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Cambiare il calcio inglese
11 set 2016
11 set 2016
Guardiola vince la prima sfida con Mourinho, ma quella con la Premier League è ancora lunga.
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L’ultima volta che Mourinho e Guardiola si erano incontrati, tre anni fa per la Supercoppa Europea, la situazione non era troppo diversa: lo “Special One” dal Real Madrid era tornato al Chelsea, mentre “Herr Pep” si era appena lanciato nell’avventura tedesca del Bayern Monaco dopo un anno sabbatico. Mou era nella sua comfort zone, la Premier; Pep in un ambiente totalmente nuovo, in un calcio diverso da quello spagnolo in cui il suo percorso da allenatore era iniziato.

In questo primo derby di Manchester della stagione, arrivato molto presto, la situazione era simile: Mourinho sguazza nella Premier come un bambino in una piscina, e lo United ha bisogno di rilanciarsi dopo i disastri di Van Gaal; Pep è in un club che viene da una ciclo negativo, in un campionato che non lascia il tempo per gestire i tempi né il pallone, in un paese che pensa di aver inventato il calcio e non vuole scendere da quel piedistallo.

La curiosità riguardava soprattutto lo stato della sfida tra i duellanti Mou e Pep: come sarebbero riprese le ostilità? Le conferenze pre-partita erano passate come una pioggerella nel centro di Manchester: entrambi gli allenatori sembravano preferire che a parlare fosse il campo. E alla fine del primo derby di Manchester, non solo abbiamo un vincitore, ma forse anche un cambio nei termini del duello.

Costruzione

Sin dalla lettura delle formazioni si capiva bene il tipo di approccio immaginato dagli allenatori. Nel 4-2-3-1 di Mourinho, i due esterni offensivi erano Lingard (a sinistra) e Mkhitaryan (a destra), con la solita, strana, coppia Pogba-Fellaini davanti alla difesa. Nel 4-3-3 solo teorico di Guardiola, fiducia a Iheanacho al posto dello squalificato Agüero; fuori Zabaleta a destra per far spazio a Sagna. Lo United puntava a una partita bloccata, con una squadra compatta; il City a dominare il gioco con il pallone, sfruttando ogni zolla di campo per creare superiorità posizionale.

Dopo pochi minuti di uno United intenso, il terreno dell’Old Trafford ha cominciato a inclinarsi verso la porta dei padroni di casa: con il testo sacro del gioco di posizione sottobraccio, il City di Guardiola ha iniziato a dominare la partita, quasi fino a escludere l’avversario.

Sono emersi da subito i problemi della formazione scelta da Mou: da un lato Lingard appariva addirittura impaurito, inutile in entrambe le fasi (solo 13 palloni toccati in 45 minuti); dall’altro, Mkhitaryan non riusciva a trovare la posizione giusta, schiacciato dalla catena di fascia Kolarov-Silva-Nolito. In generale era tutto il piano gara dello United a essere pieno di falle: l’idea era di lasciare il pallone all’avversario, creare densità in zona centrale e difendere con un blocco basso per ripartire con transizioni veloci.

Ma il 4-4-2 in fase difensiva non riusciva a ostacolare l’inizio azione avversario e a mantenere le linee compatte; in fase offensiva, ci si affidava solamente a effimere conduzioni palla al piede e transizioni offensive casuali.

Il quadrilatero di costruzione bassa del City, in costante superiorità numerica.

Fin dalle primissime battute è stato evidente come Guardiola avesse preparato meglio la partita, rispondendo all’avversario con alcune mosse specifiche in ogni porzione del campo, il cui obiettivo finale era sempre la superiorità posizionale.

L’inizio azione è stato progettato per poter funzionare perfettamente: per questo Bravo è stato mandato in campo nonostante avesse solo due giorni di allenamento. Il portiere cileno (ben 31 passaggi positivi, 6 più di Rooney) doveva garantire la superiorità numerica in fase di costruzione bassa, insieme ai due centrali Stones e Otamendi, e in aggiunta anche con l’abbassamento di Fernandinho. Si creava così un rombo di costruzione, come fosse una difesa a tre: solo che il vertice basso era il portiere. Lo United, che rispondeva con i soli Rooney e Ibrahimovic a schermare la zona centrale per spingere l’avversario sulle fasce, non riusciva a contendere il pallone all’avversario in una delle zone più delicate del campo.

Come già accaduto contro il West Ham, Guardiola ha accantonato i falsi terzini e usato l’arma delle conduzione dei difensori centrali per rompere la compattezza delle linee avversarie: sia Otamendi che Stones hanno avuto diverse occasioni di salire palla al piede fino quasi alla trequarti, per poi dettare il passaggio in profondità a un compagno. Nello United tutti erano preoccupati di mantenere le linee e nessuno si prendeva il rischio di salire sul difensore centrale: in questo modo il City tagliava a fette l’avversario, sfruttando benissimo gli spazi di mezzo.

L’incredibile facilità con cui il "Kaiser" Otamendi attraversa il campo e serve il movimento di De Bruyne.

Proprio la superiorità posizionale ha permesso di sfruttare splendidamente gli half-spaces: in fase offensiva, il City attaccava con la massima ampiezza possibile, con ben 5 giocatori, con Nolito e Sterling sulla linea laterale. In questo modo, uno tra Silva e De Bruyne (o tutti e due) riusciva sempre a farsi trovare tra le linee, con i difensori in rosso incerti su cosa fare.

Perfezione: le due ali sono larghissime, c’è un giocatore del City in ogni corridoio di passaggio, mentre Silva sta già attaccando lo spazio di mezzo, mettendo in crisi la difesa dello United.

Paradossalmente, il gol del vantaggio dei “Citizens” non è nato dall’armonia dell’orchestra che suona, ma da una situazione di gioco stile Atalanta di Colantuono: lancio lunghissimo (circa 60 metri) di Kolarov dalla fascia sinistra, spizzata di Iheanacho con Bailly che invece di anticiparlo si fa sovrastare; Blind è statico come una statua mentre De Bruyne attacca il pallone, lo supera, e segna da solo davanti a De Gea. Un’ingenuità quasi incredibile per un livello così alto.

Consolidamento

Dopo l’1-0 lo United è uscito dalla partita, ma il City ha avuto difficoltà nel concretizzare in termini di gol il suo dominio: in gran parte perché Iheanacho è un giocatore ancora confusionario nei movimenti e nelle decisioni (in una citazione di Mazzone, si è visto Guardiola a bordo campo mordere e agitare un pugno dopo un suo errore) e ha privato la squadra di un riferimento centrale. Ciò nonostante, è stato fondamentale nel primo gol ed ha segnato il secondo, quasi a porta vuota dopo il palo colpito da un De Bruyne semplicemente magnifico (ben 6 occasioni create su 13: da solo ha rappresentato quasi il 50% della produzione offensiva del City).

La capacità degli uomini di Guardiola di occupare perfettamente tutti i corridoi di gioco rendeva semplice la riconquista del pallone, con addirittura un Silva mostruoso in questo dettaglio (12 palloni recuperati, il migliore della partita). La posizione di Fernandinho è fondamentale in questa struttura: oltre a cercare costantemente l’anticipo, si muove liberamente buttandosi sui palloni contesi, aggiungendosi alla linea dei 4 centrocampisti. In aggiunta, i difensori centrali hanno tenuto la linea sempre molto alta, anticipando spesso le ricezioni del duo Ibra-Rooney, entrambi troppo statici: Otamendi è stato il migliore, con ben 6 anticipi (e 5 contrasti vinti).

In tutto questo, ovviamente, il City era aiutato da una serie di difetti strutturali dello United: in particolare, i due centrocampisti centrali non riuscivano né ad aiutare la costruzione bassa, né a chiudere lo spazio tra le linee. Sia Fellaini che Pogba hanno una naturale tendenza a perdere l’uomo, e la festa mobile di De Bruyne e Silva ha raggiunto momenti quasi irrisori per l’avversario. Pogba (addirittura 17 palle perse) in particolare, sembra ripiombato nell’equivoco in cui lo aveva lasciato Deschamps agli Europei: la posizione di pivote è davvero la più adatta per lui?

Le linee del 4-4-2 difensivo dei Red Devils non si muovono in modo armonico: c’è troppo spazio tra le linee, e confusione totale tra Rooney e Fellaini, che da fermi si accavallano mentre Silva di nuovo attacca l’half-space.

Le difficoltà dello United erano aumentate anche dal blocco basso: una volta riconquistato il pallone, c’era troppo campo da percorrere (lunghezza media dei padroni di casa pari a 45 metri, addirittura 11 metri in più degli avversari), con Ibra e Rooney non più fisicamente in grado di condurre transizioni veloci.

Il capitano dei “Red Devils” ha fornito una nuova prestazione scialba (23 palle perse, il peggiore) e alimentato l’idea che ci sia un equivoco in atto sulla sua posizione.

Ma siete matti a lasciare De Bruyne da solo tra le linee? La tranquillità con cui Pogba e Fellaini osservano la situazione è da partitella in allenamento.

Proprio quando il colpo sembrava definitivo, i “Citizens” hanno pensato bene di rimettere in partita gli avversari, a tre minuti dalla fine del primo tempo: su un calcio di punizione dalla trequarti di Rooney, neppure pericoloso, Bravo ha deciso di uscire ben oltre l’area piccola, andando a scontrarsi con Stones, che forse non aveva sentito la chiamata. La palla è arrivata così a Ibra, che da fermo con un perfetto colpo di taekwondo è riuscito a colpire il pallone a mezz’altezza infilandolo nell’unico spazio possibile.

Calcio inglese

In quel momento è iniziato davvero il percorso di Guardiola in Premier: l’inerzia della partita si è stravolta, i ritmi si sono alzati, il pallone non era più il dominus della partita. In pochi minuti lo United ha creato più occasioni che nei primi 40, arrivando vicinissimo al pareggio, di nuovo per un pasticcio di Bravo in uscita (che già prima del gol di Ibra aveva rischiato in altre occasioni).

Nella prestazione del primo tempo, la squadra di Mourinho ha mostrato di avere difficoltà in tutte le zone del campo. In particolare, gli errori del quadrilatero difensivo centrale (i due difensori, i due centrocampisti) sono stati determinanti: sia in fase difensiva, non riuscendo mai a mantenere la squadra compatta e a chiudere gli spazi, sia in fase di costruzione, con la necessità di ricorrere spesso ai lanci in verticale. Inoltre, il passaggio dalla marcatura a uomo di Van Gaal all’idea delle tre linee che si muovono compatte e accorciano nella zona del pallone non è indolore. Ad esempio, Fellaini sembra spesso alla ricerca dell’uomo come punto di riferimento, creando vuoti alle sue spalle.

Alla fine di un primo tempo disastroso, però, quasi per miracolo, lo United era ancora vivo: psicologicamente quasi una vittoria in quel momento.

Le due linee dello United, più vicine, si spostano compatte per accorciare nella zona della palla, costringendo Sterling a tornare indietro: ogni tanto gli è riuscito.

Mourinho ha apprezzato il regalo del City e fatto ammenda dei suoi errori: sono rimasti negli spogliatoi Lingard e Mkhitaryan, per far posto a Herrera e Rashford. Lo United è così passato a un più adatto 4-3-3, con Herrera perno centrale, mentre Pogba e Fellaini mezzali erano più liberi di spingersi in avanti. La pressione è aumentata sull’inizio azione del City e Guardiola ha capito subito che rischiava di perdere la superiorità numerica in zona centrale: dopo pochi minuti fuori Iheanacho e dentro Fernando, con De Bruyne falso nove.

La partita, però, era inevitabilmente cambiata: il ritmo più alto impediva al City di costruire con linearità l’azione, mentre agevolava la strepitosa fisicità dello United. Nel gioco del battere e levare, e cioè delle azioni continue e dei ribaltamenti, gli uomini di Mourinho erano molto più a loro agio, anche grazie alla velocità di Rashford che rendeva finalmente dinamico il gioco offensivo.

Lo spostamento di Rooney sulla destra liberava la zona centrale per gli inserimenti delle mezzali, che si sono letteralmente trasformate: molto presenti nella pressione iniziale, nel ricevere tra le linee e nello schermare i corridoi di passaggio.

Nel secondo tempo lo United aumenta la pressione sull’inizio azione, con Pogba mezzala ormai libero di salire: Bravo è costretto al lancio lungo.

In breve, l’arma tattica più usata da Mou è diventata il lancio lungo (a fine partita ben 62: ogni 10 palloni toccati dallo United, uno era un lancio) per le sponde di Ibra e Fellaini, ritornato così nel suo ruolo di torre. Il City era in difficoltà sia per il gap fisico che per la scarsa capacità di condurre transizioni offensive.

Vista la scarsa vena di Sterling, Guardiola ha inserito Sané, al rientro dall’infortunio. Il tedesco appena entrato sembrava però a mala pena in grado di scendere in campo, talmente bloccato nei movimenti e negli scatti da non sembrare se stesso: e così tutto il peso dell’attacco è ricaduto su KDB e Silva, che pure stavano per costruire il gol del definitivo 3-1 (di nuovo, palo di De Bruyne).

Non è bello da vedere, ma Fellaini resta un’arma indifendibile in queste situazioni.

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Stranamente, una partita che prometteva un secondo tempo strabiliante si è conclusa invece con il risultato del primo: lo United non è riuscito a spostare il punteggio con la forza dei suoi centimetri, contro un City che ha comunque avuto difficoltà a riprendere in mano la partita.

Ancora un esempio dell’unico ruolo che, dai tempi dell’Everton, sembra ormai congeniale a Fellaini: tra le linee a raccogliere un lancio lungo. In questo modo lo United riesce ad attaccare in ampiezza e andare addirittura a un 4 vs 4.

To be continued…

La formazione dello United nel primo tempo ha evidenziato i grandi dubbi sulle posizioni di alcuni giocatori: è davvero Rooney il più indiziato nel ruolo di mezzapunta dietro a Ibra? Con il suo solito carico di passaggi orizzontali, non riesce a gestire al meglio la verticalità necessaria al gioco di Mou, e neppure ha la velocità per le transizioni offensive.

In quella posizione Mkhitaryan (fuori posizione e spento ieri sulla destra) potrebbe essere molto più indicato, sia nell’attaccare gli spazi che nel compensare lo scarso dinamismo di Ibra, che è stato nettamente il più pericoloso, ma facilmente anticipabile, dovendo ricevere quasi sempre da fermo.

Su questo e molto altro, Mourinho dovrà lavorare ancora parecchio: lo United, però, non esce dal derby davvero ridimensionato. Questa squadra sembra essere stata costruita per essere la migliore del torneo: con Pogba, Fellaini e Ibra si possono sprigionare momenti di puro assalto rugbistico, ed è un fattore che può fare la differenza in Premier: c’è solo un Manchester City in campionato, mentre molte altre squadre giocheranno proprio sul terreno dell’intensità e della fisicità.

Come il Leicester nella passata stagione, il nuovo United di Mou si adatta perfettamente alle linee di gioco standard del calcio britannico: vedremo se basterà per arrivare fino in vetta.

Pep su un’altra dimensione

Il derby di Manchester è la vera e propria presentazione di Guardiola in Premier League: come la dichiarazione della natura umana dell’imperatore giapponese Hiroito lasciò sgomenti i giapponesi, così l’illustrazione del juego de posición deve aver scosso il pubblico inglese.

Talmente forte è stato l’impatto, così appaganti quei 40 minuti di dominio, che adesso il duello potrebbe andare ben oltre Mourinho. Il portoghese è stato ancora una volta sovrastato da un punto di vista tattico dallo spagnolo (Mou ha vinto solo 3 volte contro Guardiola, su 17 partite: oggettivamente troppo poco) e la sfida di Guardiola sembra ormai su un’altra dimensione rispetto a quella dello scontro individuale (anche perché, stavolta, non sono soli a contendersi la leadership): quasi come un missionario che vuole dimostrare la bontà del proprio credo calcistico a tutta l’Europa.

La Premier sarà un campionato molto duro da conquistare, e il secondo tempo ha già messo in mostra quali saranno i problemi del City nel sopportare i ritmi ossessivi e la fisicità degli avversari. Guardiola non ha inventato il calcio ma sta contribuendo a cambiarlo profondamente: dopo solo due mesi di lavoro, una squadra imbarazzante dal punto di vista tattico è stata trasformata in un’orchestra sinfonica (solo tre giocatori nuovi in campo: Stones, Bravo e Nolito).

La faccia affranta di Sir Alex Ferguson a fine partita è un’ottima rappresentazione di quello che sta per succedere: il vecchio grande calcio britannico sta per essere messo alla durissima prova dell’avanguardia calcistica.

Ringraziamo per i dati Opta (che potete anche seguire su Facebook e Twitter).

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