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Andrea Lamperti
Il buono, il brutto, il cattivo del derby di Atene
27 mar 2024
27 mar 2024
Siamo stati al Pireo per la sfida tra Olympiacos e Panathinaikos di Eurolega.
(di)
Andrea Lamperti
(foto)
IMAGO / One Inch Productions
(foto) IMAGO / One Inch Productions
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Pireo, Atene. Ho raggiunto la destinazione, ma non serve l’avviso dall’altoparlante della metropolitana per capirlo. I binari dell’ultima tratta della Linea 1 corrono a cielo aperto, gli indizi che sia arrivato nella zona del famigerato porto, e non in un giorno qualunque, sono davanti ai miei occhi. Le acque del Golfo Saronico dominano l’orizzonte intervallate da enormi imbarcazioni mercantili, moli e gru; sulle due sponde della linea ferroviaria non posso non notare i due stadi dell’Olympiacos, da una parte il Georgios Karaiskakis per il calcio e dall’altra il Peace and Friendship destinato al basket. Disseminati un po’ ovunque, invece, i blindati della polizia e gli agenti in assetto antisommossa. È la mattina di uno dei giorni più attesi dell’anno nella capitale greca: quello del derby cestistico tra Olympiacos e Panathinaikos. Tra qualche ora la ventinovesima giornata di Eurolega proporrà il quarto atto stagionale del “Derby tra eterne rivali”, o la “Madre di tutte le battaglie”, come viene chiamato; espressioni belliche che sono senz’altro folkloristiche, ma anche piuttosto veritiere per una sfida riconosciuta in tutto il mondo per l’antagonismo e le tensioni che l’hanno contraddistinta. Una lotta identitaria più che sportiva, quasi teocratica, che oltre al basket e al calcio si estende a diverse altre discipline come pallavolo e pallanuoto, sia maschile sia femminile. Per intenderci: l’aura è quella delle stracittadine di Buenos Aires, Istanbul, Belgrado e pochi altri angoli di mondo in cui il concetto di rivalità sportiva è portato all’estremo. Il teatro della battaglia stavolta è un impianto dedicato alla pace e all’amicizia, almeno nominalmente. Avvicinandomi penso a quanto strida con il colpo d’occhio, che mi dice l’esatto opposto. Mancano diverse ore alla palla a due ed è nitida la percezione della “calma prima della tempesta”, non la solita espressione preconfezionata. Il fiume di tifosi vestiti in bianco-rosso è ancora impegnato, in borghese, nel proprio giovedì lavorativo, ma intorno al palazzetto non mancano uomini in divisa; e quel dispiego di forze dell’ordine mi fa pensare alle tante ostilità degli ultimi anni, di cui tutti abbiamo letto o visto qualcosa. I protagonisti, il più delle volte, sono stati i tifosi dei gruppi organizzati “Gate 7” e “Gate 13”: gli autori, al fianco dei giocatori dei rispettivi club, di pagine di storia – nel bene, cioè in senso sportivo, e nel male, quando l’odio è degenerato in serate, a volte addirittura nottate, di caos e violenza. Mi viene spiegato che le misure precauzionali stavolta sono dovute anche alle tempistiche straordinarie d’arrivo dei rivali. Per la prima volta da parecchio tempo, infatti, i giocatori e lo staff del Panathinaikos svolgono la sessione di allenamento pre-partita sul parquet del Peace and Friendship Stadium: non accadeva dal 2004, quando Kostas Sloukas (oggi capitano dei Verdi), Vasilis Spanoulis e Dimitris Diamantidis (ritirati) dovevano ancora vivere un derby, il Pana doveva ancora vincere tre dei suoi sei titoli in Eurolega, l’Olympiacos altri due, e Angela Merkel doveva ancora salvare il Paese dal fallimento. Una vita fa, insomma. Pur essendo a mezz’ora dal centro di Atene, quella al Pireo – e viceversa, ad OAKA – è sensorialmente la trasferta più estrema della stagione, tra accoglienza ostile, flashback del passato e divieto ai propri tifosi, per ovvie ragioni, di seguire la squadra. L’incontrastato duopolio nel campionato locale – oltre 50 titoli combinati, con un solo successo di un’altra squadra negli ultimi trent’anni – ha dato vita a una lista in perpetuo aggiornamento di scontri nelle finali nazionali. Solo negli ultimi mesi, ad esempio, è successo in campionato, Coppa e Supercoppa di Grecia. Stavolta, invece, non c’è in palio un trofeo, ma due punti piuttosto pesanti in ambito europeo. Rispettivamente quarta e quinta in Eurolega, dove avanzano direttamente ai playoff le prime sei, Panathinaikos e Olympiacos sono separate da due soli punti e seguite a stretto giro da Fenerbahce, Monaco, Maccabi Tel Aviv e Virtus Bologna. Il tutto, reduci da un periodo particolarmente teso tra i due club e le rispettive tifoserie – sì, anche per gli elevati standard locali. Antefatti Come ogni rivalità che si rispetti, anche quella tra Olympiacos e Panathinaikos ha connotati storici, sociali e culturali, pur sbiaditi nel tempo dalla tendenza omogeneizzante delle moderne metropoli. Tradizionalmente i bianco-rossi rappresentano la middle class, il riscatto dei mercanti e degli operai del Pireo, comune separato amministrativamente da Atene, ma de facto una sua estensione. In contrapposizione al Pana, la squadra dell’alta società e delle classi più abbienti, presunte depositarie dei valori dell’Antica Grecia. Così l’Olympiacos è diventato il vessillo degli oppressi, degli emarginati e di chiunque si sentisse vittima delle ingiustizie sociali che i rivali del Panathinaikos ben rappresentavano, almeno ai loro occhi. Anche da queste parti, però, il tempo scorre - panta rhei, d’altronde - e il discrimine sociale si è ridimensionato fino a sparire. Quello che era il grande porto dell’Attica già nel V secolo a.C. oggi è uno scalo della Belt and Road Initiative (la nuova via della seta); quella che era una lotta di classe oggi si è trasformata in una trasversale rivalità cittadina. Ciò che è rimasto intatto è il carico emotivo: la passione, la fedeltà, l’astio. Negli anni ‘90 lo scontro è sbarcato sul palcoscenico continentale, con qualche sfida di Eurolega – vinta nove volte dai due club tra il 1996 e il 2013 – passata alla storia della competizione. Inevitabilmente la suggestiva cornice di queste sfide ha calamitato le attenzioni del mondo cestistico, e basta un rapido sguardo ai precedenti di quegli anni per avere un’idea dell’incidenza del fattore ambientale.

Una trasferta ben più lontana da casa di quanto non dica la geografia.

Non serve andare tanto indietro, però, per dare una spolverata agli episodi più eclatanti – non in senso sportivo – verificatisi tra le “eterne rivali”. La finale della stagione 2009-10, ad esempio, si è conclusa con una delle pagine più nere della storia cestistica ateniese, non per niente ribattezzata “la notte della vergogna”. Iniziamo da qui l’avvicinamento al derby di Eurolega in arrivo. L’aria era particolarmente pesante quella sera, a quarantotto ore di distanza da una gara-3 conclusa in un fiume di polemiche, alimentate dalla dirigenza dell'Olympiacos per via di un arbitraggio definito “ostile”. Con il Panathinaikos avanti 2-1 nella serie, quindi con il championship point sulla racchetta, al Pireo nessuno sembrava disposto ad assistere alla festa degli odiati rivali, quale che fosse il prezzo da pagare per scongiurarla. Già nel pre-partita c’erano state le prime avvisaglie, con l’irruzione nel Peace and Friendship di oltre duecento individui senza biglietto, gli scontri con le forze dell’ordine (costrette all’utilizzo di gas lacrimogeno) e la pioggia di oggetti e petardi nella metà campo in cui il Pana stava svolgendo il riscaldamento, interrotto a più riprese. Alle 22:30, dopo una serie di rinvii, veniva finalmente alzata la palla a due, e il primo tempo era filato tutto sommato liscio. Il parziale degli ospiti nel terzo quarto, però, era il preludio del caos più totale. Dopo un’altra pioggia di bottiglie, mazzi di chiavi, seggiolini e bombe carta verso la panchina del Pana (una delle quali a pochi passi da Zeljko Obradović, coach dei verdi), gli ufficiali di gara erano stati costretti a sospendere la sfida e disporre l’evacuazione del palazzo. Era quasi l’una di notte quando la terna arbitrale tentò coraggiosamente di ripartire, nonostante gli scontri stessero proseguendo all’esterno del palazzo e l’aria fosse tutt’altro che distesa. Poco sorprendentemente, con il Pana sul +7 a un minuto abbondante dal termine, sul campo atterrava un altro razzo: sospensione definitiva e vittoria a tavolino degli ospiti, con l’orologio che segnava l’1:45. Non troppo diverso da quanto accaduto tre anni più tardi, sempre al Pireo, in occasione di un altro derby refertato 0-20 a tavolino. E sempre nel 2013 in una partita di coppa, in campo neutro, in cui non era stato sufficiente usare praticamente l’intero palazzo come cuscinetto tra le due tifoserie. A farne le spese era stato Kyle Hines, colpito alla testa da uno dei razzi lanciati dal settore del Pana. O ancora: nel 2015, quando ad OAKA l’odiato ex Spanoulis aveva provocato i tifosi di casa e poco più tardi si era ritrovato costretto, insieme ai compagni, a fuggire di corsa negli spogliatoi per poi farsi scortare a casa dalla polizia. Oppure nella serie finale del 2017, con un’altra precipitosa ritirata. L’apice delle tensioni – ma anche dell’assurdo – si è raggiunto però nella Coppa di Grecia del 2019, origine di una serie abbastanza surreale di eventi che si concluderà con una serie-fantasma di playoff e la retrocessione dell’Olympiacos in seconda categoria. La prima tessera del domino è la scelta dei bianco-rossi di non fare ritorno in campo dopo il primo tempo di una semifinale che il Panathinaikos stava dominando (40-25). Dopo venti minuti che a detta di un dirigente dell’Olympiacos erano stati “una farsa disgustosa”, sempre per colpa degli arbitri. La replica del Panathinaikos si può dire che non abbia contribuito a sedare gli animi: prima l’intimo femminile (colore rosso ovviamente) appoggiato sulla panchina avversaria dal proprietario Dimitris Giannakopoulos (!), poi il tweet dell’account ufficiale: “Qualcuno li ha visti? Li stiamo ancora cercando”. Nelle ore successive arrivavano, nell’ordine, l’ufficialità del 20-0 a tavolino e un singolare comunicato dal Pireo: la squadra si sarebbe rifiutata di giocare partite dirette da uno o più degli arbitri in campo il giorno prima, con allegata pretesa di avere una direzione internazionale nei derby dei mesi successivi. Il climax di tensione è continuato durante le ultime settimane di stagione regolare, in cui entrambe le squadre peraltro si sono rifiutate di giocare una partita ciascuna (ormai potete immaginare il motivo), incorrendo in una penalizzazione in classifica. E così, proprio per quei punti sottratti all’ultimo, Olympiacos (terza) e Panathinaikos (sesta) si sono incrociate in un primo turno di playoff a dir poco inedito. Cosa mai sarebbe potuto andare storto? La risposta è ovvia ed è: tutto. Dopo la designazione per gara-1 degli arbitri Anastopoulos e Manos, due nomi presenti in quella blacklist, si è passati dalle parole ai fatti: l’Olympiacos non è sceso in campo per protesta, andando incontro all’automatica estromissione dai playoff e a una clamorosa retrocessione in A2. Ed è così che il Pireo si è ritrovato per un anno e mezzo, causa pandemia, un “Development Team” a livello nazionale e una prima squadra – guidata da capitan Spanoulis – regolarmente iscritta all’Eurolega: una situazione ai limiti dell’inverosimile. Si arriva alla finale della scorsa stagione, in cui i ruoli si sono ribaltati ma la sostanza è rimasta più o meno la stessa: Panathinaikos spalle al muro, sotto 1-2 dopo una larga sconfitta al Pireo (75-52), championship point per l’Olympiacos ad OAKA. L’epilogo appariva ampiamente scritto quando nel terzo periodo i ragazzi di coach Bartzokas, tormentato dai laser tutta la sera, conducevano 35-63 e si preparavano a festeggiare il 14° titolo nazionale. Uno scenario sgradito, per così dire, a chi già nel primo tempo aveva causato qualche disordine e a quel punto avrebbe scatenato l’inferno. Ed ecco l’ennesima pioggia di seggiolini, petardi, bombe d’acqua e fumogeni verso la panchina ospite, i soliti appelli inascoltati dagli altoparlanti, e quindi la sospensione della gara, l’evacuazione del pubblico (Giannīs Antetokounmpo incluso), gli scontri con la polizia e la vittoria a tavolino dell’Olympiacos. Il sipario non cala letteralmente mai ad Atene, e a surriscaldare ulteriormente gli animi in estate ci ha pensato Sloukas, che dopo un trascorso decennale in bianco-rosso ha firmato da free agent per il Panathinaikos. Una mossa che a parti inverse ha ricordato “The Decision” (anche quella nel 2010) di Spanoulis, accompagnata dalla spiegazione dello stesso Sloukas, che ha parlato di una divergenza di vedute con Bartzokas. Pochi giorni dopo aver interrotto le trattative con l’Olympiacos, ha firmato un contratto triennale da 10 milioni di euro per sbarcare alla corte di coach Ataman, con la veste di capitano. Il suo debutto è arrivato in una Supercoppa amara per il Panathinaikos, come racconta il 75-51 incassato in finale per mano, ovviamente, dell'Olympiacos (37-11 all’intervallo). Un’altra manciata di derby – due in campionato vinti dal Panathinaikos, sconfitto però in finale di Coppa di Grecia e in Eurolega – e si arriva al nostro derby, il numero 99 di sempre. Al bello di questa storia insomma, perché se finora ho tratteggiato la “Madre di tutte le battaglie” anche attraverso i suoi risvolti negativi, quando non ci sono "intoppi" vivere un derby di Atene è davvero un’esperienza da brividi.

Come si suol dire: "no lies detected".

Dentro il derby Quando le squadre entrano in campo per la routine pre-gara, il “Gate 7” – che deve il nome alla corrispondente porta d’accesso, la numero sette appunto – è già gremito di tifosi. Avvicinandosi alla palla a due, poi, si riempiono tutti gli altri settori, fino all’ovvio soldout, circa 12.000 persone. Mi sembrano il doppio, e alla luce di tutto quello che ho letto capisco bene il perché delle reti e protezioni che separano il campo e le panchine dalla curva dell’Olympiacos.

A bordo campo c’è anche Giannakopoulos, per la prima volta ammesso al Pireo dopo l’incidente del 2019. A partire forte è proprio il suo Panathinaikos, ispirato da Mitoglou, Grant e le prime due triple nella serata di Kendrick Nunn (chiuderà con 4/5), complici anche le difficoltà offensive dei padroni di casa (7 punti in 10 minuti). Il Pireo è chiassoso (molto), nervoso (di più), ma i decibel non sono ancora esplosi. Nelle file che separano il campo dall’area stampa c’è ancora chi rimane seduto dopo un canestro dell’Olympiacos, e rimango abbastanza stupito dell’accoglienza riservata a Sloukas, relativamente fredda. Ma è solo una questione di tempo. A trascinare il popolo bianco-rosso in partita è Moses Wright, con la sua energia contagiosa e soprattutto con 11 punti in una manciata di minuti che riportano i suoi a contatto. Non passa molto dal suo ingresso in campo, nel secondo quarto, perché si faccia largo la sensazione che alla fine ricorderemo questo come il derby di Moses Wright. Sarà sua, in effetti, la giocata più spettacolare della partita, nel quarto periodo, una virata con schiacciata a due mani sulla testa di Mathias Lessort; poi, il canestro da rimbalzo offensivo che ha definitivamente orientato le sorti della gara, a 30 secondi dalla sirena. Il tabellino riporta 19 punti (suo massimo in carriera) senza errori al tiro (9/9): un impatto davvero clamoroso per il centro di riserva di Bartzokas, peraltro in appena 15 minuti di impiego. Se avere a pochi passi il centro titolare dell’Olympiacos, Moustapha Fall (218 centimetri di altezza, 230 di apertura alare e circa 125 chili), mi ha fatto riconsiderare ogni idea di grandezza, l’exploit di Wright mi ha lasciato travolgere dall’onda d’urto del Pireo. La primissima giocata del numero due, appena entrato, è una palla rubata e schiacciata in contropiede: la sequenza che sembra sciogliere la tensione e mettere in partita il Peace and Friendship. A posteriori, è un passaggio che ha un prima e un dopo nella storia della serata, e che alza la temperatura sugli spalti quanto in campo; arrivano due falli tecnici ravvicinati, un passaggio a vuoto del Pana e da quel momento l’inerzia della gara cambia irreversibilmente direzione. Il grafico qui sotto (in rosso i primi due punti di Wright) lo riassume piuttosto bene.

Fonte: euroleaguebasketball.net

Con l’accendersi di Wright si infiamma anche il Pireo. E quando Alec Peters confeziona l’allungo dell’Olympiacos a inizio terzo quarto, si trasforma nella proverbiale bolgia. Viene definito “l’inferno”, ma sportivamente parlando somiglia più al paradiso: la partecipazione dei 12.000 – rigorosamente ai propri posti a inizio terzo quarto, non siamo a South Beach – è assordante, e dopo ogni giocata dei padroni di casa si amplifica esponenzialmente.

Nei momenti migliori dell’Olympiacos guardo gli spalti e potrei contare sulle dita di una mano le persone sedute al proprio posto. Uno di quei frangenti è nel finale, quando Sloukas butta via un possesso in modo per lui inusuale, palleggiandosi sul piede: potete immaginare la cascata di affetto riservata all’ex nel paio di minuti successivi. Durante un timeout mi sento quasi in difetto per il solo fatto di non capire i cori che partono dal “Gate 7” – al di là di quelli per Sloukas, per cui non serve molta immaginazione – e che in un amen avvolgono l’intero palazzo. Avete presente quando andate a un concerto e non conoscete le canzoni dell’ultimo album? Dopo la partita mi resterà la curiosità, soddisfatta facendomi aiutare dall'Olympiacos Twitter (ευχαριστώ @kost157 e grazie @ohmyramsey). Per buon costume è meglio condividerne solo qualcuno, e mi servirà comunque l’ausilio di un * per evitare le tante F-word presenti nella traduzione in inglese che mi è stata suggerita. Per il resto, questo è il Pireo:

«“Thryle” (come è chiamato l’Olympiacos dai suoi tifosi, letteralmente “Leggenda” nda) gioca duro, gioca senza paura, e i tuoi tifosi canteranno sempre per te, oe oe oe...».

Mi è stato suggerito di evitare la traduzione e mi fido (qui la suggestiva prospettiva dell'area stampa)

«Vodoo-voodoo, la magia rossa vi * tutti e andremo in Germania!» (Le Final Four di Eurolega si giocheranno tra due mesi a Berlino).

«Mettete in campo "Kostaki" (diminutivo di Kostas, riferito a Sloukas, per non perderlo di vista neanche quando è in panchina nda), tutto il Pireo sta aspettando solo di *!».

«Oe oe oe, oe oe oe, Panathinaike, ti * ogni volta, ti * ogni volta!»

In effetti è successo anche stavolta, la sesta consecutiva in Eurolega, valida per l’aggancio in classifica a quota 36. Per me, è la classica serata che vorresti non finisse mai, mentre noto con sorpresa una certa fretta nell’abbandono degli spalti. Uscendo dal Peace and Friendship, però, unisco i puntini: l’Olympiacos FC, quello calcistico, ha appena segnato lo 0-2 nella gara di ritorno di Conference League contro il Maccabi Tel Aviv, e a questo punto ribaltare l’1-4 dell’andata non è più impossibile. I bar davanti al Pireo sono pieni di gente, evidentemente non stufa di tifare (rumorosamente) bianco-rosso. Mentre sto partendo in metropolitana, sento l’ennesimo boato della serata: mi spoilera il gol dello 0-3, che sbircio dallo smartphone del ragazzo seduto davanti a me. Finirà 1-6, e sogni d’oro, Pireo.

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