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Calcio per pochi
22 feb 2016
22 feb 2016
È proprio necessario alzare i prezzi dei biglietti dello stadio?
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Quello che è accaduto lo scorso 6 febbraio ad Anfield è forse destinato a rimanere nella storia dei rapporti tra i tifosi e le squadre di calcio. Al 77.esimo minuto della partita con il Sunderland, circa 10 mila tifosi del Liverpool – la metà della Kop – hanno abbandonato lo stadio, dirigendosi verso l’uscita cantando e attendendo il termine della partita all’esterno. https://www.youtube.com/watch?v=O5s_BXo9u98 Il fatto che il Liverpool in quel momento stesse vincendo la partita per 2 a 0 e che abbia poi subito la rimonta degli ospiti fino al pareggio finale è forse casuale, ma ha certamente contribuito ad amplificare la portata della protesta, che ha avuto il merito di costringere la dirigenza del Liverpool e tutta la Premier League a interrogarsi sulle proprie modalità operative. Cosa ha portato la Kop a prendere questa iniziativa? E da dove nasce l’hashtag #WalkOutOn77? La protesta è esplosa dopo che il club ha annunciato i nuovi prezzi dei biglietti per la prossima stagione, secondo i quali nel rinnovato Main Stand un abbonamento annuale avrebbe raggiunto le 1.000 sterline (circa 1.280 euro) e il singolo biglietto sarebbe stato portato a 77 sterline (circa 100 euro), con un incremento del 30% sul prezzo della singola gara e del 15% sull’abbonamento annuale. Il numero 77 è diventato così il simbolo della manifestazione. Oggi il prezzo di un abbonamento alla Kop oscilla fra 685 e 735 sterline (880/950 euro). Sono previste riduzioni per gli over-65 (-25%), per i giovani (-50%) e per i bambini (-75%). L’abbonamento più economico ha comunque un costo di oltre 200 euro, che non è distante dal prezzo pieno pagato da molti tifosi italiani per l’equivalente titolo di ingresso annuale nelle nostre curve. Anche andando sul singolo biglietto si nota il divario: un adulto, sempre nella Kop, paga un prezzo di quasi 50 euro per assistere a una partita, contro una media decisamente più bassa (20/30 euro) del nostro campionato.

La Kop è stata spesso in prima fila in questa battaglia. Significativo lo striscione apparso qualche mese fa nel quale si ripercorreva l’evoluzione del costo del biglietto di accesso per un ragazzo fra il 1990 (4 sterline) e il 2010 (43 sterline). Le ragioni dei tifosi Si tratta dell’apice di una protesta che ormai da oltre un anno vede in contrapposizione le tifoserie e le squadre, accusate di gestire la politica dei prezzi di accesso allo stadio in maniera eccessivamente speculativa, puntando solo a incrementare i profitti, dimenticando che il calcio nasce idealmente come un sport “popolare”. Proprio per questo l'accesso dovrebbe essere consentito a tutti, anche a chi si colloca in una fascia di reddito medio bassa. Si ritiene che la politica inglese sul costo della biglietteria, oltre che da ragioni economiche, sia anche la conseguenza del cambiamento imposto del Rapporto Taylor, che ha cambiato la gestione della sicurezza all’interno degli stadi inglesi: nonostante non ci siano riscontri ufficiali in tal senso, è opinione condivisa che l’innalzamento del costo di accesso agli impianti abbia fatto parte di una strategia finalizzata ad allontanare gli hooligans dagli stadi, puntando sul fatto che la frangia più violenta provenga da classi meno abbienti, che avrebbero così più difficoltà a permettersi l’acquisto di biglietti ed abbonamenti. La Football Supporter’ Federation (FSF) sta lottando da tempo. Risale al 2013 la protesta Twenty’s Plenty for Away Ticketche chiede l’introduzione di un prezzo fisso di 20 sterline per tutti i tifosi che vanno in trasferta, considerando che oltre al titolo di accesso devono sobbarcarsi anche le spese di viaggio. L’importanza dei ricavi da stadio La completa ristrutturazione degli stadi inglesi degli ultimi 15 anni li ha resi una componente importante della capacità di creazione di ricchezza delle squadre. Nella stagione 2013/14, ad esempio, l’ultima di cui possediamo dati aggregati rilasciati dalla UEFA, la Premier League ha prodotto 660 milioni di euro dalle cosiddette “Matchday Revenues” (che non sono composte solo dalla biglietteria, ma più in generale da tutta l’attività generata dall’impianto nei giorni della partita). E se il dato in termini percentuali non è il più alto fra le Big-5 è solo perché il fatturato complessivo della Premier si pone a distanze ormai non più raggiungibili da parte delle altre.

Andando nello specifico, limitandoci alle principali squadre, questa è l’evoluzione dei ricavi da stadio nelle ultime quattro stagioni: non ci sono differenze sostanziali, nel senso che le evoluzioni sembrano essere dipendenti dalla partecipazione alle competizioni europee (con conseguente aumento delle partite giocate) rispetto a una politica specifica di incremento dei biglietti.

Il motivo della protesta risiede nella richiesta di un maggior equilibrio fra la necessità dei club di massimizzare le fonti di ricavo (per garantire la sostenibilità del modello competitivo cui partecipano) e il rispetto delle esigenze di una componente importante del business stesso, ovvero i tifosi. Detto in altri termini: quanto è importante per i club continuare la crescita dei ricavi da stadio, laddove questo rischia di ridurre le possibilità di accesso al “prodotto” alla massa dei supporter? Uno dei motivi di inasprimento del conflitto in Premier League è da cercare nel nuovo contratto di distribuzione dei diritti televisivi nel febbraio 2015: a partire dalla stagione 2015/16, infatti, grazie all’aumento del 70% della quota nazionale (passata da 3 a 5,2 mld di sterline), le squadre potrebbero trovare nelle proprie casse dai 30 a 60 mln di sterline in più ogni anno. Cifra che, paradossalmente, potrebbe consentire loro di ridurre il costo di biglietteria e abbonamento senza avere ripercussioni importanti sui conti. In un tweet dello scorso febbraio, il sito Sportintelligence.com aveva provocatoriamente calcolato che il solo incremento dei diritti televisivi derivante dall’accordo di vendita con Hong Kong avrebbe consentito alle squadre inglesi di rendere gratuiti i biglietti delle trasferte.

La questione trascende la componente economica, per arrivare a una radice culturale: la percezione del ruolo dei tifosi da parte del mondo del calcio. Nel corso degli anni i club sono diventati sempre di più delle aziende, gestite come tali. Il tifoso è considerato come un cliente cui vendere un prodotto, sfruttando l’irrazionalità della sua passione. La parte romantica del calcio, che appartiene a tutti noi che ancora andiamo allo stadio e seguiamo la nostra squadra, sopravvive ma perde peso sotto i colpi del numeri, dei conti da quadrare, della competitività accesa che porta i club a caccia di ogni singolo euro disponibile sul mercato, prima che lo stesso finisca nelle tasche di un concorrente. In realtà questo modello economico, che è ancora prevalente, presenta anche delle eccezioni. Rimanendo all’interno della Premier League, ad esempio, si distingue lo Stoke City, che ha deciso di mantenere un rapporto diverso con i propri tifosi. I costi dei biglietti (il più economico a 18,11 sterline), ad esempio, sono immutati dal 2008, anno dell’ultima promozione nella massima serie. Ma non basta: nel 2013 il club ha deciso di sostenere direttamente i costi dei trasporti per i tifosi che seguono la squadra in trasferta, oltre a lanciare iniziative per favorire l’accesso allo stadio dei ragazzi (un abbonamento costa circa 2 sterline a partita per gli under-11 e 8,9 sterline per gli under-17). Il risultato è che circa il 25% degli spettatori al Britannia Stadium è oggi al di sotto dei 21 anni: un investimento sulla fan-base del futuro. Non parliamo però di un club che occupa le prime posizioni del campionato (mediamente si classifica intorno al 10° posto) e questo è un elemento che va tenuto in considerazione nella valutazione complessiva. Il “contro-modello” tedesco L’eccezione maggiore a questa corsa al rincaro dei prezzi, è rappresentata dalla Bundesliga. In una recente analisi apparsa su La Stampa sono stati messi a confronto i costi dei biglietti più economici per le prime squadre dei principali campionati e la distanza fra le inglesi e le altre è significativa.

Come si nota dalla tabella, Bayern Monaco e Borussia Dortmund, pur essendo club che primeggiano a livello nazionale ed europeo, si posizionano su una fascia di costo molto bassa. Sembrerebbe la dimostrazione che non è necessario agire su questa leva di ricavo per ottenere risultati sportivi (ed economici) importanti. La valutazione va però fatta tenendo conto anche degli aspetti culturali. La Germania, infatti, ha costruito il suo modello economico nazionale (non solo nel calcio) favorendo un percorso di partecipazione della “massa” al processo decisionale. Vale per la gestione delle aziende (dove è normale che nei consigli di amministrazione siedano anche rappresentanti dei lavoratori) e ancor di più nel calcio, dove per legge la maggioranza delle azioni di un club non può essere concentrata nella mani di un solo soggetto: il tifoso tedesco è quindi anche socio del club per il quale tifa e viene coinvolto anche negli aspetti non sportivi di gestione della propria squadra. È probabile che le squadre tedesche abbiano deciso di privilegiare un accesso diffuso allo stadio, sapendo di poter compensare i minori ricavi con le ricadute in termini commerciali e di merchandising (secondo l’edizione 2015 del Bundesliga Report, questa voce rappresenta circa il 45% del totale delle entrate dei club della massima serie). Oltre all’apporto del singolo socio-tifoso, che grazie alla quota annuale ha diritto ad agevolazioni e sconti sulla biglietteria e il merchandising, non bisogna poi sottovalutare l’importanza del tessuto economico tedesco, dove realtà industriali di livello internazionale operano come sponsor del singolo club, in un’azione di marketing territoriale. L’esempio più lampante è rappresentato proprio dal Bayern Monaco: quando si è trattato di costruire il nuovo stadio ha potuto finanziarne una parte importante aprendo il proprio capitale sociale a Audi e Adidas (per un totale di 180 mln) e ha poi estinto in anticipo il mutuo nel 2014, facendo entrare anche Allianz che ha versato 110 mln che si sommano ai 90 iniziali pagati per aggiudicarsi i naming rights dell’impianto. Facendo due conti, il costo totale del progetto, vicino ai 350 mln di euro, è stato completamente coperto da apporti di denaro, senza quindi generare un impatto sui conti del club: certamente una bella differenza rispetto a chi deve sostenere le rate dei finanziamenti accesi per la costruzione o ristrutturazione del proprio impianto. Conclusioni Che il calcio sia diventato ormai un’industria è una certezza: sarebbe quindi anacronistico e probabilmente inutile cercare di leggerne le dinamiche esclusivamente con gli occhi del tifoso. Quello che è successo in Inghilterra qualche settimana fa, tuttavia, potrebbe rappresentare un esempio concreto dell’esistenza di un limite, fra la ricerca spasmodica del ricavo da parte dei club e l’importanza di mantenere un rapporto con la propria tifoseria. Non è un caso che la proprietà del Liverpool abbia immediatamente reagito alla protesta con un comunicato ufficiale sul sito del club nel quale, pur difendendo le ragioni della scelta originale di aumentare i prezzi dei biglietti, ha confermato di aver capito le ragioni della protesta (“Message Received”, dice una delle frasi) e di aver deciso una revisione delle precedenti decisioni, mantenendo inalterati i prezzi di abbonamenti e biglietti rispetto alla stagione in corso per le prossime due stagioni. La parte di chiusura del comunicato è incentrata sul ruolo dei tifosi, ricordandone la “sacralità” e l’importanza per il successo della squadra.

Forse questo è un buon punto dal quale ripartire. I tifosi sono i “clienti” molto particolari dello “spettacolo” del calcio: a differenza di un consumatore tradizionale, una parte consistente è presente indipendentemente dai risultati della squadra. Recuperare questa consapevolezza e cercare di premiarla può diventare un elemento importante per rinsaldare il legame con il club, facilitando l’accettazione di una serie aspetti meno gradevoli. Un do ut des reciproco, un equilibrio non facile da trovare e che deve necessariamente portare tutti i soggetti ad ascoltare le istanze degli altri e, per quanto possibile, non snaturare in maniera eccessiva la componente di partecipazione passionale.

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