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(di)
Paolo Sollier
Calci e sputi e colpi di testa
21 feb 2022
21 feb 2022
Un estratto dall'autobiografia di Paolo Sollier.
(di)
Paolo Sollier
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Stare insieme, diventare amici è come comprimere una miscela esplosiva. Più stai bene e più comprimi. Più comprimi più è esplosiva. Alla prima scintilla esplode. Ognuno viene lanciato via, distante, come una scheggia o un pezzo di stella. La compressione, l’amicizia, ricominciano con altra gente. Poi nuove esplosioni, altri proiettili umani, nuove bombe da innescare.


 

Così noi, e adesso siamo esplosi via. Il frammento Gigi a prendere per le trecce il suo sogno danese; Tito a caccia di lavoro e a cercare vipere; Andrea nella lotta continua del suo libro scritto a colpi di registratore. Intervista tutti, operai, disoccupati, leader, rotti in culo, fumati, bucomani. Naturalmente non finirà mai.


 

Infine io, scheggiato a fare il calciatore. Finalmente saprò; tra le tante paure sono contento: basta col fare il calciatore di compromesso, né calciatore né studente, né militante né cane sciolto, basta con la serie C, tra le zanzare mentali di Vercelli e il treno di Torino. Saprò fino a che punto valgo qualcosa nel calcio e saprò anche, prima paura, se venderò il culo ai condizionamenti. A parte il calcio giocato, viaggi, allenamenti, questo calcio professionistico mi ingoierà anche la testa? O riuscirò a fare la mia vita senza rotaie obbligate, come la voglio?


 

Questi i pensieri mentre la cinquecento fila (per modo di dire) verso Perugia, dieci ore di autostrada, di ricordi, di domande. Tutte le radici di Torino tagliate, chissà per quanto, quelle di Perugia che mi aspettano, chissà come. Chi troverò? I compagni di squadra saranno pallosi o simpatici, e l’allenatore Castagner farà abbastanza rima con Sollier?


 

L’Umbria verde, l’Umbria rossa, l’Umbria jazz è tutto quel che so. Aggiungiamo un po’ di San Francesco, Jacopone da Todi e i lupi di Gubbio. Mi sembra di andare ad abitare nella mia ignoranza.


 

Ci arrivo, Perugia incollinata sull’orizzonte, la mia casa cercata e trovata in un giorno. Sono proprio un emigrante di lusso.


 

Penso a quelli veri, scippati dalla loro terra, scaraventati in città piovra, guardati con sospetto, tagliati fuori, a dormire nelle cantine, nei sottoscala, alla stazione. Li ho visti coi miei occhi e mi sembrano ridicole queste scaglie di paura. È la vecchia abitudine di sentire più un’unghiata nella mia schiena che una picconata in quella di un altro.


 

Ritiro precampionato: l’incubo dei calciatori: venti, giorni per rificcare nei muscoli la forza, l’elasticità, la voglia di correre. Quella prima settimana dove ogni ora di sonno perso, ogni mangiata fuori regola, ogni scopata di troppo sono restituite a sudore e bestemmie. D’altra parte è l’unico ritiro che tutti accettano quasi volentieri; si fatica ma si riposa, ci si rompe le scatole ma il fisico si rimette insieme. È una regolata a tutte le viti spanate da un mese di vacanza. E poi serve tutto l’anno. È una medicina utile, buttata giù con le smorfie ma che funziona. Le smorfie poi dipendono da dove sei, che rapporto riesci ad avere con la gente del posto, se riesci a uscire dal cerchio della squadra; altrimenti a forza di vedere sempre le stesse facce cominciano i tilt e volano i coltelli.


 

Per noi c’è Norcia, posto democristiano di San Benedetto, ma anche di Brancaleone. E l’armata Brancaleone, sembra questo Perugia, quasi tutti nuovi, molti della serie C, l’altr’anno non retrocessi per un pelo. Ci guardiamo in faccia e sembriamo dirci: “Ma dove vogliamo andare?”.


 

Io vorrei andare da quella biondina, ma in definitiva sono sempre un po’ imbranato. Poi non è che mi caghi molto; devo aprire un fronte di lotta. Uno dei modi di conoscersi dei calciatori è la doccia. Vedersi i chitarrini. Chi ce l’ha grosso, chi piccolo, chi storto, chi circonciso. Poi l’assoluta mancanza di parentela tra l’aspetto fisico e l’uccello. Il tipo grassoccio che ce l’ha lungo e stretto, quell’altro affilato che ce l’ha piccolo e corto; il piccoletto col campanaccio e il superman col pisellino.


 

La figa è uno dei discorsi preferiti, insieme alla figa e alla figa. Tutte le battute sono per Zumbo, che ce l’ha abominevolmente grosso, allora chissà quali paradisi distribuisce in giro; oppure Sergio con la cappella a ombrellone che fa ombra su tutte. Naturalmente le tesi sessuali secondo cui le dimensioni del pene hanno un’importanza secondaria vengono rovesciate. L’amore è venduto a etti, le scopate si misurano a metri. Fa parte del ruolo dell’uomo famoso contro cui le donne vanno a spiaccicarsi come falene in una lampadina; e se le falene ci sono, ansiose di farsi toccare e infilare dai vitelli d’oro, logico che il discorso tenga. È idiota ma tiene. Tiene anche se a farlo è gente sposata, con figli. Mi chiedo ma in queste famiglie, con queste mogli, che rapporto c’è? Queste cazzate sulla donna come buco, le dicono anche a casa? Oppure doppia faccia, mariti perfetti in famiglia, scopatori da brivido fuori?


 

Oltretutto, le mogli dei calciatori sono sempre un oggetto (soggetto, pardon) misterioso: vivono di luce riflessa, li seguono quando vengono mercanteggiati, gli guardano i figli, li aspettano quando tornano dalle battaglie. È uno schema un po’ vecchiotto, che sta franando dappertutto. Quanto ci metterà da noi?


 

Castagner lascia abbastanza liberi, qualcuno la scopata di fretta riesce a rubarla, ma più che altro grosse, platoniche sedute sul monumento di San Benedetto, tre dita in culo al cielo, tre scalini in culo a noi. Si parla si ride si racconta. Questa squadra è simpatica, si sta bene. Marconcini dice che faremo un grosso campionato.


 

Io dico che questa bionda magrissima tutta spigoli mi piace proprio. È amica e sorella di due maghe. Una mi ha trovato la morte nella mano, una linea spezzata, poi la linea su e giù della fortuna, quella forte del carattere, ma disposto all’autocritica. Molta sensualità; e un’infedeltà chiara, totale, addirittura fedele. L’altra mi tira fuori un cadavere dagli occhi: “Hai avuto un grande amore finito male”. Io vorrei sapere chi non l’ha avuto. Ma lei, l’antimaga, mi piaceva proprio. Della razza senza seno, dove sembra di guardare in una piazza vuota, riposante ed eccitante insieme, come da destino.


 

Aveva un difetto però, scritto sul muro di voci che fa da manifesto nei paesi: piuttosto fascistella. E le ho detto che aveva la puzza al naso; e lei che no. E siamo restati lì, io senza cercarla per quella puzza, non al naso ma a tutto; lei, da buona destra, sulle sue, perché con tutte quelle bombe non gliene avanzano per me.


 

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