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Andrea Braschayko
Il calcio che va avanti, in Ucraina
26 set 2022
26 set 2022
Cosa sta succedendo nel campionato ucraino, con la guerra in corso.
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Andrea Braschayko
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PressFocus/MB Media/Getty Images
(foto) PressFocus/MB Media/Getty Images
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L’ultima settimana di febbraio segna l’uscita del campionato ucraino dal suo letargo. Durante questo periodo terra, neve sciolta e qualche asimmetrico rimasuglio d’erba sono il biglietto da visita degli stadi, con l’eccezione del sempreverde manto dell’Olimpico di Kiev.

Nel febbraio di quest’anno, però, c’è un’aria diversa. L’invasione russa sembra imminente, ma la Premier Liha ucraina è decisa a ritornare ai fasti di un passato precedente alla guerra del Donbass. Lo Shakhtar di De Zerbi ha appena acquistato David Neres dall’Ajax. Quasi ottantenne, Mircea Lucescu è passato ai rivali della Dinamo Kiev e ha vinto il titolo. Il Dnipro, a sette anni dalla finale di Europa League, è rinato dopo la bancarotta e, nel frattempo, ha storpiato il proprio nome in quello dell’omonimo battaglione dell’esercito pescando un logo da un programma di grafica open source. Sia il battaglione che la squadra godono delle sponsorizzazioni dell’oligarca Kolomoiskyi, che si dice abbia forti legami con il presidente Zelensky.

Il nuovo scudetto del Dnipro-1 ricorda quei concitati momenti di agosto in cui non hai voglia di perdere tempo con il logo della tua squadra al Fantacalcio, per poi sopperire caricando una foto da Google. A destra, quello del Dnipro “originale”, disegnato in epoca sovietica con l’ausilio di due palloni simili al Telstar.

A Kharkiv il Metalist domina la seconda divisione ed è pronto al ritorno. In pochi mesi ha tesserato una delle migliori punte del Brasileirão, Matheus Peixoto, l’ex stellina francese Bahlouli, oltre a vari ex nazionali di Colombia, Argentina, Ecuador e persino un inglese, Kadeem Harris, con militanza in Premier League.

Il suo padre padrone è Oleksandr Yaroslavskyi, grande amico di Roman Abramovich e al secondo giro da proprietario del club. I suoi proclami di «finale Champions in cinque anni» si schiantano come il suo fuoristrada – un Mercedes nero dai vetri oscurati che ricorda quello dei rapper ceceni che investe un uomo nella notte del 10 febbraio. Nella fuga, Yaroslavskyi non sa di aver perso la targa sul luogo dell’impatto, e cercherà poi di depistare le indagini: prima pagando un uomo della sua scorta per costituirsi, poi corrompendo l’ufficiale della polizia di Kharkiv, subito scoperto e licenziato. Ma già la mattina successiva all’omicidio, Yaroslavskyi si trova sul proprio jet privato «per un impegno dell’ultimo momento» a Londra, da cui non ritornerà. Il futuro dell’ex squadra del Papu Gomez ripiomba nell’incertezza e sembra solo questa l’unica nota stonata per il calcio ucraino, al giro di boa di un inverno surreale.

Un ritorno alla normalità forzato? Passano esattamente sei mesi dal 23 febbraio, ultimo giorno in cui giocare a calcio in Ucraina sembra realistico. Il 23 agosto all’Olimpiyskyi, l’attaccante dello Shakhtar, Danylo Sikan, ha gli occhi lucidi mentre il calcio di inizio viene battuto da Jaroslav Holik, sopravvissuto all’assedio degli 80 giorni nella fabbrica Azovstal di Mariupol, città nella quale Sikan ha più volte giocato in prestito.

È la partita inaugurale del campionato ucraino, la prima dal novembre del 2021. Lo stadio è vuoto: lo saranno tutti per l’intero campionato. La metà delle sedici squadre della Premier Liha giocherà le partite lontano dalla propria città. I big club avrebbero voluto giocare in Polonia, ma Zelensky non ha fatto eccezioni: nessun uomo in età di leva può lasciare il paese, dunque neanche i calciatori, se non con permessi speciali rilasciati dal governo per le competizioni europee ed internazionali.

Nel frattempo la parte più rumorosa ed estremista del tifo organizzato è arruolata al fronte. Il reggimento Azov nasce proprio dai movimenti ultras. Il più noto dei resistenti di Azovstal si chiama Denis Prokopenko. Appena liberato dai russi dopo mesi di prigionia, prima era un habitué della curva di estrema destra della Dinamo Kiev. Il fondatore e ideologo di Azov, Andriy Biletskiy, era un suprematista bianco già nel Sect 82, gruppo ultras del Metalist. Nel momento della resistenza all’occupazione russa, però, le differenze ideologiche a volte finiscono per appianarsi: oltre ad alcuni neo-nazisti di Azov contro i russi combattono anche i gruppi anarchici e antifascisti dell’Arsenal Kiev.

Quel che succede in campo, comunque, in quel momento conta relativamente poco, e sarà forse per questo che la partita finisce a reti inviolate. Il nuovo Shakhtar, quasi integralmente ucraino, di Igor Jovicevic, tecnico croato “scippato” al Dnipro-1, non riesce a sfondare il muro del modesto Metalist. Ma non è lo stesso di cui Yaroslavskyi è proprietario.

Nella Premier Liha 2022/23 coesistono sia il Metalist 1925, nato 91 anni dopo la data incisa nel suo nome, sia il Metalist “originale” che, col ritorno dell’oligarca, ha tentato di eliminare i plagiatori per poi venire risucchiato dal corso degli eventi. Dopo la sua fuga il club è diventato una succursale di fatto degli storici rivali del Dnipro-1: l’allenatore e i migliori calciatori sono andati a Dnipro, lasciando al Metalist qualche spicciolo per sopravvivere. Un’umiliazione difficile da digerire in una Kharkiv già martoriata dalla guerra. Il presidente è l’ennesimo uomo della sicurezza di Yaroslavskyi, mentre il direttore sportivo Krasnikov è indagato dalla lega: si sospetta che lavori sia per il Dnipro-1 che per il Metalist.

Non potendo entrare allo stadio, cinque anziani sostenitori dell'Inhulets assistono amareggiati, e mimetizzati, alla sconfitta della loro squadra nel derby dei "selo", cioè i villaggi di campagna dell’ex-URSS. Le due frazioni di Petrove e Minaj contano rispettivamente 7.000 e 3.000 abitanti, comunque varie volte più dei residenti di Kovalivka, sede del Kolos capolista insieme allo Shakhtar.

Realtà nuova, vecchi abusi di potere Ventiquattro ore dopo la partita inaugurale, il vecchio Metalist affronta il Rukh, altra squadra sorta nel nuovo millennio, il cui grafico ha saputo plagiare loghi ben riusciti, creando una commistione fra quello del Milan e i colori del Borussia Dortmund. La partita si gioca a Leopoli nel giorno dell’Indipendenza, ed è interrotta per tre volte dal suono delle antiaeree. Tutti i presenti allo stadio si rifugiano nei bunker ma con loro non c’è l’istrionico presidente dei padroni di casa Kozlovskyi. Afferma di avere una sua cupola personale, metaforica e all’aria aperta, contro le bombe russe.

Non è l’unico episodio curioso della giornata: entrambe le squadre sono, insieme a Zorya, Dinamo Kiev e Dnipro-1, parte del gruppo di club che non accetta l’esito dell’asta sui diritti televisivi della lega, vinta regolarmente qualche settimana prima dal broadcaster irlandese Setanta Sports. Sono aizzati dal presidente della Dinamo, Ihor Surkis, definito capo del battaglione Montecarlo, dove pare abbia dilapidato buona parte dei premi UEFA delle ultime Champions League nei casinò del Principato. I cinque club vogliono trasmettere le proprie gare casalinghe sui canali della 1+1 Media Group dell’oligarca Kolomoiskyi, capostipite del “clan di Dnipro", di cui fanno parte gli stessi fratelli Surkis. L’altro Surkis, Hrihoriy, era il predecessore di Ihor alla Dinamo, ed è poi stato presidente della Federcalcio e vicepresidente della UEFA.

Presidente anche del Parlamento Ebraico Europeo, Ihor Kolomoiskyi possiede tre passaporti: ucraino, israeliano e cipriota nonostante in Ucraina sia vietata la doppia cittadinanza. Alle domande dei giornalisti, ha risposto che “la costituzione proibisce la doppia cittadinanza, ma non la tripla” (foto diDmytro Smolyenko/ Ukrinform/Future Publishing via Getty Images).

Ai cameramen di Setanta Sports viene vietato l’ingresso allo stadio. Il calcio ucraino si arricchisce di un nuovo scandalo, la cui escalation è l’intromissione prima del Tribunale di Kiev, che impedisce alla Premier Liha di comminare sanzioni ai club “ribelli”, e poi del Parlamento, che approva una legge che annulla la precedente asta. Insomma, nemmeno l’unità dettata dall’invasione russa riesce a impedire agli oligarchi di portare avanti le proprie guerre di potere. Se Kolomoiskyi gode ancora di un viscerale legame coi centri decisionali dell’Ucraina, Rinat Akhmetov, presidente dello Shakhtar e proprietario di Futbol (precedente broadcaster), ha perso potere e ceduto allo Stato le proprie televisioni.

L’oligarca di origine tatare è stato il principale sponsor del “clan del Donbass” di cui faceva parte l’ex presidente filorusso Yanukovich. Sono forti i sospetti per cui abbia visto di buon occhio l’ascesa dei separatisti nelle province di Donetsk e Lugansk, dove negli anni ‘90 svolse un ruolo di primo piano nella privatizzazione selvaggia delle risorse industriali della regione, fra cui l’Azovstal. Secondo alcune inchieste (tra cui una di Figaro) con minacce, estorsioni e omicidi (inchieste poi sempre corrette o ritirate su pressioni degli avvocati dell'oligarca).

Nel 2015, il procuratore generale ucraino lo interrogò per sei ore riguardo ai suoi rapporti con la Russia, senza trovare risposte. Anche Zelensky, pochi mesi prima dell’invasione, lo accusò di pianificare un colpo di Stato insieme ai russi. Dopo il 24 febbraio, tuttavia, Akhmetov ha cambiato retorica accusando apertamente Putin e facendo causa alla Russia per 20 miliardi di dollari di danni alle sue acciaierie di Mariupol.

Akhmetov ha imparato dagli errori del suo maestro Akhtar Bragin, conosciuto come Alik il Greco. Negli anni ‘90 era l’autorità criminale più potente di Donetsk e protettore del giovane Rinat, nonché precedente proprietario dello Shakhtar. Poco propenso a raggiungere accordi coi primi nemici, nel 1995 venne fatto saltare in aria con 12 chilogrammi di tritolo mentre prendeva posto nel vecchio Shakhtar Stadium. Akhmetov dichiarò che era appena sceso dall’auto e scampò all’attentato per pochi minuti. Come ogni affermazione della sua vita, anche questa non è verificabile.

Che tu possa giocare in tempi interessanti Sulla ripresa di questo campionato aleggia prima la perplessità dei tifosi, per ragioni comprensibili poco attivi in questo momento, a cui si aggiunge l’indignazione verso un potere che, ad ogni livello, non vuole cambiare il suo modo di operare nemmeno con la guerra alle porte. Mentre i canali di 1+1 propagandano la posizione del “clan di Dnipro”, caldeggiata persino sui notiziari unificati creati ad hoc per aggiornare la popolazione sulla guerra, molti tifosi scelgono di boicottare la visione dell’intero campionato, disgustati dalle faide degli oligarchi in un momento così delicato.

Ma la Premier Liha e nel suo percorso accidentato continua a lasciare per strada alcune storie notevoli. Una, ad esempio, è quella del Kolos Kovalivka, squadra nata dieci anni fa in un villaggio di 1500 abitanti nella pianura dell’oblast di Kiev che si è ispirata alla Juventus per il proprio logo, e oggi a sorpresa è capolista del campionato (a pari merito con lo Shakhtar Donetsk).

Lo Shakhtar, nonostante il ridimensionamento dovuto alla fuga di De Zerbi e alla diaspora brasiliana, è riuscita a mantenere la sua aura di forza e prestigio e al momento è al secondo posto del proprio girone di Champions League. Inoltre, nonostante abbia fatto molto bene nelle amichevoli estive, è riuscita a trattenere il giovane talento Mykhailo Mudryk, di cui si è già parlato in ottica mercato per diverse squadre europee.

Tutt’altro destino per la Dinamo Kiev che, pur con una rosa pressoché intatta dal mercato estivo, ha perso cinque partite consecutive fra agosto e settembre, il peggior filotto negativo della propria storia, ritrovandosi, in un certo momento, anche ultima in campionato (al momento è dodicesima).

Se i motivi extra calcistici sono molti per interessarsi al campionato ucraino, sul campo vedere Mudryk è una delle poche cose sensate per un tifoso dell'Europa occidentale. Nonostante questo, il talento dello Shakhtar ha finora raccolto un solo assist (e un'espulsione) in Premier Liha, rispetto ai 2 gol e 2 assist nelle partite di Champions contro Lipsia e Celtic.

Nonostante molti calciatori stranieri siano scappati, altri hanno scelto di rimanere. Altri ancora, nonostante tutto, hanno deciso di trasferirsi in Ucraina durante l’estate: tra questi, onesti mestieranti delle Nazionali di Algeria, Macedonia, Albania, Camerun, Canada e meteore dell’Argentina, dove il nuovo mediano del Dnipro-1 Domingo Blanco ha esordito tre anni fa, o ancora ex promesse delle selezioni giovanili Belgio, Olanda e Francia, dove Farès Bahlouli, passato dal Metalist al Dnipro-1, era ritenuto talentuoso al pari di Thomas Lemar.

La storia più nota riguarda però un allenatore, e cioè Yuryi Vernydub, ex tecnico dello Sheriff. A fine febbraio, quattro mesi dopo aver battuto il Real Madrid al Bernabeu, Vernydub ha percorso la E58 che porta da Tiraspol a Odessa, abbandonando il territorio quasi russo della Transnistria per andare a combattere i russi che marciavano verso la città di Krivyi Rih. Qui è diventato allenatore del Kryvbass, la squadra di cui Zelensky è tifoso e promotore della rinascita, tanto da calciare il primo pallone nella partita del ritorno del Kryvbass tra i professionisti, nel 2020. Oggi è ultimo con 0 gol segnati e l’unica cosa degna di nota per cui si è fatto notare l’ex tecnico dello Sheriff al momento è avvenuta fuori dal campo da gioco, ovvero le roboanti minacce agli arbitri sotto gli occhi increduli e divertiti di uomini in tenuta militare, forse suoi ex compagni di reggimento.

Probabilmente anche Ionesco avrebbe trovato un filo surreale la presentazione di Vernydub come tecnico del Kryvbass.

Sono momenti in cui il campionato ucraino assomiglia ad una commedia, e forse già è tanto per la situazione drammatica che sta vivendo il Paese. Di fronte alla tragedia della guerra anche le contraddizioni del campionato ucraino sembrano poter strappare un sorriso ironico, tanto più adesso che sono esaltate dalla situazione eccezionale che vive l’Ucraina, in cui il calcio è l’ultima delle preoccupazioni. Guardare una partita in tempo di guerra può sembrare una pratica ancora più assurda di quanto non sia già in tempo di pace. Eppure non è così peregrino considerarlo un modo per ritrovare una normalità perduta, dove al massimo ci si spaventava per un petardo allo stadio.

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