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Calcio a metà
02 nov 2015
Inter e Roma danno vita a una partita carente sul piano del gioco: vince la squadra più solida difensivamente. Basterà per il resto del campionato?
(articolo)
9 min
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In un campionato che per la prima volta dopo anni sembra equilibrato e tatticamente interessante, nella serata di Halloween, Inter e Roma hanno deciso di regalarci uno scherzetto giocando una partita esteticamente discutibile. L’hashtag scelto dall’Inter per “promuovere l'evento”, che spesso appariva sui cartelloni elettronici a bordo campo, era #UnaSfidaDaPaura: e purtroppo lo è stata davvero, se si intendeva paura di giocare a calcio.

Problemi in regia

Le formazioni iniziali hanno ingannato sullo sviluppo della partita. Mancini ha scelto un 4-3-3 con due terzini, D’Ambrosio a destra e Nagatomo a sinistra, più veloci (soprattutto il giapponese) e attenti difensivamente di Santon e Telles, con l’evidente obiettivo di contenere le ali romaniste. A centrocampo, vista la squalifica di Melo, vicino a Medel ci sono Guarín e Brozovic. Ma la sorpresa più grande l'ha riservata al reparto offensivo: Icardi in panchina, Jovetic falso nove con Ljajic ala destra e Perisic a sinistra.

Una scelta comprensibile dal punto di vista della creazione di gioco (e che priva di riferimenti la difesa giallorossa): Ljajic e Jovetic sono probabilmente gli unici due giocatori davvero associativi dell’Inter, due playmaker offensivi. Perché all’Inter in questo momento servono più fonti di gioco invece di una punta centrale come Icardi, molto abile ad attaccare la profondità, ma servita poco e male.

La partita è appena iniziata, ma la Roma già non sa qual è il suo riferimento centrale: Pjanic si è abbassato, Florenzi sta facendo lo stesso e finisce per pestarsi i piedi con Nainggolan, che sembra quasi dirgli di non fare quel movimento. Qual era il piano? Il risultato è che Jovetic riesce a schermare così ben due giocatori, il 4-5-1 dell’Inter in fase difensiva tiene bene e Manolas sbaglierà il lancio lungo.

La squadra di Rudi Garcia è scesa in campo con il solito 4-3-3 mobile, con il grande problema di sostituire De Rossi: Florenzi gioca da mezzala, con Maicon terzino destro. In avanti, ai lati di Dzeko ci sono Gervinho e Salah, sempre pronti a cambiarsi di posizione. Uno dei problemi nello schieramento della Roma è la sostituzione pratica di De Rossi, e cioè chi debba abbassarsi tra i centrali per iniziare l’azione o raccogliere il primo passaggio.

Il compito non è chiaro e non lo sarà per tutta la partita: inizia Nainggolan, che non ha l’abilità nel dettare i tempi e preferisce avere più libertà di movimento (inoltre, con il belga costretto a restare vicino alla difesa, la Roma perde un'arma importante per portare pressione nella metà campo avversaria). Poi tocca a Pjanic, che possiede la tecnica e la visione per impostare, ma il suo abbassamento priva la Roma di idee sulla trequarti, la zona cioè dove l’Inter fa più densità e chiude centralmente. Infine tocca a Florenzi posizionarsi in zona centrale, riducendo così il dinamismo della catena di fascia destra. La mancanza di un riferimento in impostazione ha spinto ha anche Salah e in alcuni momenti persino Dzeko ad abbassarsi oltre la linea del centrocampo nerazzurro per venirsi a prendere palla anziché muoversi in avanti per allungare gli avversari e creare spazi.

Addormentare la partita e gli spettatori

Entrambe le squadre inizialmente sembrano quasi in attesa che la partita si svolga per conto proprio, in un primo tempo in cui il ritmo somiglia il battito cardiaco di un elefante: lento, molto lento. Le squadre non hanno un piano di gara chiaro: l’Inter ha ben presente la volontà di difendersi, a volte prova a farlo in avanti, ma in modo poco organizzato, e allora si rinchiude nella trequarti (il baricentro medio a fine partita è davvero molto basso, 43.7 metri, ben 10 in meno di quello degli avversari).

La Roma si adegua all’avversario, come le capita spesso: ritmi alti se gioca contro il frenetico Leverkusen, sconsolante lentezza contro i nerazzurri. In particolare, la Roma non attacca con continuità l’avversario sull’inizio azione; sembra passiva anche nella propria trequarti.

Variazioni sul tema: ancora difficoltà nel capire chi è in regia, con Pjanic e Florenzi sulla stessa linea; Jovetic è l’unico che può stazionare nella metà campo avversaria (anche se Guarín si fa ingolosire), l’Inter è tutta dietro la palla ed è molto compatta. Confusione anche sulle posizioni offensive nella Roma: Gervinho e Salah sono nella stessa zona, con Maicon più largo, eppure non riescono a creare superiorità numerica, grazie a Medel che chiude il passaggio centrale. Il cambio di campo sulla fascia sinistra troverà Digne letteralmente solo contro tutti.

La circolazione del pallone è quasi esasperante per i giocatori nerazzurri: a difesa avversaria schierata si palesano incredibili errori nel giro palla che rendono impossibile la creazione di occasioni da gol. La percentuale di passaggi riusciti riflette questa difficoltà: solo 72.5%, ma senza che questo dato sia dovuto a una ricerca continua della profondità (la Roma effettua sia più lanci—6 in più—che verticalizzazioni—2 in più—ma con l’84% di precisione).

Il gol arriva con un tiro dalla lunga distanza di Medel, sull’ennesimo pallone lavorato da Jovetic (l’unico vero faro di questa squadra) falso nove: Szczesny sembra partire in ritardo e con poca spinta, in una delle disattenzioni che ciclicamente comparivano nella sua carriera all’Arsenal e che sembrano ripetersi anche a Roma (vedi anche i gol contro Bate ed Empoli). Al di là del gol, il centrocampista cileno è il vero equilibratore difensivo della squadra nerazzurra: ben 4 palloni recuperati in 51 minuti.

L’Inter ha riconquistato il pallone, la Roma è disordinata (c’è chi corre indietro, chi difende in avanti, chi è fermo), ma non c’è un piano per le transizioni offensive: anche i giocatori nerazzurri sembrano muoversi casualmente, oltre a essere tutti sotto la linea del centrocampo (il più avanzato è Brozovic). Guarín non potrebbe far partire un’azione rapida, ma solo scaricare sulla destra: invece pensa addirittura che il tiro sia l’opzione migliore, da quella distanza. Szczesny ovviamente parerà.

Quel gol poteva rappresentare la svolta per una partita migliore nel secondo tempo e lo è stato solo parzialmente. La Roma ha provato ad aumentare il ritmo e a salire sul terreno di gioco (15 palloni recuperati nella metà campo avversaria in totale, e un’altezza media del recupero sui 40 metri), mentre l’Inter è arretrata ancora di più (recupero medio del pallone addirittura a 28.8 metri, molto basso) non riuscendo neppure ad arrivare in porta (2 tiri nello specchio nel primo tempo, contro 1 nel secondo), invece di approfittare degli spazi che la Roma inevitabilmente lasciava.

Buoni e cattivi: l’Inter fa densità sulla destra e crea probabilmente la migliore azione corale della sua partita, grazie ai suoi giocatori più associativi. Jovetic si è abbassato e ha attirato Rüdiger, che come al solito si trova in posizione ibrida e guarda solo il pallone; il montenegrino serve con uno splendido filtrante Ljajic, in posizione più avanzata tra i nerazzurri, con Manolas colpevole nel tenerlo in gioco. La difesa della Roma è disposta su 4 linee diverse: difficile organizzare il fuorigioco in questo modo.

I problemi della Roma nell’attaccare sono di varia natura: giocatori poco mobili e spesso in attesa del pallone; confusione a centrocampo sui ruoli e anche sulle catene di fascia. Per risolvere almeno le difficoltà nel giro palla, Garcia ha inserito Iago Falque al posto di Florenzi, schierandolo sì mezzala, ma con compiti quasi da regista arretrato. Una soluzione che permette a Pjanic (ben 8 occasioni da gol create) di avanzare qualche metro, ma solo per pochi minuti: l’espulsione per doppia ammonizione del bosniaco ha poi costretto la Roma a inserire Vainqueur al posto dell’altro bosniaco, Dzeko, apparso ancora troppo altruista (4 sponde, 4 palloni recuperati) e poco incisivo in zona pericolosa (nonostante due suoi colpi di testa abbiano impegnato Handanovic).

Nel secondo tempo Pjanic si fa trovare sulla trequarti, mentre Maicon entra spesso nel campo diventando una sorta di regista occulto, con Salah che allarga la difesa avversaria: il movimento di Dzeko è perfetto, ma il bosniaco non troverà il tempo giusto per calciare in porta.

Ormai con le spalle al muro, e dopo una grande occasione per Brozovic che avrebbe potuto chiudere la partita, la Roma è quasi elettrizzata (anche questo un tema ricorrente della stagione) e attacca ancora.

Dall'altra parte, l’uomo in più non produce alcun effetto benefico per la squadra di Mancini, che non solo non riesce a migliorare la qualità del giro palla, ma trova conforto solo con calci d’angolo battuti a nuvola (ben tre giocatori sul pallone) per rifiatare.

Medel ha appena passato il pallone a Jovetic, che non ha linee di passaggio disponibili e dunque aspetta: con un bel tocco serve Medel, che nel frattempo ha aggirato Gervinho (che non lo segue). Le posizioni dei giocatori della Roma sono particolari: Florenzi si era schiacciato senza motivo sulla linea dei difensori e sale in ritardo su Jovetic; Nainggolan è sulla linea dei difensori.

L’importanza di un piano di gioco

Nonostante i 9 tiri nello specchio della porta, la Roma non è riuscita a segnare: merito certamente di un Handanovic in grande forma e sempre reattivo, ma non basta a spiegare la sconfitta. La squadra di Garcia è sembrata tornare leggermente indietro dal punto di vista del gioco collettivo e delle idee: qual era la strategia contro l’Inter? Perché non attaccare sistematicamente l’inizio azione di una squadra in grande difficoltà nella circolazione di palla?

I giallorossi continuano a dipendere ancora troppo dai singoli, costretti sempre all’invenzione: ma un collettivo ben organizzato ha più soluzioni della semplice somma di un gruppo di ottime individualità. E non si tratta solo della fase di creazione offensiva: la lettura delle situazioni difensive sembra lasciata quasi alle idee dei due centrali, spesso in disaccordo (con Rüdiger perennemente attirato dal pallone).

L’Inter si ritrova prima in classifica dopo una partita in cui ha provato solo due tiri nell’area avversaria e ne ha concessi ben 14 nella propria. Questi dati dimostrano la grande forma del portiere nerazzurro, ma anche la solidità della coppia centrale Miranda-Murillo: hanno recuperato 6 palloni a testa e, in generale, offerto una prova di grande forza, con il brasiliano apparso di nuovo il dominatore dei tempi dell’Atlético Madrid.

Gli strumenti di gioco di Mancini ovviamente aiutano la squadra a non subire: grande densità in zona centrale, difesa che non concede mai profondità e linee che si compattano velocemente per rimanere corte (la lunghezza media è stata di 31 metri: una squadra molto corta). In particolare ha funzionato il rientro costante degli esterni d’attacco, che hanno privato di spazi le due ali romaniste.

L’Inter però non ha una vera proposta di gioco offensivo: sembra quasi di ritornare a molti decenni fa, quando si pensava di poter allenare solo la difesa e lasciare al talento individuale tutto il resto. Per fortuna adesso sappiamo che fase offensiva e fase difensiva fanno parte di un tutt’uno, tipo yin e yang, e che non si può allenare l’una senza preparare l’altra.

I nerazzurri possono certamente nutrire speranze per il prosieguo del campionato. La solidità difensiva è sempre stata una grande virtù in Serie A (negli ultimi 20 campionati, 14 volte lo scudetto è andato alla miglior difesa), ma l’equilibrio della squadra e la capacità di saper interpretare bene entrambe le fasi sono ancora più importanti: ben 17 scudetti sugli ultimi 20 sono andati alla squadra con la miglior differenza reti.

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