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Emanuele Atturo

La partita più pazza delle 12 e 30

Racconto di Cagliari-Frosinone 4-3.

Fra queste ultime, disperate propaggini d’estate la partita delle 12.30 si guarda come un rito del sonno; il vago stordimento di chi ha sballato il ciclo circadiano svegliandosi troppo tardi, forse l’ombra della bevuta della sera prima, un po’ di sana noia. È la partita meno invitante della Serie A, lo sanno anche le tv, che in quello slot ci ficcano sfide dal fascino di nicchia, a essere onesti. Sfide disperate fra squadre in difficoltà, o annoiate tra altre senza obiettivi. Tutto ciò che insomma è considerato uno scarto del famigerato “prodotto Serie A”. Partite che quasi si spera non vengano viste e che nemmeno i protagonisti vogliono giocare – Sarri ha definito quello delle 12.30 «un’orario del cazzo». Forse si è ancora troppo addormentati per giocare bene a calcio? Le partite delle 12.30 sembrano giocate tutte dalle stesse squadre, finire tutte zero a zero. Non passano nemmeno nelle compilation di highlights. Sfilano nella nebbia.

 

Siamo onesti, per uno spettatore neutrale c’erano davvero poche ragioni per prestare attenzione a Cagliari-Frosinone di ieri. L’abbiamo messa in sottofondo mentre stendevamo la pasta fresca, mentre si cuoceva la lasagna, mentre finiva di tirarsi il ragù. Mangiavamo qualche salatino, un pezzo di pane furtivo, un’oliva, e nel frattempo Soulé spiegava il calcio alla Unipol Arena, di fronte a una squadra che pareva allo sbaraglio, rassegnata alla retrocessione ancor prima del giorno dei morti. Com’era triste la stagione dei rossoblù: una sequenza di risultati sbiaditi, e la sensazione che non basta un tecnico magico per vivere una stagione magica. Come era stato particolarmente bello vedere Ranieri conquistare la salvezza lo scorso anno, in uno dei club a cui è più legato, è stato particolarmente triste vedere un inizio di stagione così sgonfio. 

 

Si sapeva che il Cagliari avrebbe avuto una stagione difficile. Forse però non così difficile. O almeno una stagione più battagliera, più emotiva, più intensa. Tre punti dopo nove partite, ultimo posto, frutto di tre pareggi, due dei quali per zero a zero. L’ultimo sfortunato contro la Salernitana, all’ultimo minuto.

 

Alla decima partita, dopo 70’, era sotto in casa 3 a 0 col Frosinone e il pensiero di tutti, in quel momento, era lo stesso: forse Claudio Ranieri ha perso il tocco, e a questo punto verrà esonerato.

 

Il Frosinone è stato promosso insieme al Cagliari e sembrava aver di fronte a una stagione ancora più difficile: senza la sua guida tecnica e alcuni dei giocatori chiave della promozione. Eusebio Di Francesco sembrava una scelta troppo azzardata per essere anche una scelta felice. Una squadra infarcita di parvenu delle serie inferiori, talenti fragilini, nomi francamente sconosciuti. Guidata da questo allenatore dalla fama maledetta.

 

Eppure tutto sta brillando nel nuovo Frosinone, mentre è tutto rotto e ammuffito nel nuovo Cagliari. Quando le cose vanno male nel calcio, lo sappiamo, possono sempre andare peggio. E così questa partita chiave per salvarsi era cominciata come peggio non poteva. Soulé aveva segnato con poco – una palla recuperata in alto da un errore di Dossena, un tiro secco sul primo palo. Il Cagliari si era guadagnato un rigore ma Mancosu – che ha una certa predisposizione al dramma se c’è da calciare un rigore – lo aveva tirato sulla traversa. Sulla respinta Jakub Jankto aveva tirato di testa sui cartelloni, accasciandosi poi al suolo in uno di quei momenti in cui lo sport mima l’arte rinascimentale. La botta psicologica era stata forte. Dieci minuti dopo i difensori del Cagliari si erano trasformati nei partner inconsapevoli della coreografia di Matias Soulé, che aveva dribblato Dossena con facilità imbarazzante prima di segnare il 2-0. Era sceso qualche secondo di silenzio, prima che la squadra venisse ricoperta dai fischi.

 

Altre due occasioni per il Cagliari prima dell’intervallo, un tiro masticato di Jankto fuori, un palo di Mancosu di testa.

 

Marco Mancosu è nato a Cagliari, è cresciuto nel Cagliari, ma è andato via da casa ormai quasi 15 anni fa, per cominciare una carriera complicata ed emozionante. Uno di quei giocatori a cui il calcio ha riservato un ruolo grande senza ragioni apparenti. A marzo del 2021 si è operato per un tumore. Su Instagram aveva scritto «La vita può non essere sempre giusta perché non penso che né io né nessun altro a questo mondo meriti di avere un tumore ma penso anche che non debba mai mancare il coraggio». Due mesi dopo era sul dischetto per calciare il rigore che valeva la finale playoff in Serie B. Anche in quel caso aveva tirato col corpo all’indietro, un rigore troppo alto, accompagnato dalle grida degli avversari di uno stadio vuoto per il Covid.

 

 

Il terzo gol del Frosinone era stato così bello da essere umiliante. Una costruzione dal basso coinvolgendo Turati per aggirare il primo pressing del Cagliari, poi uno sviluppo che dal centro arriva a sinistra; una grande densità da quel lato, con triangoli e scambi veloci nello stretto, un colpo di tacco di un Soulè in trance, poi Brescianini se la sposta sul sinistro e calcia con precisione assoluta sul secondo palo. 

 

Inquadrano Ranieri che ha la mano sulla bocca, come chi sta assistendo all’orrore. Quello è il momento in cui pensiamo che la sua esperienza al Cagliari forse finirà con quell’ingloriosa sconfitta contro il Frosinone, subita da Eusebio Di Francesco, l’allenatore che lui ha sostituito per due volte – alla Roma e alla Sampdoria – per salvare navi ormai quasi affondate. L’esonero non avrebbe certo scalfito la nobile aura che circonda Ranieri, ma a 72 anni si è a fine corsa. In quel momento si poteva pensare legittimamente che quella di ieri sarebbe stata la sua ultima panchina in Serie A.

 

Ranieri fa altri cambi. Rispetto al primo tempo ci sono Oristanio, Viola e Pavoletti. Monterisi intanto salva sulla linea un colpo di testa di Zappa. I giocatori del Cagliari si disperano come se fosse Dio in persona a volerli mandare in Serie B. «La porta sembrava stregata» ha detto Ranieri a fine partita, con un modo di dire adatto per questi giorni di halloween. È Oristanio a rompere questa maledizione con un gol stupendo, il primo con la maglia del Cagliari, un tiro sul secondo palo di interno sul lato lontano di quelli che segnava Thierry Henry. «Mi piacciono i giocatori molto rapidi, veloci con la palla al piede. Mi piace quello stile di giocatore» aveva detto presentandosi. Era sembrato un pulcino bagnato nelle prime partite di Serie A, tecnico, bello da vedere, ma con una preoccupante inefficacia negli ultimi metri. Eppure ce lo aspettavamo da lui un grande momento di luce come quello. La storia del calcio è piena di gol belli inutili ai fini del risultato. Che fine fanno questi gol, cosa pensano di loro chi li ha segnati? Come ricorda Daniele De Rossi il suo gol dell’1-7 in Manchester United-Roma?

 

Eusebio Di Francesco non ha vinto per 19 partite consecutive da allenatore di Serie A, su tre panchine diverse. Un record assoluto per la categoria, che lo ha fatto sembrare un appestato per qualche anno. Era come se quella favolosa rimonta ai quarti di Champions contro il Barcellona gli fosse costata una maledizione sulla sua carriera. In questo inizio di stagione è tornato però ai fasti di un calcio offensivo, brillante e aggiornato rispetto anche al proprio passato. A inizio carriera, quando allenava il Lecce e si presentava col pericoloso biglietto da visita di “zemaniano”, aveva perso 4-3 contro il Milan dopo essere stato in vantaggio per 3-0. È la celebre partita della tripletta di Boateng, delle grida furiose di Pellegatti. Chissà se Di Francesco ha ripensato a quella partita quando ha visto la sua squadra prendere quel bruttissimo gol da Makoumbou. Il Frosinone che palleggia da dietro e si addormenta provando a dimostrare calma. Manca un quarto d’ora ma l’inerzia mentale delle due squadre a quel punto va in due direzioni opposte, e tutto diventa una profezia auto-avverante. Il Frosinone forse comincia a credere di poter perdere con una tale forza che diventa impossibile che non succeda. Il Cagliari comincia a credere di poter fare altri gol, e se prima sembrava impossibile segnare ora sembra facilissimo. È una di quelle partite che rende palpabile il peso della dimensione mentale nel calcio, con una forza che di solito appartiene agli sport individuali, dove i flussi emotivi si incrociano più facilmente, più velocemente, e per questo le sfide possono cambiare in modo brusco e imprevedibile. Negli sport di squadra questi effetti sono diluiti, ma quando li vediamo all’opera è impressionante: vedere una squadra esaltarsi e l’altra spegnersi come fossero un corpo solo.

 

Eppure per un quarto d’ora non succede niente, e la partita sembra essere ripiombata nell’insignificanza. Poi diventa la giornata di Leonardo Pavoletti.

 

Pavoletti a Cagliari ha vissuto il momento migliore della propria carriera, prima di rompersi il legamento crociato e il menisco del ginocchio sinistro nel 2019. Non è stato più lo stesso, ma ha continuato a lottare con la maglia del Cagliari. Un anno e mezzo fa è stato cercato da diverse squadre, fra cui il Bari, a cui ha poi segnato il gol decisivo nella finale playoff, al 94’. Voleva rimanere a Cagliari, come inseguendo una specie di sesto senso epico, che il suo destino avrebbe dovuto ancora compiersi.

 

Nello stesso minuto Pavoletti segna, di testa, il gol del 3-3. Il colpo di testa è da sempre la sua specialità. All’inizio del 2018 questa sua supremazia aerea sulle difese avversarie pareva un fenomeno paranormale e ne avevamo scritto. È notevole di Pavoletti, almeno in quegli anni pre-infortunio, la leggerezza aerea che trovava in volo, paragonata alla legnosità del resto del suo gioco. Pavoletti è duro e pesante, ma quando colpisce di testa è lieve e aggraziato. Come se si trovasse effettivamente più a proprio agio coi piedi staccati da terra. Con la barba che rimanda a un’estetica 2017, Pavoletti esulta in modo definitivo. Non pensa che quella partita possa riservagli ulteriore felicità. Mancano 4 minuti di recupero.

 

A Cagliari Di Francesco aveva subito un’altra rimonta bruciante in carriera. Era sulla panchina della Roma e la sua squadra era in vantaggio di due gol fino a cinque minuti dalla fine. Aveva preso il gol del 2-2 all’ultimo minuto in modo comico, col Cagliari in nove. Un rinvio di Olsen era stato frenato a centrocampo dal tradizionale vento che spira su quella costa della Sardegna. Il Cagliari aveva segnato con una spazzata trasformata in filtrante che Sau aveva messo in porta. Panatta aveva definito Sau «un sorcio nero» e il Cagliari si era indignato, parlando di «offesa a tutti i sardi». Una telecamera impietosa aveva ripreso Di Francesco mentre rideva della crudeltà del calcio.

 

 

In questi finali ansiogeni i grandi colpitori di testa, custodi di un’arte perduta del calcio attuale, tornano decisivi. Ogni palla sputata nell’area del Frosinone, con dentro Pavoletti, può diventare un problema. C’è una letteratura dei suoi gol di testa all’ultimo minuto – questo per esempio lo ha segnato al Benevento. Makoumbou ha la palla al piede, è a 50 metri dalla porta. Alza la testa e vede tutti i suoi compagni in area; Viola si propone alla sua destra e può servirlo per provare un cross dall’esterno, in genere sempre più pericoloso. Viola ha un gran piede e avrebbe senso servirlo, invece Makambou decide di fare lui, mette una palla lenta verso Dossena, quello fa una sponda in area e Pavoletti è già scappato in modo fatale al suo marcatore e segna l’incredibile, sceneggiato, gol del 4-3, a sigillo del più pazzo dei match delle 12.30. Anche dalle immagini televisive, sembra che lo stadio tremi. Nessuno in Serie A era riuscito a vincere una partita in cui era sotto di 3 gol al 72’. Il Cagliari ha quindi segnato un gol ogni 6 minuti.

 

Ranieri a fine partita fatica a contenere la felicità. È una di quelle persone che sorride con gli occhi. In quel momento offre una descrizione vivida della sua squadra: «Questa è una squadra con un cuore grande» ha iniziato, ma poi non ha parlato solo di carattere, ma di “disperazione”, e di come questa disperazione possa affinare le capacità tecniche e tattiche del Cagliari: «Nel momento della disperazione comincia a giocare, a sapere come giocare. Come allargare il gioco, come fare gli uno contro uno. E magari sbaglia, ma sbaglia comunque con un altro piglio».

 

 

In un campionato in cui in fondo alla classifica basta poco per risollevarsi, il Cagliari riesce a staccarsi dall’ultimo posto, e forse abbraccia davvero l’identità pugnace che immaginavamo a inizio stagione. «Dobbiamo essere sfacciati come quando eravamo spacciati». Non si era mai vista una squadra di Ranieri senza grande carattere, e non ci sarà nemmeno quest’anno.

 

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Emanuele Atturo è nato a Roma (1988). Laureato in Semiotica, è caporedattore de l'Ultimo Uomo. Ha scritto "Roger Federer è esistito davvero" (66thand2nd, 2021).