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Nicola Sbetti
Il calcio in Arabia Saudita prima di Cristiano Ronaldo
28 ago 2023
28 ago 2023
Il calcio a Riyad ha una tradizione più profonda di quanto non si pensi.
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Nicola Sbetti
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IMAGO / WEREK
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Da diverse settimane si sta parlando con toni enfatici del massiccio investimento saudita nel proprio campionato di calcio maschile e a volte, a leggere certe voci, si ha quasi l'impressione di essere di fronte a qualcosa di mai visto prima. In realtà non è certo la prima volta che, usando la leva del denaro, un campionato sportivamente e politicamente periferico cerca di diventare più competitivo ingaggiando campioni di altre leghe. Senza scomodare il campionato italiano degli anni Venti e Trenta che fece incetta di talenti danubiani prima e sudamericani poi, nel secondo dopoguerra possiamo ricordare gli anni dell’El Dorado in Colombia, quando squadre come i Millonarios poterono permettersi stelle come Di Stefano, Pedernera o Mosquera. Negli anni settanta la lega americana, che allora si chiamava NASL, riuscì ad attrarre campioni del calibro di Pelé, Cruijff, Beckenbauer, Best, Carlos Alberto e Chinaglia mentre nei primi anni Novanta Schillachi, Zico e Lineker, attratti dagli yen giapponesi, si trasferirono nella J-League. Più recentemente e con alterne fortune, anche la Cina, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti hanno cercato, acquistando campioni maturi, di innalzare il livello medio dei propri campionati.

Certo, la quantità fa la qualità ed è vero che la potenza di fuoco economica messa in campo dall’Arabia Saudita e il coinvolgimento diretto del fondo di investimento sovrano (PIF) rappresentano effettivamente qualcosa di nuovo. Nonostante questo, rimane prematuro dire che l’investimento saudita sarà continuativo nel tempo ed è troppo presto per capire se rappresenterà davvero una sfida di lungo periodo per le principali leghe europee. Non è detto infatti che l'obiettivo dell'Arabia Saudita sia in realtà di respiro regionale, con investimenti di breve o medio periodo volti soprattutto ad annullare il gap con i propri vicini, Emirati Arabi Uniti e Qatar, e ad affermarsi come potenza asiatica. Quel che è certo è che nel paese arabo, indipendente dal 1932 e in grande crescita demografica (il 70% della popolazione è Under 35), quella per il calcio è una sincera passione con un movimento che comincia ad avere anche una certa tradizione. Insomma, gli investimenti degli ultimi mesi non arrivano certo dal nulla.

Il successo del calcio in Arabia Saudita deve molto al turismo legato ai pellegrinaggi a La Mecca, la città del regno più influenzata da culture esterne. Nell’andare a compiere il loro dovere spirituale visitando la moschea del Masjid al-Haram, un numero crescente di pellegrini musulmani sudditi dell’Impero britannico cominciò a portare con sé la passione per lo sport e in particolare per il calcio. In effetti le prime testimonianze di partite ufficiali giocate alla Mecca sono degli anni Venti. Più in generale comunque la presenza inglese nel Golfo Persico contribuì a stimolare la diffusione e la passione per il calcio in tutta la Penisola araba.

Fino agli anni Cinquanta, però, il regno saudita non istituzionalizzò l’attività sportiva, allora rigorosamente maschile, in maniera sistematica. Un dipartimento dello sport venne creato dal governo solamente nel 1952, mentre il Comitato olimpico saudita, fondato l’anno prima, venne riconosciuto solamente nel 1965. Non c’è dubbio però che fra gli sport praticati in Arabia Saudita il calcio sia sempre stato il più importante come dimostra il fatto che la Federcalcio locale sia stata in assoluto la prima federazione ad essersi costituita nel paese. Riconosciuta dalla FIFA nel 1959, si adoperò fin dalla sua costituzione nel 1956 per strutturare competizioni su base nazionale.

Nel 1957 presero il via la Coppa del Re e la Coppa del Principe della Corona saudita, tuttavia nei primi decenni di vita federali l’attività calcistica rimase modesta, in buona parte al di fuori dai circuiti internazionali di alto livello. La prima vera svolta per il calcio saudita arrivò solo nel corso degli anni Settanta quando l’OPEC cominciò ad alzare i prezzi del petrolio, i cui introiti cominciarono ad essere investiti anche nello sport. A partire dal 1974 infatti il principe saudita Faisal Bin Fahad promosse il primo di una serie di piani quinquennali volti all’incremento della pratica sportiva nel paese, che portò alla creazione di nuovi club, ma soprattutto di investimenti nelle infrastrutture, nella scienza e nella medicina dello sport. Ed è proprio in questo contesto che nel 1976 nacque il primo vero e proprio campionato nazionale, l’attuale Saudi Pro League.

La storia del calcio saudita, comunque, non può però essere separata da quella delle altre Monarchie del golfo, che a loro volta investirono nel calcio parte degli introiti derivanti dall'esportazione degli idrocarburi. Una data simbolica, in questo senso fu il 1977, quando la Nazionale degli Emirati Arabi Uniti mise sotto contratto l’allora allenatore dell’Inghilterra Don Revie offrendogli un ingaggio quasi quattordici volte superiore a quello che prendeva dalla FA. Fatte le dovute proporzioni, lo shock e l’indignazione dell’opinione pubblica britannica fu persino maggiore di quella a cui stiamo assistendo in questi giorni rispetto all’ipotesi che l’ex CT Roberto Mancini firmi per la Nazionale saudita (ipotesi che secondo diversi diventerà concreta proprio oggi).

Già allora comunque per Paesi come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi, ma anche il Qatar e il Kuwait l’investimento nel calcio maschile non rispondeva solo a una passione ma aveva molto a che fare con il prestigio. Era uno dei modi che avevano queste monarchie per dire al mondo che c'erano anche loro, tra le nazioni più sviluppate. Non a caso nella seconda metà degli anni Settanta la nazionale del Kuwait ingaggiò Mário Zagallo, quella dell’Arabia Saudita si affidò al campione ungherese Ferenc Puskas mentre il Qatar aveva puntato sull’inglese Frank Wignall. Del resto dal 1970 si era cominciato a giocare, biennalmente ma con intervalli non sempre regolari, un torneo capace di stimolare le rivalità locali e di accrescere la competitività regionale: la Coppa delle Nazioni del Golfo. L’Arabia Saudita la organizzò nel 1972 e nel 1988 (poi ancora nel 2002 e 2014) ma la riuscì a vincere per la prima volta solamente nel 1994.

Il primo grande successo della Nazionale saudita risale però a dieci anni prima. Dopo aver partecipato senza successo alle qualificazioni per i Mondiali a partire dall’edizione 1978 e dopo aver preso parte con tre sconfitte su tre alle Olimpiadi di Los Angeles nell’estate del 1984, nel dicembre dello stesso anno i sauditi esordirono col botto in Coppa d’Asia. La squadra allenata - per la prima volta da un tecnico locale, Khalil Ibrahim Al-Zayani, subentrato a marzo al brasiliano Mário Zagallo - arrivò non senza fortuna in finale, dove vinse con merito per due a zero contro la Cina.

Decisivo, sia nel pareggio al novantesimo contro i favoriti sudcoreani nella partita d’esordio sia in finale con il gol della sicurezza, fu l’attaccante venticinquenne dell'Al-Nassr: Majed Abdullah. Per il calcio saudita Abdullah resta tutt’oggi un’autentica leggenda: il più grande di tutti i tempi. Lo certificano anche i numeri: 72 reti in 117 presenze in Nazionale e 259 gol in 266 apparizioni in con i gialloblù di Riyad, la squadra che oggi è proprietà per il 75% del fondo d’investimento saudita e in cui giocano Cristiano Ronaldo, Sadio Mané e Marcelo Brozović.

In un certo senso Abdullah è il giocatore che simbolicamente ha traghettato il calcio saudita al professionismo. Durante la Coppa d’Asia del 1984, a dimostrazione di come il calcio non potesse essere ancora veramente considerato una reale professione, dichiarò: «Il calcio è importante, non c’è dubbio, gli devo molto ma non è tutto nella vita. È più importante pensare al futuro e alla sicurezza economica della mia famiglia. Penso che continuerò a giocare per altri due anni prima di trovarmi un lavoro». Poi però venne meno ai suoi intenti e giocò fino alla soglia dei 40 anni riuscendo anche a qualificare la Nazionale al suo primo Mondiale, quello di USA 1994. Se lo poté fare, però, fu anche perché tra gli anni Novanta e i primi Duemila avvenne il definitivo e totale passaggio al professionismo del calcio saudita.

La sua carriera, insieme al successo nella Coppa d’Asia del 1984, diede forza e convinzione ai “falconi verdi”m che aprirono un ciclo vincente. Dal 1984 al 2007, con la sola eccezione del 2004, raggiunsero sempre la finale della competizione quadriennale, vincendola in ben tre occasioni (1984; 1988; 1996). Dal 1994 al 2006, inoltre, si qualificarono per quattro edizioni consecutive dei Mondiali, anche se solo alla prima partecipazione superarono lo scoglio del primo turno. Decisivo fu in quell’occasione il celebre coast to coast di Said Al Owairan contro il Belgio.

La ciliegina sulla torta di questa prima età dell’oro del calcio saudita fu il sorprendente titolo mondiale vinto dalla Nazionale giovanile ai Mondiali Under 16 giocati in Scozia nel 1989. Trascinati dal tanto talentuoso quanto sfortunato Khalid Al Rowaihi, che morirà nel 1993 in un incidente stradale, i giovani sauditi in finale superarono in finale i padroni di casa ai rigori, mentre al terzo posto si piazzò il Portogallo di Luis Figo e Abel Xavier.

Una serie di circostanze fra cui il ricambio generazionale, l’ingresso dell’Australia nel 2006 nella confederazione asiatica, le solide prestazioni di Giappone e Corea del Sud, unita alla crescita delle rivali regionali (in particolare il Qatar), hanno portato la Nazionale saudita post-2007 a un decennio di flessione. Nonostante questo, le qualificazioni ai Mondiali 2018 e 2022, con annessa vittoria contro i futuri campioni del mondo dell’Argentina nell'ultima edizione, certificano l’ormai avvenuto novo cambio di rotta. Un andamento analogo lo si può registrare anche a livello di club, in cui va peraltro considerata anche la breve ascesa delle squadre cinesi ed in particolare del Guangzhou Evergrande di Lippi e Cannavaro. Tra il 2006 e il 2018, infatti, non ci sono state vittorie di club sauditi nell’AFC Champions League, anche se comunque in ben quattro occasioni è stata raggiunta la finale, mentre nel 2019 e nel 2021 l’Al Hilal, la squadra che oggi è di Neymar e Koulibaly ma in cui allora folleggiava Sebastian Giovinco, ha sollevato due volte il trofeo. Più che di un vero e proprio calo, quindi, nel decennio 2007-2017 il calcio saudita è sembrato faticare a riadattarsi alla crescita di competitività del calcio asiatico. Un dato che va preso in considerazione quando cerchiamo di leggere gli investimenti di oggi.

Ma se il livello del campionato saudita è ormai così buono perché è così raro vedere giocatori sauditi fuori dal proprio Paese? Una prima, semplice, risposta è che gli stipendi della Saudi Pro League sono in media piuttosto elevati. In più, il numero di stranieri all'interno del campionato saudita è cresciuto gradualmente solo negli ultimi vent’anni, passando da una decina ad una cinquantina. Non è nemmeno la prima volta che il campionato locale viene investito da un'ondata di stelle provenienti dal calcio europeo, come Cristiano Ronaldo, Benzema e Neymar.

Si tende infatti a dimenticare che l’11 novembre 1987, pur essendo sotto contratto con il Napoli, Diego Armando Maradona partecipò contro il Brondby di Brian Laudrup e Peter Schmeichel un’amichevole con la maglia dell’Al-Ahli, che festeggiava il suo cinquantenario di vita. Il "pibe de oro" legittimò così il massiccio investimento fatto dallo scieicco Khaled Ben Abdullah, proprietario del club, trascinando i sauditi ad una vittoria per 5 a 2 con tre gol e due assist davanti a 40mila tifosi sauditi entusiasti. Oltre ad un assegno di circa 300 milioni - e ai 40 milioni di lire che a detta de La Gazzetta dello Sport il manager Guillermo Coppola chiese ai giornalisti locali per 10 minuti di intervista - i sauditi riservarono un aereo a tutto il suo entourage, composto da una decina di persone che lo venne a recuperare all’aeroporto di Capodichino dopo lo scialbo zero a zero fra Como e Napoli. L’argentino venne ricevuto anche dal principe ereditario Abudl Al Faisal e ricevette in dono una scimitarra con numerosi diamanti e brillanti incastonati nell’impugnatura, uno scudo e una medaglia d’oro.

Anche i primi importanti investimenti negli eventi e nelle infrastrutture calcistiche sono stati precedenti alla Vision 2030, il documento governativo che viene spesso citato a ragione dei massicci investimenti sauditi sul calcio negli ultimi mesi. Sulla scia dei successi continentali degli anni Ottanta e Novanta nel 1987 a Riyad venne inaugurato lo Stadio internazionale Re Fahd. La sua costruzione ha permesso al Paese di organizzare una serie di eventi sportivi. Nel 1989, per esempio, l’Arabia Saudita ospitò il Mondiale maschile Under 20 mentre nel 1992 venne ospitata qui per la prima volta la Confederations Cup, il torneo soppresso dalla FIFA nel 2019 che vedeva in lizza la Nazionale campione del mondo insieme alle vincitrici dei tornei continentali. Anche la seconda edizione, disputata nel 1995, si tenne a Riyad, e per di più con la denominazione Coppa Re Fahd. Solo nel 1997 il torneo assunse la denominazione Confederations Cup, giocandosi però ancora una volta allo Stadio internazionale Re Fahd. Il neonato trofeo, fu vinto dal Brasile di Romario e Ronaldo, entrambi autori di una tripletta, che annichilì l’Australia con un tennistico 6 a 0.

Sono in realtà molte altre le manifestazioni internazionali organizzate dall’Arabia Saudita. Senza contare gli eventi giovanili o per club possiamo citare la Coppa delle Nazioni del Golfo (1972, 1988, 2002, 2014), la Coppa Araba (1985, 2012) e la Coppa delle nazioni afro-asiatiche (1985, 1997), mentre si appresta ad ospitare nel 2027 la Coppa d’Asia e nel 2034 i Giochi asiatici (evento multi sportivo all’interno del quale c’è un torneo di calcio che l’Arabia Saudita non ha mai vinto) che finora non aveva mai organizzato. Più recentemente l’Arabia Saudita ha ospitato anche la Supercoppa spagnola e quella italiana, come ci ricordiamo bene.

In un Paese fortemente patriarcale come l’Arabia Saudita a livello femminile il calcio sta solo ora muovendo i primi passi, nonostante sia lo sport più popolare nel Paese per entrambi i generi. A lungo per le donne giocare a calcio è stato addirittura vietato dalla legge. I primi esperimenti pionieristici e a singhiozzo risalgono al 2006, mentre un campionato vero e proprio esiste solo dal 2020. La Nazionale femminile ha fatto il suo esordio nel febbraio del 2022 con una vittoria sulle Seychelles.

Insomma, seppur declinata unicamente al maschile il calcio saudita può vantare una sua storia, una certa tradizione seppur non ancora secolare, e una crescente passione da parte della popolazione. Elementi, questi, che potranno rivelarsi fondamentali per radicare e dare seguito ai recenti investimenti in corso. Del resto proprio la storia, la tradizione e la passione sono tanto quanto i soldi degli ingredienti indispensabili se si vuole fare del calcio uno strumento di prestigio e di potere internazionale. E questi, così come i soldi, in Arabia Saudita non mancano.

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