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Nikhil Jha
La capriola che voleva rivoluzionare il salto in lungo
25 ago 2023
25 ago 2023
La storia di Tuariki Delamere, atleta neozelandese che provò a rivoluzionare la tecnica del salto in lungo.
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Nikhil Jha
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Il regolamento della World Athletics, alla sezione in salto in lungo, elenca una serie di circostanze in cui un tentativo è da considerarsi nullo.

Circostanza numero uno: il salto è nullo se l’atleta tocca il terreno in fase di rincorsa dopo l’asse di battuta.

Circostanza numero due: il salto è nullo se l’atleta stacca fuori dall’area di rincorsa.

Circostanza numero tre: il salto è nullo se l’atleta esegue una capriola.

Non ci sono molte storie belle che partono da un regolamento, ma forse almeno una sì: questa. A chi è venuto in mente di parlare di capriole? Che senso ha fare una capriola mentre provi a saltare il più lontano possibile?

Eppure, incredibilmente, un senso c’è, eccome. Chi studia per lavoro i principi fisici che regolano i gesti dello sport lo sa da sempre. Alcuni altri l’hanno scoperto verso la fine del maggio 1974, quando uno sconosciuto Maori e la sua capriola sono andati a tanto così da battere il campione olimpico, mentre per qualche mese si pensava che una rivoluzione nel salto in lungo fosse possibile.

Tuariki Delamere è sempre stato molto bravo a fare più o meno tutto. A 18 anni era già il miglior studente Maori della Nuova Zelanda, a 45 diventerà addirittura parlamentare – eletto al primo tentativo in uno dei collegi dedicati ai votanti non eurodiscendenti, e capace di cavalcare le frammentazioni politiche per arrivare fino alla nomina a Ministro dell’Immigrazione. Nel mezzo tra l’eccellenza scolastica e quella politica, però, Delamere è stato soprattutto capace di saltare molto bene e molto lungo, o almeno lungo abbastanza da meritarsi nel 1970 una borsa di studio alla Washington State University per meriti atletici.

Una volta negli Stati Uniti, però, le cose per Delamere cambiano, perché il livello è molto più alto che in patria. Nel 1972, alle finali della PAC-8, la conference a cui Washington State appartiene, Delamere arriva quarto con 7.59 metri, dopo la mancata qualificazione dell’anno precedente. A vincere con 8.13 è Randy Williams, non uno qualunque: tre mesi più tardi, alle Olimpiadi di Monaco di Baviera, con un salto da 8.24 Williams vincerà l’oro.

I miglioramenti di Delamere non riescono a stare al passo con quelli dei suoi avversari. Alle finali di PAC-8 del 1973 si issa a 7.62 (ma Williams, aiutato da vento, vola a 8.46), e nei giochi del Commonwealth dell’inverno successivo chiude nono a 7.31. Risultati per cui la gran parte di noi forse darebbe un mignolo del piede, ma che a livello professionistica non sembra presagire un futuro glorioso. In questi mesi di mediocrità d’élite, però, certe sirene cominciano ad affascinare Delamere. Sono sirene che cantano le lodi di una tecnica di salto mai vista, spaventosa, capace di mettere i suoi esecutori in chiara posizione di vantaggio biomeccanico rispetto agli avversari: saltare con la capriola.

Paradossalmente, per chi salta in lungo la lunghezza non è una delle preoccupazioni principali: a quello ci pensa la velocità di ingresso in pedana. Lo stesso Delamere racconta in questo breve documentario: «Tutti i saltatori in lungo, in realtà, saltano in alto e all’indietro». In alto, perché questo permette di atterrare il più tardi possibile. All’indietro, perché altrimenti finisci faccia a terra.

Anche se non la vediamo, c’è una componente rotatoria in ogni salto. In quella frazione di secondo che compone lo stacco, infatti, il piede che sta a terra agisce come il cardine di una porta: lui è fermo, mentre tutto quello che gli è attaccato (il corpo del saltatore, in questo caso) comincia a ruotargli attorno. Il salto in lungo conosce diverse tecniche alternative (il volo veleggiato, quello a raccolta, quello con passi in aria), ma lo scopo di tutte è respingere, pur se quasi inconsciamente, questa forza. La capriola, invece, abbraccia questa forza nascosta e la asseconda, riducendo l’attrito con l’aria e permettendo all’atleta di non perdere velocità al momento dello stacco. Come in quelle arti marziali in cui bisogna sfruttare la forza dell’avversario invece che frenarla, così la capriola promette di condurre i saltatori verso nuovi orizzonti. Sono in fondo passati meno di 5 anni da quando Dick Fosbury a Città del Messico ribaltò se stesso e la storia del salto in alto, passando sopra l’asticella con il naso all’insù. Perché anche il salto in lungo non può sognare la propria rivoluzione copernicana?

Proprio come successo al Fosbury, l’autentica paternità della tecnica è dibattuta e affonda nel mistero, con testimonianze supposte che risalgono fino al 1925. La sua utilità è chiara e riconosciuta sui libri dei teorici, ma l’applicazione dei principi non supera una pratica carbonara, che si ferma alle porte dei campi d’allenamento. Il problema, evidentemente, è uno solo: saltare senza sapere dove stai andando, se non sei preparato, fa una gran paura.

Dopo essere venuto a conoscenza della possibilità, Delamere si rivolge al proprio professore di biomeccanica, ed entrambi concordano sui benefici evidenti della nuova tecnica. È il momento di portare il salto con capriola al grande pubblico, e l’occasione sono le prossime finali della PAC-8, in programma a maggio 1974. L’avvicinamento non è indolore, nel vero senso della parola: la capriola ancora troppo corta continua farlo atterrare sulla schiena, rallentando gli allenamenti e impedendogli anche di camminare per un paio di giorni.

Ciononostante, alle sue quarte finali PAC-8, quelle del 1974, Delamere decide di provarci, dopo poche settimane di prove in gran segreto, con il solo aiuto del viceallenatore della squadra. Il primo tentativo è probabilmente il nullo che ha lasciato più sgomenti gli spettatori nella storia del salto in lungo. Anche OJ Simpson, ospite d’onore nella postazione telecronaca, è stupefatto: «Hai visto che roba?». Alla seconda, il punto di stacco è valido. Delamere si accartoccia su se stesso e comincia a roteare in aria, come un personaggio di certi videogiochi giapponesi, o come l’uomo-cannone Hugo Zacchini, secondo un articolo del New York Times dell’epoca.

Nonostante il buono stacco, la capriola però è ancora un po’ in ritardo, e il sedere cade nella sabbia insieme ai talloni. Il 7.79 che i giudici registrano vale una misura ampiamente oltre gli 8 metri – Delamere stesso dice 8.40 – appena ogni tassello andrà al suo posto. In ogni caso Delamere ha già superato il proprio personale personale di 13 centimetri. Tra l’altro, quel giorno, il solito Randy Williams non gira come al solito: piazza un 7.79 anche lui, solo al penultimo salto, vincendo i campionati (per la quarta volta consecutiva) soltanto per una miglior seconda misura. Delamere, dalla sua, mette insieme due nulli e nessun salto sotto i 7.33, una consistenza mai toccata in carriera.

Il giorno dopo le copertine sono per lo sconfitto. Il Los Angeles deve riproporre una fotosequenza del balzo, per raccontare l’evento alieno a un pubblico sprovvisto di YouTube, descrivendolo come «il salto che potrebbe dare il via a una rivoluzione nel salto in lungo». Lo stesso Randy Williams è interessato: «Gli darò una chance quest’estate. Chissà? Magari può essere l’inizio di una nuova carriera».

Insieme all’attenzione mediatica, arriva però anche quella del legislatore, spaventato dal potenziale pericolo della capriola. «Perché non agire allora su tutta la ginnastica? E non è vero che sia più pericoloso del salto con l’asta», si lamenta Delamere, che nel frattempo non riesce però a ripetere l’exploit nelle gare successive. C’entrano la difficoltà del gesto e una forma non brillante, ma pure la scarsa pratica: «Non mi piace saltare in allenamento. In gara l’adrenalina scorre e non ci pensi, ma saltare al buio in allenamento mi spaventa». Probabilmente non la miglior arringa difensiva da parte del nuovo Fosbury.

Ad ogni modo, la federazione internazionale ha già preso la propria decisione. Nel ’75 il salto con capriola viene bandito dalle competizioni come Mondiali e Olimpiadi, una decisione che per strade diverse verrà ironicamente riproposta l’anno successivo dalla federazione internazionale di pattinaggio sul ghiaccio, dopo l’esercizio brillante ma considerato troppo pericoloso dello statunitense Terry Kubica ai Giochi invernali di Innsbruck.

Così si infrangono i progetti di un nuovo Fosbury, sconfitto dalle regole e dal non essere riuscito a convincere il mondo della bontà della sua tecnica al mondo prima che fosse troppo tardi. Chissà, magari se Delamere con una capriola avesse vinto una medaglia d’oro alle Olimpiadi, come successo a Fosbury, magari il salto in lungo assomiglierebbe davvero a un uomo che viene sparato in aria da un cannone.

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