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Come è andato il calcio femminile ai Giochi Olimpici
09 ago 2021
09 ago 2021
Un bilancio del torneo femminile.
(articolo)
16 min
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La finale del torneo olimpico di calcio femminile tra Svezia e Canada si conclude ai rigori, una delle peggiori serie di calci dal dischetto mai visti in una finale internazionale.

Quasi sempre in attacco, quasi sempre padrona della partita, durante la finale per l’oro olimpico la Svezia copre ogni porzione di campo attaccando e facendo un pressing asfissiante. Le occasioni arrivano da molte giocatrici diverse: una, per esempio, è della difensora Magda Ericksson, un interno sinistro che non centra la porta. Il Canada cerca di sovvertire l’asse della partita e di uscire dalla propria area di rigore, ma per i primi 25 minuti del primo tempo non ci riesce. Bev Priestman, allenatrice delle nordamericane, invita a gestire le fasi di non possesso palla al meglio: farsi trovare pronte nelle transizioni delle avversarie, contrastare i tentativi di costruzione, cercare di capitalizzare anche solo un’occasione possibile.

Quando la Svezia si stanca lascia un po’ di spazio al Canada, ma poi rimedia comunque un gol, solo al 34’: Stine Blackstenius va a segno con una girata sul cross di Kosovare Asllani, la svedese migliore, colei che costruisce il gioco, aiuta la fase difensiva, modifica gli spazi d’attacco per portare le compagne vicine alla porta nel miglior modo possibile.

Tra la fine del primo tempo e l’inizio del secondo è ancora la Svezia a condurre la partita, mentre il Canada attende, si contrae in difesa, soffre e sembra che finalmente venga fuori l’anima di questa squadra: è come un muscolo vitale, che lavora sempre anche quando nessuno se ne accorge.

La chiave della gara è la scarsità di realizzazione della Svezia, a volte poco lucida nei tiri e nell’episodio che segna la partita: al 67’ Amanda Ilestedt, centrale difensiva, atterra la capitana Christine Sinclair in area, completamente fuori tempo e la solita Jessie Fleming, capace di indirizzare con il penalty anche la semifinale contro gli Stati Uniti, esegue il rigore perfetto che spiazza Lindhal.

Il percorso efficiente del Canada

Nel 2016 a Rio de Janeiro il Canada vinceva il bronzo olimpico contro il Brasile: Deanne Rose e Christine Sinclair firmavano il 2–1 che negava la medaglia alle padrone di casa. Rose diventava la più giovane marcatrice alle olimpiadi, con un'età di 17 anni e 5 mesi circa, mentre Sinclair, al suo terzo torneo dei cinque cerchi, entrava di diritto nella storia della sua Nazionale.

Cinque anni dopo, entrambe sono punti cardine della squadra a Tokyo: Rose è incisiva, sa mettersi al servizio della partita e da centrocampista d’attacco riesce a trovare gli spazi al momento giusto; Sinclair, capitana di grande carisma, si conferma come un faro per il Canada che si affida a lei in molti momenti decisivi durante il torneo.

Quando sbaglia il rigore contro il Brasile ai quarti di finale – alla fine della gara sarà ininfluente – decide di fare un passo indietro e di dare fiducia a Jessie Fleming. Nelle successive due gare, è proprio Sinclair che affida alla compagna il pallone dei due rigori contro Stati Uniti prima e Svezia poi.

Il percorso del Canada alle Olimpiadi di Tokyo è diviso in due parti. Ai gironi la squadra non convince totalmente: pareggia 1–1 all’esordio contro il Giappone e contro la Gran Bretagna alla terza partita e vince solo contro il Cile per 2–1. Le migliori sono sempre le stesse: Sinclair, Rose, Beckie e Prince. Sono le marcatrici, ma anche le giocatrici che riescono a fare le prestazioni complessivamente più convincenti.

Nonostante il pareggio, la partita contro la Gran Bretagna squarcia un velo: in gioco c’è la testa del girone e per il Canada il secondo posto significa incontrare il Brasile al turno successivo. Alla fine della partita, giocata meglio dal Canada che però subisce la rimonta, Priestman non si lascia scoraggiare dal risultato a freddo e dichiara che i cambi di partenza erano dovuti (Viens in attacco e Schmidt a centrocampo, al posto di Prince e Fleming), per lasciare riposare qualche giocatrice chiave: il rischio calcolato sarebbe dovuto servire per avere energie migliori da spendere nelle partite successive.

Il Canada, infatti, arriva spesso a giocare gli ultimi minuti degli incontri con meno stanchezza: è in questo modo che è rimasta lucida contro il Brasile, ha limitato gli attacchi statunitensi e ha fatto sciogliere la Svezia.

E in questo modo che il 30 luglio al Miyagi Stadium di Rifu la vittoria contro il Brasile ai quarti di finale determina la svolta: il Canada, con la sua lucidità difensiva e la sua capacità di soffrire, conduce la partita sullo 0-0 fino ai rigori.

Andressa per il Brasile e Sinclair per il Canada sbagliano i rigori che mettono il conto sul 3 pari e gli ultimi due tiri diventano fondamentali: Gilles segna, marcando la sua partita migliore, e poi Stephanie Labbé para quello di Rafaelle.

Rispetto alla partita per il bronzo a Rio 2016, in cui il Canada aveva giocato complessivamente meglio rispetto alle padrone di casa, questa volta il Canada ingabbia il Brasile che da parte sua spreca molte occasioni e il Canada mette a frutto l’efficienza di cui è capace: anche nella partita successiva contro gli Stati Uniti, poco convincenti, poco brillanti, orfani della qualità di Megan Rapinoe fino alla metà del secondo tempo, succede la stessa cosa. La semifinale del Nord America si gioca all’inizio su un piano molto fisico e senza la brillantezza nella costruzione del gioco e nella fase realizzativa la formazione degli Stati Uniti arriva a vedersi sfilare da sotto agli occhi la finale per l’oro olimpico per un niente.

Contro gli Stati Uniti il Canada contiene gli exploit delle migliori in campo (Lavelle, Lloyd che subentra a Morgan) e Labbé in porta fa una partita brillante. Rispetto ad altre partite degli USA, in cui quando le squadre si allungavano nel secondo tempo l’ingresso di Rapinoe o Morgan cambiavano faccia alla gara, aggiungevano ora prepotenza, ora concretezza in attacco, contro il Canada l’inversione non riesce. L’ultimo quarto d’ora della semifinale è un assalto statunitense che non si concretizza: una sorta di emblema del cammino degli Stati Uniti, che si è compiuto a colpi di ripensamenti senza quella magia tipica del carattere della squadra.

All’85’ un lancio a giri contati di Rapinoe dalla fascia sinistra trova prontamente la testa di Lloyd. Un binomio naturale, quanto scontato ma che non è stato applicato fin dall’inizio della partita: Lloyd è subentrata a Morgan nel secondo tempo.

La qualità della Svezia

Nel ritiro preolimpico Kosovare Asllani si impegna a prendere un caffè con le sue compagne alle 5.30 del mattino: un momento per creare lo spirito di squadra e abituarsi al fuso orario giapponese.

All’esordio contro gli Stati Uniti la Svezia vince 3-0, rende piccolissima una delle squadre più titolate al mondo e si presenta come la squadra da battere del torneo. Una squadra dall’anima offensiva, il gioco veloce, capace di andare in gol con molte giocatrici diverse. Kosovare Asllani è la giocatrice più di talento; Rolfo, Blackstenius, Jackobsson sono solo le ultime tre propaggini di un gioco preciso e fluido che parte spesso dai piedi di Asllani o di Seger.

Ancora, contro l’Australia nella seconda partita del girone al Saitama Stadium il gioco della Svezia si sviluppa dalle fasce laterali per trovare le soluzioni migliori al centro dell’area.

Arriva in questo modo il primo gol, ad esempio: Asslani finta di corpo e dà sulla destra a Jakobsson che di prima mette in mezzo per il destro di Rolfo.

L’Australia e la Svezia si incontrano due volte durante il torneo: nella fase a gironi, con la Svezia che vince 4–2 e in semifinale, vinta per 1–0. In entrambe la partite l’Australia manca in alcuni momenti di lucidità in difesa, il punto critico delle “Matildas": con gli attacchi più tecnici – quelli di Svezia e Gran Bretagna in testa e poi nella finale per il bronzo contro gli Stati Uniti – l’Australia commette diversi errori.

Il bilancio del torneo australiano è complessivamente positivo: la squadra è cresciuta a ogni partita, trascinata dalla capitana Samantha Kerr e da un allenatore, Tony Gustavsonn, di molta esperienza che ha contato sull’affiatamento della squadra, per colmare il fatto di non aver potuto lavorare con le Matildas per diverse settimane a causa della pandemia. Durante il secondo dei due incontri contro la Svezia, per esempio, l’Australia impara dalla partita durante il girone e riesce a non far dilagare le avversarie che a centrocampo sentono la mancanza di Lina Hurtig, ma soprattutto un po’ di stanchezza generale dovuta al dispendio di energie durante un torneo così serrato, con una formazione che ha cambiato poco. La Svezia riesce a vincere la peggiore tra le sue partite giocate fino a quel momento, condannando l’Australia a guadagnarsi il bronzo contro l’orgoglio degli Stati Uniti.

La migliore marcatrice del torneo, le più grandi del torneo

Vivienne Miedema, attaccante venticinquenne dei Paesi Bassi, sa fare gol in qualsiasi modo e rende il lavoro delle sue compagne di reparto – soprattutto Leike Mertens – molto facile. Oltre a aiutarle a smarcarsi, a fare assist, a segnare molto, alleggerisce la pressione all’interno della partita. Nelle gare migliori dei Paesi Bassi, Miedema segna almeno tre gol, nella peggiore, il quarto di finale contro gli Stati Uniti, solo due, tenendo sulle spalle la squadra, dandole la possibilità di vincerla e sbagliando una cosa soltanto, che brucia incandescente sul torneo: il primo calcio di rigore che avrebbe deciso il passaggio del turno. Come una sorta di destino che colpisce gli attaccanti migliori davanti al dischetto, Vivienne Miedema e con lei i Paesi Bassi, conoscono la parabola più ingiusta: pur meritando, non arrivano nemmeno in semifinale.

Esiste un video su Youtube di circa 8 minuti che celebra le prodezze tecniche di Vivienne Miedema, solo riferite al 2021: tutti i gol realizzati con la Nazionale olandese e la sua squadra di club, l’Arsenal. Impressiona vedere elencate le sue possibilità, potenzialmente infinite. Si destreggia bene negli spazi stretti, sa ricevere in velocità, sa girarsi in area, sa improvvisare, sa guardarsi attorno e trovare la compagna meglio piazzata. Il reparto d’attacco non è solo casa sua, ma addirittura lo fa diventare il posto in cui si vorrebbe abitare, perché è quasi sempre confortevole, quasi sempre comodo, quasi sempre esteticamente bello.

L’Olanda inizia la sua Olimpiade con la goleada allo Zambia, poi passa a un pareggio per 3 – 3 contro il Brasile, e infine un altro risultato secco contro la Cina: 8 – 2, dichiarando di essere la formazione con l’attacco più prolifico e lanciando Miedema a diventare la migliore marcatrice del torneo.

Contro gli Stati Uniti, i Paesi Bassi disputano una gara sottotono, e progressivamente anche la lucentezza di Miedema si spegne, mentre le statunitensi approfittano delle incertezze di una squadra meno concreta del solito.

Per gli Stati Uniti è fin troppo chiaro che, uscendo ridimensionate dall’esordio e convincendo meno del solito, c’era un problema da risolvere e una reazione da cercare. Per le calciatrici, parte della causa è da attribuire alle aspettative – nessuno contempla un successo all’infuori dell’oro olimpico – e in parte all’allenatore, Vlatko Andonovski, coach della nazionale dal 2019, che durante il torneo olimpico mette in panchina l’esperienza di Carli Lloyd, la velocità di Alex Morgan, e la classe di Megan Rapinoe: nella finale per il bronzo, a torneo praticamente compromesso, la doppietta di Lloyd e Rapinoe (uno dei gol, il primo, è un gol olimpico) rimangono un segno di ciò che sarebbe dovuto essere.

L’ambizione della formazione statunitense arriva dalla volontà di non voler abbandonare lo scettro delle più forti, e, assieme al Brasile, della squadra con un’aura di grandezza tra le più longeve. Il destino emotivo degli Stati Uniti è molto vicino a quello del Brasile: entrambe le formazioni diranno addio a giocatrici difficili da sostituire, sia per qualità sportive sia per carisma individuale: Rapinoe, Lloyd da un lato e Marta e Formiga dall’altro sono icone che riescono a portare in campo un valore aggiunto che non ha a che fare direttamente con il talento, ma più con l’epica umana.

Probabilmente la differenza tra le due squadre è il diverso valore della sconfitta: gli Stati Uniti arrivano alla medaglia di bronzo con troppi inciampi lungo il cammino, con recriminazioni e nervosismo, mentre il Brasile con un torneo disputato al massimo delle possibilità e l’uscita contro il Canada ai calci di rigore dei quarti di finale lascia una sensazione di chiusura più serena.

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Dopo l’esordio del Brasile contro la Cina vinto 5 – 0, Marta diventa la prima giocatrice a segnare in cinque edizioni delle Olimpiadi.

La legacy di Marta parte da lontano: il calcio femminile in Brasile è stato illegale fino al 1981 e ancora oggi manca delle stesse possibilità di quello maschile. In Brasile esiste una religione del calcio ma è comunque a senso unico: le ragazze come Marta non erano incoraggiate, non erano supportate a nessun livello e se una calciatrice riesce a diventare una leggenda è un fatto ancora più rilevante rispetto a un calciatore. Lo svantaggio di partenza è incolmabile e le opportunità di crescita, di professionalizzazione, sono state da inventare per Marta: ciò che le viene riconosciuto oggi, ciò che rappresenta per il calcio brasiliano tutto è una conquista che non sarebbe stata possibile, se non fosse andata a cercarla altrove, fuori dal Brasile, in Svezia e negli Stati Uniti.

Marta, rossetto rosso e fierezza da vendere, restituisce al senso di «farcela» un significato nuovo: a tratti triste, se ci si ferma a pensare a tutte le Marta che non hanno avuto la sua audacia e la sua forza, a tratti leggendario, se si guarda alla sua lunghissima carriera.

In ginocchio

Secondo una fonte interna alle Olimpiadi sentita dai giornalisti del Guardian, ai social media manager del CIO e delle squadre olimpiche è stato proibito di postare foto di atleti in ginocchio.

Durante la prima partita del torneo olimpico il 21 luglio a Sapporo, le squadre della Gran Bretagna e del Cile si inginocchiano, approfittando della Regola 50 che proibiva agli atleti ogni forma di protesta, ma ora ammette dimostrazioni pacifiche prima delle competizioni, mantenendo la possibilità di sanzionare le eventuali proteste in atto sul podio. Steph Houghton, una delle capitane del Team GB dichiara: «Come giocatrici, in Gran Bretagna ci inginocchiamo agli eventi di club e a quelli internazionali e sentiamo molto forte, come gruppo, la volontà di supportare chi subisce discriminazioni e disuguaglianze».

Il torneo olimpico del Team GB di calcio femminile inizia, quindi, in questo modo: con una vittoria convincente contro il Cile per 2 – 0 e la forte presa di posizione riguardo all’inginocchiamento degli atleti alle Olimpiadi, supportata poi anche da alcune altre squadre del torneo.

La doppietta dell’esordio è di Ellen White, attaccante del Manchester City, una delle più importanti pedine dell’allenatrice Hege Riise. La numero 9 mette in crisi soprattutto l’Australia, nella partita della svolta per le Matildas: sono i quarti di finale e la prova di forza delle australiane coincide con la partita peggiore della Gran Bretagna e una delle prove più riuscite di White. Il 4 – 3 arriva alla fine dei tempi supplementari, e a poco è servita al risultato la tripletta della numero 9, che mette in luce i difetti difensivi delle Aussie.

Gli errori su due gol di White sono emblematici: Carpenter e Kennedy si fanno trovare impreparate dal cross per la numero 9 della Gran Bretagna; ancora Kennedy disimpegna male in area e White riesce a tirare di destro angolato e mettere fuori tempo Williams.

L’Australia cambia la partita alla fine dei tempi regolamentari, quando un lancio disperato trova Kerr in area che fa uno stop, finta e tira, confondendo la difesa della Gran Bretagna e pretendendo la semifinale: la squadra emblema dell’inclusività si sfilaccia sul più bello, contro la squadra più orgogliosa del torneo.

La Gran Bretagna è formata principalmente da calciatrici dell’Inghilterra, ma inserisce in rosa anche giocatrici provenienti da Scozia e Galles e soprattutto assegna tre fasce da capitana a Steph Houghton, Kim Little e Sophie Ingle, una per ogni anima geopolitica della squadra: Inghilterra, Scozia e Galles rispettivamente.

Essere riuscite a recuperare la partita agli ultimi minuti è una prova di forza per l’Australia che guadagna in fiducia e riesce a superare il momento più teso della gara.

Una storia a parte

Per Catherine Phiri la boxe è stata un modo per rendere migliore la sua vita, togliersi dalla povertà economica e studiare. A 25 anni usufruisce di una borsa di studio, la Justina Mutale Scholarship, che mira a «dare alle giovani donne africane l’opportunità della vita». Celebrata come African Women of the Year nel 2012, Justina Mutale gestisce progetti di empowerment femminile, volti alla scolarizzazione e realizza sponsorizzazioni in tutto il mondo. Il programma di educazione a cui Catherine Phiri partecipa è solo uno dei tanti, e l’ex boxeur si specializza in management dello sport in Italia, in collaborazione con la European School of Economics.

Quando Barbra Banda guarda Catherine Phiri vede un’atleta e un idolo. Decide di affiancare alla sua passione per il calcio la boxe: ha 16 anni, inizia con ottimi risultati, collezionando cinque vittorie in cinque combattimenti, ma poi ci ripensa. La storia di Phiri può portarla altrove.

È la prima calciatrice dello Zambia a giocare in Europa, al Lograno, squadra di Primera Division spagnola e poi va allo Shanghai Shengli. A 20 anni è l’attaccante titolare e capitana della sua Nazionale e esordisce al torneo olimpico di Tokyo 2020 facendo 3 gol ai Paesi Bassi ed è la calciatrice dello Zambia più importante di tutti i tempi.

Banda è dotata di una qualità di anticipo mirabile e quando la difesa dei Paesi Bassi si adagia sul risultato difficile da invertire, a lei non importa se lo Zambia sta già perdendo 10 a 1: è la prima partita, è un palcoscenico importante. È, per definizione, l’occasione di una vita. Ruba la palla, e segna il gol più bello dei tre realizzati dallo Zambia, tutti suoi: calcia di destro, in velocità, e la portiera e capitana Sari van Veenendaal non ci arriva. Il tiro è preciso, potente, la corsa la sostiene nell’azione. È l’83’, non cambia molto per il risultato finale.

Per la prima rete aveva ricevuto un lancio lungo da Lungu, che sventaglia dalla fascia sinistra verso il centro. Banda vede l’intenzione, inizia a correre, anticipa la difesa dell’Olanda e con un tocco al limite dell’area di rigore supera Sari van Veenendaal che non la marca per davvero, tenta solo di confonderla e con disappunto la segue finire in porta. Banda raccoglie la palla che rotola ancora nella rete e chiama la raccolta per ripartire, con il piglio da capitana: la partita in quel momento era ancora sul 2 a 1 per i Paesi Bassi. È durato solo dieci minuti quello stato di possibilità, in cui lo Zambia avrebbe potuto addirittura pareggiare, prima che l’Olanda dilagasse: alla fine, il tabellino avrebbe recitato Miedema 4 gol, Mertens 2 e 1 per ciascuno per van de Sanden, Roord, Beerensteyn e Pelova. Per il suo secondo gol Banda si fa trovare pronta sulla sinistra, a ricevere un passaggio che taglia la difesa e poi dribbla van Veenendaal.

Lo Zambia arrivava al torneo olimpico senza pretese e con un obiettivo già centrato: nessuna Nazionale aveva mai partecipato alle Olimpiadi, femminile o maschile che fosse, e la partita contro la Cina, nella seconda giornata, è da incorniciare.

Banda ne segna altri tre, lo Zambia pareggia 4 – 4 e la capitana dello Zambia vive un momentum.

Lo Zambia non supera i gironi, ma non è questa la sua storia: contava partecipare, nel vero senso dell’intenzione, senza ipocrisia, provando a farsi scoprire, a cercare di trovare un posto nel mondo. Nessuno parlava di loro in patria prima di queste Olimpiadi e durante è già cambiato tutto.

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