come una specie di concorso canino: gare di calci d'angolo, punizioni, persino percorsi in slalom. Kopa arriva secondo e attira soltanto l'attenzione del modesto Angers, club di seconda categoria che come estrema strategia di seduzione gli offre un contratto semiprofessionistico e un impiego da elettricista. Ma qualsiasi cosa va bene pur di lavorare alla luce del sole, e inoltre ad Angers Raymond conosce anche la futura signora Kopa: si chiama Christiane Bourrigault, gioca a basket ed è la sorella del suo compagno di squadra Claude. Avranno due bambine, Sophie e Nadine, più il piccolo Denis, morto a soli 4 anni per un linfoma, con i Kopa che per anni resteranno all'oscuro della natura precisa della sua malattia.

In campo Kopa interpreta il ruolo di “nove e mezzo” molto prima che il concetto venga introdotto nel gergo calcistico da Platini. Di altezza modesta (1,69) anche per gli standard dell'epoca, segna con moderazione ma salta l'uomo con grande facilità, a volte anche abusando. Da dribblomane di talento viene notato dall'uomo che gli cambierà la vita: si chiama Albert Batteux ed è l'allenatore-guru del Reims, la squadra più forte e spettacolare di Francia. Reims è la città delle bollicine e la metafora, pur scontata, viene da sé: Kopa diventa il tassello mancante alla macchina da calcio-champagne di Batteux, che con lui vince la Coppa Latina del 1953 (3-0 in finale al Milan del Gre-No-Li con doppietta di Kopa) e soprattutto raggiunge, nel 1956, la prima finale della storia dei Coppa dei Campioni. Un cammino a cui Kopa non contribuisce neanche con un gol, ma con invenzioni e intensità da calcio contemporaneo al servizio del robusto centravanti Glovacki. Eliminati i danesi dell'Aarhus, gli ungheresi del Voros Lobogo e gli scozzesi dell'Hibernian con 15 gol fatti in 6 partite, l'ultimo ostacolo è ad altezza Everest: il Real Madrid, seppur in finale al Parco dei Principi di Parigi. Dopo 10 minuti il Reims è in vantaggio 2-0 e col senno di poi, probabilmente, il corso del calcio cambierebbe per sempre; ma al 90' il tabellone dice 4-3 per la “Casa Blanca”. La storia, scritta dai vincitori, tramanderà per sempre il mito del Grande e Imbattibile Real, nella realtà forse non così imbattibile, visto che in campionato era finito terzo a -10 dall'Athletic Bilbao...

I brevi highlights della prima finale di Coppa Campioni, quando era ancora lontano il concetto di telecamera dedicata. Men che meno per Kopa.

Real Kopa

Non è la prima volta che le sorti di Kopa si incrociano con quelle degli spagnoli. Nel 1955 si era meritato da un giornalista inglese l'appellativo di “Napoleone del football” per una prestazione da mattatore in un'amichevole Spagna-Francia a Madrid, vinta in rimonta dai “galletti” con un suo gol e un assist per Vincent. È perciò normale che il presidentissimo Santiago Bernabeu, sempre smanioso di stelle filanti come tanti altri suoi successori, pensi a lui per rimpolpare i “merengues” non così dominanti in campionato, mettendo sul piatto 52 milioni di franchi con cui il Reims è ben felice di rifare l'intero attacco. Kopa risponde discretamente: tre stagioni al Real e tre Coppe dei Campioni, componendo una prima linea di qualità oltraggiosa con Di Stefano, Gento e dal 1958 anche l'esule Ferenc Puskas.

Per abbracciare Madrid Kopa rifiuta un'offerta del Milan, pur consapevole che almeno all'inizio dovrà scendere a patti con i “mammasantissima” Gento e Di Stefano. Se il primo, l'ala sinistra più sinistra che ci sia, non gli crea grossi problemi tattici, la convivenza con la saeta rubia è l'argomento prediletto di decine di periodisti spagnoli anni Cinquanta. Per il quieto vivere Kopa accetta di indossare la numero 7 e traslocare sulla fascia destra, anche se col passare dei mesi sarà sempre più coinvolto al centro dell'attacco fino a diventare un modernissimo playmaker, col benestare di Di Stefano che nel frattempo si è accertato che parli lo stesso verbo calcistico di quella squadra straordinaria. In tre anni quel Real perde una sola partita in casa, contro l'Atletico Madrid, e la seguente sfuriata di Bernabeu è memorabile: «Il giorno dopo ci convocò in sede e ci disse che, se fosse successo di nuovo, ci avrebbe licenziati tutti».

Tre coppe dunque, due vinte contro un'avversaria italiana: la Fiorentina nel 1957 e il Milan, ai supplementari, nel 1958. Non solo Kopa segna gol importanti, per esempio in semifinale a Old Trafford contro il Manchester United di Busby, ma soprattutto dà prova di un carisma bravo a mettere in pratica anche fuori dal campo. Il suo mini-cognome compare su capi d'abbigliamento, scarpe, giocattoli, persino i succhi di frutta che tutta la Nazionale francese sorseggerà durante il Mondiale 1958, fino a finire su un cartellone pubblicitario durante la 24 ore di Le Mans del 1959.

Semifinale 1957 a Old Trafford tra Manchester United e Real Madrid, partita di ritorno. Kopa sblocca il risultato con un movimento da punta moderna, dettando il passaggio a Mateos e tagliando fuori il portiere Wood in disperata uscita (a 0:45).

Il gol simbolo di quel triennio leggendario lo segna proprio Kopa, in un derby di Coppa Campioni contro il Siviglia che si risolve in un massacro: 8-0 allo stadio Chamartin (non ancora Bernabeu) con poker di Di Stefano e doppietta di Raymond. Sul punteggio di 1-0 un pallone messo in mezzo da Gento viene lasciato sfilare prima da Rial e poi da Di Stefano, concludendo la sua corsa sul destro di Kopa che infila sul primo palo la frastornata difesa andalusa. Guardate voi, e valutate se oggi un simile gol non genererebbe decine di tweet e meme adoranti sull'apollinea bellezza del futbol moderno. Era il 1958.

El gol de los dos puentes.

Al mondiale del 1958 la Francia si è qualificata praticamente senza di lui, perché un regolamento interno suggerisce caldamente al ct Batteux di convocare solo gente che gioca in Francia. L'opinione pubblica vorrebbe andare in Svezia senza Kopa, ma il suo vecchio maestro non rinuncia tanto facilmente al suo unico giocatore di levatura internazionale. Nel meraviglioso Mondiale svedese in cui nasce il mito del Brasile e manca l'Italia dai troppi sudamericani naturalizzati, la stella più luminosa è proprio quella di un oriundo, Raymond Kopa, eletto alla fine miglior giocatore del torneo, davanti a Pelé, Vavà e Garrincha. Ancora una volta la specialità della casa non sono i gol (appena tre) ma gli assist a pioggia scodellati per il compagno di stanza Just Fontaine, che chiuderà la rassegna a quota 13, record tuttora imbattuto e imbattibile («Era un dribblomane, e avrebbe passato il pallone solo una volta ultimato il suo dribbling. E io ero sempre lì quando lo faceva»). C'è persino spazio per una piccola amarezza: che semifinale sarebbe stata, quella contro il Brasile, se sul punteggio di 1-1 il capitano Jonquet non si fosse fratturato il perone dopo uno scontro con Vavà, in un calcio che ancora non prevedeva le sostituzioni?

Ridotti in 10 senza il loro leader difensivo, la Francia perde 5-2, lo stesso punteggio con cui il Brasile regolerà in finale la Svezia. La batosta non mitiga la gioia per il travolgente 6-3 alla Germania Ovest che vale il terzo posto, 13 anni dopo la fine della guerra non è ancora un'avversaria qualunque per i francesi.

Con i 4 gol alla Germania, Fontaine superò il precedente record stabilito dall'ungherese Kocsis nel 1954 e si mise lassù ad aspettare che qualcuno si avvicinasse ai suoi 13 gol in 6 partite. Sta ancora aspettando.

Merci Raymond

A fine 1958, dunque, è perfettamente normale che Kopa venga nominato miglior giocatore europeo, precedendo il tedesco Rahn e l'amico Fontaine. Per la cronaca, in quello che è l'anno orribile della storia azzurra, solo due italiani vengono degnati di considerazione: gli juventini Bruno Nicolé (due voti) e Giampiero Boniperti (un voto). Arrivato in cima, è il momento di iniziare una luminosa discesa: Kopa rifiuta la proposta di Bernabeu, un lucroso prolungamento quinquennale del contratto, e torna a casa, in un Reims meno frizzantino di quello che era diventato la seconda squadra più forte del continente.

Conoscerà anche l'onta della retrocessione in Division 2, ma ancora peggio sarà l'epilogo con la maglia “bleu", a causa di un insanabile litigio con il nuovo ct Verriest. Per le qualificazioni al Mondiale 1962, straziato dalla malattia del figlio, chiede e ottiene di allenarsi da solo e di raggiungere la squadra solo alla vigilia dei match; Verriest prima accetta ma poi, dopo due risultati negativi, si rimangia la parola. La Francia resterà fuori dal Mondiale di Cile e Kopa e signora non glielo perdoneranno mai: «Ce l'avessi avuto davanti, l'avrei strozzato. Era un cafone, un mercante di vacche», commenterà nel 2016 la moglie Christiane, «aveva perso un figlio nella guerra d'Algeria, pensavamo avesse dei sentimenti». E poi ancora una fine carriera da sindacalista, pioniere della battaglia a favore dei contratti a tempo determinato. “Oggi, in pieno ventesimo secolo, il calciatore professionista è il solo uomo che può essere venduto e comprato senza che si domandi il suo parere», attacca in un'intervista che fa scandalo e gli procura sei mesi di squalifica con la condizionale, ma getta le basi per una crociata che i calciatori francesi vinceranno nel 1969 anche grazie a lui, con oltre un decennio di vantaggio sul calcio italiano che ci arriverà solamente nel 1981.

Raymond Kopaszewski è morto il 3 marzo a causa di un linfoma, proprio come suo figlio, lasciando ricordi e cordoglio unanimi nei suoi due Paesi d'adozione. Se i francesi amano scannarsi allegramente su chi sia stato il loro miglior regista di tutti i tempi (Truffaut? Renoir? Godard? Rohmer?), sui giocatori Kopa è riuscito nel miracolo di mettere tutti d'accordo con la sua popolarità e schiettezza. In tutti questi anni, nessuno si è mai sognato di discutere la triade Kopa-Platini-Zidane: sono loro – un polacco un italiano e un algerino – i tre migliori calciatori francesi di sempre.

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