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Eric Cantona: niente da giustificare
26 mag 2018
26 mag 2018
Un estratto dal libro "Cantona" di Daniele Manusia, edito da add, sul celebre calcio del campione francese al tifoso che lo insultava dalla tribuna.
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Nel Dvd ufficiale del Manchester United dal titolo Eric The King, con coypright 1994, c’è un capitoletto dedicato alla questione dell’«enfant terrible». Per tutta la durata dell’intervista Eric sta seduto su uno sgabello dall’aria scomoda, inquadrato frontalmente con una luce un po’ sparata e un fondo scuro. Sembra più uomo. Forse per via dei capelli corti tenuti all’indietro dal gel (con le righe lasciate dai denti del pettine) o perché porta la giacca (marrone chiaro, con sotto un gilet nero, camicia azzurra e cravatta violetta). In generale fa l’effetto del contadino ripulito ma parla con un tono calmo e sicuro (in francese, doppiato, ma a Manchester per le conferenze aveva un interprete).

 

Eric dice: «Il perfezionismo non si insegna, è un bisogno». Si chiede: «Cos’è l’arte?», e si risponde: «L’arte è spontaneità».

 

Fa l’esempio dell’attore che cerca di recitare una battuta come un bambino, del pittore che cerca la libertà del gesto, dello scrittore che assolutamente non deve tornare su quello che ha scritto, come facevano i surrealisti con la scrittura automatica.

 

Il calcio è la più bella delle arti, unisce alla spontaneità l’efficacia. Alla bellezza di un gol la sua importanza, la sua necessità e «se non sei spontaneo non puoi avere successo».

 

Vediamo un’entrata a forbice da dietro su un giocatore del Norwich, Jeremy Goss (peggiore di quella fatta su Der Zakarian, con i tacchetti orientati verso l’interno del ginocchio di Goss, e l’espressione rabbiosa di Cantona nel replay è abbastanza significativa nonostante i pochi pixel a disposizione). Lui commenta: «Non posso avere la passione che ho, una specie di fuoco che chiede di uscire, senza che questo fuoco a volte faccia danni. E danneggi me stesso. Sono consapevole di farmi del male e di farne agli altri. Sono consapevole di deludere quelli che non capiscono che non posso essere quello che sono senza questo lato della medaglia».

 

Qui interviene la voce di Ferguson: «Gliel’ho detto: non entrare in tackle, perché non sai farlo e ti fai ammonire».

 

Ferguson, con la felpa grigia con le iniziali AF e un’aria più umana di quella che ha adesso (aveva appena conosciuto il vero successo), dice che probabilmente il suo comportamento non è migliore dopo la partita, quando riprende i suoi giocatori negli spogliatoi (lo chiamavano «l’Asciugacapelli» per come gridava in faccia ai calciatori e nel 2003 nella foga di una sconfitta calcerà uno scarpino in faccia a Beckham ferendogli un sopracciglio).

 

Una scenetta istruttiva: Ian Culverhouse, giocatore del Norwich, un tipo belloccio dall’aria delicata, gli si aggrappa alla maglia da dietro e cadono entrambi in terra. Culverhouse si alza rapidamente e si rimette a correre verso la palla come se niente fosse. Cantona invece si gira frontalmente verso di lui e senza scomporsi gli dà un calcio colpendolo in mezzo alle gambe e mandandolo di nuovo a terra. Subito dopo Cantona e Culverhouse litigano per la palla. Il giocatore del Norwich, in un modo anche divertente, gliela allontana tenendola sotto braccio, scuote la testa e solleva il dito indice come farebbe un padre per riprendere il proprio figlio. Eric la smette e l’arbitro non l’ammonisce neanche.

 

«Le persone che amano vincere hanno tutte questo carattere, no? Non gli piace perdere, e ognuno reagisce in modo diverso di fronte alla sconfitta», dice Ferguson.

 

Eric non è infastidito a parlare di queste cose. «Non devo giustificare niente, non ho nessun rimorso. Sono quel che sono e non posso cancellare i brutti gesti perché sono una parte di me. Il problema è che devo restare me stesso e contemporaneamente eliminare questa parte di me. È difficile. Ci ho provato in passato, ma poi mi sono perso, ho perso il mio gioco. E non devo perderlo. Devo trovare una soluzione e credo di averla trovata».

 

Pausa. Adesso Cantona non sta più facendo il video per i suoi tifosi. Sta succedendo qualcosa di diverso. Giurerei che è cambiata la luce nei suoi occhi, anche se è solo il riflesso delle luci dello studio. «E credo di averla trovata. Voi non lo sapete ma ho trovato una soluzione.» Ride e ripete: «L’ho trovata, l’ho trovata...» Guarda in terra verso sinistra mentre pensa, ma quando parla si rivolge a qualcuno dietro la telecamera, vuole persuadere quella persona di fronte a lui, il livello di sincerità è altissimo e così finisce per persuadere me.

 

«Ma non...», continua Cantona, «non devo provare a spiegarlo. Non devo spiegarlo e non è una cosa da sapere. Si dovrà constatare. Perché non posso spiegarlo.»

 



Ad agosto 1994 Eric prende altre tre giornate di squalifica per essere stato espulso durante un’amichevole contro i Rangers di Glasgow. Ferguson commenta: «Se sente che si sta compiendo un’ingiustizia deve dimostrare al mondo intero che lui la correggerà».

 

I difensori avversari lo prendono di mira. A metà settembre, Neil «Razor» Ruddock, centrale difensivo del Liverpool, si diverte ad abbassargli il colletto quando è di spalle. Eric gli entra da dietro e l’arbitro lo ammonisce. A fine partita aspetta Ruddock fuori dallo spogliatoio ma quello tarda apposta a uscire.

 

Lo United vince il secondo Charity Shield consecutivo, il terzo per Eric, ma in Champions League, durante la sua squalifica per i fatti di Istanbul, dopo quattro partite i punti sono solo cinque. A novembre il Barcellona (sempre allenato dal mito personale di Eric: Cruyff) passeggia sui suoi compagni, una sconfitta per 4-0 che mette in seria discussione il loro valore fuori dai confini nazionali.

 

Eric può giocare nella partita dopo, ma lo United perde a Göteborg contro l’IFK (che terminerà primo il girone) ed è praticamente eliminato. Rob Hughes sul «Times» si chiede: «È giunto il momento di dire

a Cantona?».

 

In campionato il Manchester United ha perso quattro partite e all’inizio del 1995 è secondo dietro al Newcastle. Il 25 gennaio 1995, in trasferta al Selhrust Park di Londra, Cantona si fa espellere per aver calciato Richard Shawn, un difensore del Cristal Palace, mentre correvano appaiati. Shawn lo aveva marcato troppo stretto? Il commentatore parla di «calcetto di frustrazione».

 

Dopo il fallo gli avversari lo spingono e gli puntano il dito contro, i compagni fanno da filtro. Gli arriva una pallonata da lontano, sul bassoventre, ma lui quasi non se ne accorge. Guarda sopra le teste dei giocatori che lo circondano. Quando vede il cartellino si mette le mani sui fianchi e fa pochi passi in tondo, incredulo, poi si avvia verso l’uscita. Si tira giù il colletto nero con il bordino giallo che era rimasto teso (chissà se c’era qualche trattamento speciale cui sottoporlo per renderlo resistente in quel modo), cammina scuotendo la testa. Si ferma a metà strada, sembra confuso ma non arrabbiato. Dietro di lui c’è Ferguson impassibile che guarda da un’altra parte. L’arbitro aspetta che il giocatore espulso esca dal terreno di gioco. Andy Cole gli si avvicina a pochi centimetri dalla faccia, forse lo sta insultando, ma l’arbitro sporge la testa di lato per controllare che Cantona esca. Ha ancora il braccio alzato.

 

Sembra tutto finito quando Cantona si avvicina minaccioso alla tribuna. Un membro dello staff dello United lo trattiene ma Eric si libera facilmente e si mette a correre verso gli spalti (l’uomo che ha provato a trattenerlo si chiamava Norman Davies e a partire da quel giorno venne soprannominato «Vaselina»). Cantona si stacca da terra con un gamba tesa e l’altra piegata a squadra. Con le braccia larghe sembra tenere un immaginario mantello di Batman. Atterra di fianco sui cartelloni pubblicitari McDonald’s, resta in bilico sul corrimano di metallo come una tartaruga girata sul carapace. L’impressione è che anche in quella posizione provi a dare un calcio con la destra, alla cieca, rischiando di prendere una signora con un cappotto chiaro e la bocca e gli occhi spalancati. Cade in piedi e in un istante è di fronte al suo avversario, un tizio biondo con un bomber nero, e almeno uno dei due tentativi di colpirlo con il diretto destro va a segno. Quando lo portano via, dalla tribuna gli tirano contro bicchieri di tè.

 

Il giorno seguente il capo della polizia si dice contento che non sia scoppiata una rivolta (è di un mese dopo la famosa battaglia tra i tifosi del Chelsea e quelli del Millwall, con la polizia a cavallo a separarli). Viene aperta un’inchiesta, due tifosi hanno denunciato sia lui sia Paul Ince, che a quanto pare è accorso in suo aiuto gridando allo stadio intero di farsi sotto.

 

I giornali scoprono subito che Matthew Simmons, il ventenne che si è preso il calcio in petto, ha simpatie fasciste e precedenti penali (aveva rapinato una pompa di benzina e picchiato l’inserviente, originario dello Sri Lanka, con una trave lunga un metro). Simmons vende la sua storia al «Sun» e si fa fotografare con la camicia aperta sullo sterno francamente rachitico. La sua versione dei fatti lo vede scender venti file di posti per andare al bagno e già che era a bordo campo proprio mentre Cantona passava ne ha approfittato per dirgli: «Vatti a fare una bella doccia». Dei testimoni però lo hanno sentito dire: «Vaffanculo-in-Francia-bastardo-francese-figlio-di-puttana».

 

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