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Foto di Julian Finney/Getty Images
Calcio Dario Saltari 12 maggio 2016 5'

Cambiare casa dopo 112 anni

Il West Ham abbandona Upton Park contraddicendo la nostra idea sul modello inglese.

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E così, il West Ham ha giocato la sua ultima partita al Boleyn Ground, per tutti Upton Park, quello che è stato il suo stadio negli ultimi 112 anni. Il club londinese ha presentato l’operazione come un addio doloroso ma necessario, come parte del progresso che mira a un luminoso orizzonte della vittoria. Perché our greatest journey yet awaits; cioè: la nostra avventura più grande deve ancora cominciare, come si legge all’inizio del video promozionale del club inglese.

 

 

Era inevitabile venir inondati dalla nostalgia delle secolari tradizioni britanniche, perché non c’è nessuno più bravo a farti pesare la propria storia dei club inglesi.

 

La maestosa cerimonia d’addio ha riportato le vecchie glorie in campo a salutare tifosi in lacrime, mentre fiamme e fuochi d’artificio si innalzavano verso il cielo.

 

 

Le agenzie di stampa hanno pubblicato foto bellissime di tifosi immalinconiti, simili a bambini alle prese con il primo trasloco.

 

Embed from Getty Images

 

E i social sono stati invasi da foto storiche del Boleyn Ground, come quelle di Bobby Moore che si allena nello stadio deserto.

 

West Ham United & England captain Bobby Moore training at Upton Park 1965 pic.twitter.com/rTIzFLLVmj

— VintageFooty (@VintageFooty) 10 maggio 2016

 

O quelle dei soldati inglesi che guardano un’ultima partita, prima che esploda la Seconda Guerra Mondiale.

 

Soldiers watch the last game at Upton Park before the outbreak of World War II stops all league football in 1939 pic.twitter.com/p79vxmqsPv

— VintageFooty (@VintageFooty) 10 maggio 2016

 

E per quanto, in effetti, tutto questo sia davvero commovente, le emozioni hanno finito con il mettere in secondo piano i progetti della dirigenza del West Ham, l’operazione commerciale che stanno portando avanti.

 

 

Guardare avanti

 

Dalla prossima stagione il club londinese si trasferirà nel Queen Elizabeth Olympic Park, cioè lo Stadio Olimpico di Londra, e Upton Park verrà distrutto per far posto a palazzine e centri commerciali. L’unica testimonianza della storia del West Ham che rimarrà, sarà un piccolo giardino con una statua di Bobby Moore che forse il Galliard Group, il gruppo immobiliare a cui è stato venduto Upton Park, dovrebbe costruire.

 

Lo Stadio Olimpico, che ha una capienza quasi doppia rispetto ad Upton Park (60mila contro 35mila posti a sedere), è stato costruito tra il 2008 e il 2012 per ospitare le Olimpiadi di Londra e, per questo motivo, è stato finanziato esclusivamente con fondi pubblici: 429 milioni di sterline totali. Ai quali bisogna aggiungere altri 272 milioni di sterline necessari per la riconversione totale dello stadio ad usi calcistici, iniziata nel 2013 dopo la vittoria del West Ham del bando per l’assegnazione dell’impianto.

 

Di questi 272 milioni, il club inglese ne ha pagati 15, cioè appena il 5,5% del totale. Il restante è stato pagato dal Consiglio di Newham, il quartiere dove sorge lo stadio, e dal governo britannico.

 

A questo punto la domanda diventa: siamo di fronte alla negazione totale di quello che dovrebbe essere il “modello inglese”? Il West Ham ha infatti venduto il suo storico stadio di proprietà per affittare un impianto pubblico, come fa la stragrande maggioranza delle squadre italiane. La motivazione risiede ovviamente nelle cifre che abbiamo appena detto, a cui va aggiunto solo un affitto particolarmente basso (2,5 milioni di sterline a stagione) più alcuni bonus eventuali ancor più marginali (100mila sterline se il West Ham finisce nella metà alta della classifica, un milione se vince la Champions League). Il club londinese non dovrà pagare praticamente altro, nemmeno gli steward o i costi di manutenzione, come si evince dal documento pubblicato ad ottobre 2015 dalla società pubblica che gestisce lo stadio, ottenuto grazie alla pressione di diverse organizzazioni di tifosi di squadre rivali, come l’Arsenal e il Chelsea.

 

L’avere un proprio impianto in maniera quasi del tutto gratuita ha permesso al West Ham di aumentare esponenzialmente i ricavi da stadio senza fare alcuno sforzo (era uno dei talloni d’Achille del club, che fino ad oggi otteneva il 65% dei propri ricavi dai diritti TV). I 52mila biglietti previsti dalla nuova campagna abbonamenti sono andati esauriti quasi subito, facendo diventare il West Ham secondo in Premier League per abbonamenti venduti dietro solo al Manchester United.

 

Questo è stato possibile non solo grazie alla passione dei tifosi hammers (tra i più appassionati, appunto, d’Inghilterra e persino all’estero) o all’eccitazione per il nuovo stadio, ma anche perché il club londinese si è potuto permettere di vendere i tagliandi a prezzi incredibilmente bassi per gli standard della Premier League. Un abbonamento alle gare casalinghe del West Ham per la prossima stagione costa intorno alle 300 sterline: meno della metà (a volte meno di un terzo) di quanto costano gli abbonamenti delle altre squadre inglesi.

 

A questo punto, passare dalla prospettiva progressivo-ottimistica della dirigenza del West Ham a quella complottistico-pessimistica degli hater del calcio moderno sarebbe estremamente facile, ma entrambi i punti di vista sono sostanzialmente distorti. Le dinamiche commerciali che portano alla nascita e alla morte degli stadi, infatti, non sono assolutamente nuove nella storia del calcio inglese. E nemmeno lo stesso Upton Park ne è stato estraneo.

 

 

Guardare indietro

 

Il Boleyn Ground non è il primo stadio del West Ham: venne costruito nel 1904 perché il precedente impianto, il Memorial Grounds, voluto dal fondatore della squadra, Arnold Hills, imponeva al club un affitto troppo alto. Anche allora i dirigenti del West Ham ebbero bisogno dell’aiuto della politica britannica per ottenere il nuovo stadio: solo grazie all’intercessione del deputato conservatore Sir Ernest Gray, le autorità del riformatorio cattolico di Boleyn Castle si convinsero a vendere l’appezzamento di terreno su cui venne costruito l’Upton Park, fino a quel momento usato per coltivare patate e cavoli.

 

Embed from Getty Images

 

Nulla di romantico nella fondazione dell’Upton Park, insomma. Alla base della sua costruzione c’è lo stesso intreccio di interessi commerciali e convenienze politiche che ha portato all’assegnazione dello Stadio Olimpico di Londra al West Ham, che ha battuto la concorrenza di Tottenham e Leyton Orient nonostante i velenosi strascichi giudiziari.

 

A rendere mitologico il Boleyn Ground sono stati più che altro i momenti vissuti dalla squadra e dai tifosi nei suoi 112 anni di storia.

 

Come la doppia tripletta (o se preferite “i sei gol”, ma suona meno epico) che Geoff Hurst inflisse al Sunderland nel 1968, nell’8-0 che vide protagonisti anche altri due calciatori dell’Inghilterra che alzò la Coppa del Mondo nel 1966: Bobby Moore e Martin Peters.

 

 

Oppure il 3-1 sull’Eintracht di Francoforte nella semifinale di ritorno di Coppa delle Coppe del 1976, con una doppietta di Trevor Brooking che sembra pattinare sul fango melmoso che ricopre il prato del Boleyn.

 

 

O ancora, il gol segnato da Paolo di Canio al Wimbledon nel marzo del 2000 in Premier League: una bicicletta volante ad anticipare il cross, una soluzione difficile anche solo da pensare. Il goal più bello  visto ad Upton Park secondo l’opinione degli stessi tifosi del West Ham.

 

 

Ma forse varrà la pena ricordare anche le punizioni segnate quest’anno da Dimitri Payet, con traiettorie così pulite e geometriche che sembra ci sia un binario invisibile che collega il punto di battuta all’incrocio dei pali della porta avversaria.

 

 

Non possiamo ancora sapere se lo Stadio Olimpico sarà in grado di creare un’atmosfera altrettanto unica, e ricordi altrettanto speciali. Per il momento hanno tutti ragione: la dirigenza del West Ham con la speranza che the greatest journey yet awaits, e i tifosi in lacrime per cui “il meglio” sarà demolito a breve.

 

 

Tags : dimitri payetpremier leaguestadiupton parkwest ham

Dario Saltari nasce a Frascati nel 1989. Laureato in Relazioni Internazionali, scrive storie di finzione su eventi realmente accaduti per passione e storie vere su eventi di finzione per lavoro.

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