Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Le buone e le cattive notizie dal nuovo accordo sui diritti TV
02 nov 2023
02 nov 2023
Saranno ancora Sky e DAZN a trasmettere il campionato italiano.
(articolo)
12 min
(copertina)
IMAGO / Uk Sports Pics Ltd
(copertina) IMAGO / Uk Sports Pics Ltd
Dark mode
(ON)

«Ci siamo fatti fregare di nuovo», dice Aurelio De Laurentiis, lasciando in anticipo la riunione della Lega di Serie A. È stato appena deciso, dopo cinque mesi di trattative, di accettare le offerte di DAZN e Sky per la cessione dei diritti televisivi del campionato italiano per il quinquennio 2024-2029. Un déjà vu che ricorda un episodio simbolico della litigiosità del nostro calcio: nel 2011 il presidente del Napoli aveva abbandonato la presentazione dei calendari della Serie A, chiedendo un passaggio in moto a uno sconosciuto incontrato per caso fuori dagli studi televisivi di Sky. All’epoca De Laurentiis riteneva la sua squadra penalizzata da un calendario che non teneva conto a sufficienza degli impegni nelle coppe europee. Stavolta si è invece convinto che i 900 milioni a stagione garantiti delle televisioni per i prossimi cinque anni ai club non rappresentino un grande affare. Non solo per il Napoli, ma anche per tutto il resto del campionato.

A decidere, però, è la maggioranza, dove alla fine si ritrova sempre (o quasi) il presidente della Lazio, Claudio Lotito, da anni politico sportivo molto ascoltato e adesso anche senatore attivissimo nel perorare le cause del calcio in Parlamento. Per esempio, con la nuova legge contro la pirateria richiesta con insistenza dalle televisioni ed entrata in vigore lo scorso agosto.

Servivano 14 voti favorevoli delle attuali società di Serie A per assegnare a DAZN e Sky i nuovi diritti tv, per la prima volta nella storia ceduti per cinque anni. Per farlo ci è voluta l’ennesima modifica della legge “Melandri” del 2008 che disciplina la partita più importante a livello economico del sistema calcio italiano, le vendita dei diritti TV per l'appunto, che hanno un’incidenza superiore al 50% dei ricavi complessivi delle società. Il 23 ottobre scadevano le offerte delle due emittenti televisive rimaste in gara dopo un tentativo andato a vuoto di Mediaset per trasmettere un match in chiaro in ogni giornata di campionato. I presidenti non se la sono sentita di imboccare l’unica strada alternativa su cui discutono da anni, senza crederci però fino in fondo: la creazione di un canale televisivo gestito direttamente dalla Lega e da sviluppare attraverso i finanziamenti offerti dai fondi d’investimento (Oaktree, Searchlight, Apollo, Relevent più la cordata Apax-Carlyle-Three Hills) e dalle banche d’affari (Jp Morgan, Rothschild, Lazard, Barclays, Citibank, Raine e Jefferies).

Non si conoscono la concretezza e i numeri reali di queste proposte, perché le buste contenenti le offerte di fondi e banche non sono state aperte, ma la direzione scelta dalla Lega di Serie A, con 17 voti favorevoli, il “no” di Salernitana e Cagliari e l’astensione del Napoli, è chiara: accontentarsi di guadagnare più o meno gli stessi soldi dell’ultimo triennio, garantire stabilità al sistema e non affrontare i rischi connessi a un progetto indefinito e a un mercato globale pieno di incertezze.

Stavolta, però, l’apertura del canale gestito direttamente dalla Lega è stata quantomeno un’idea concreta. Dal 2021 esiste la struttura che avrebbe ospitato la TV della Serie A: si tratta dell’International Broadcasting Center di Lissone, che ospita la centrale unica per il VAR e i giornalisti che collaborano con la Lega per la produzione degli highlights distribuiti in Italia e all’estero. Grazie al supporto finanziario dei fondi d’investimento si poteva quindi partire e sino all’ultimo alcune società, come Milan e Juventus, hanno seriamente pensato di rifiutare le offerte di Dazn e Sky. Alla fine, però, hanno fatto marcia indietro. Nel frattempo tutti gli altri club si erano via via accodati al “partito della prudenza” capitanato da Lotito. Del progetto di una canale della Lega rimane in piedi solo la radio-tv ufficiale del campionato, trasmessa a partire da questa stagione sulle frequenze di RDS. Dall’anno prossimo la versione video del canale si potrà vedere esclusivamente sulla piattaforma di DAZN, mentre la radio continuerà a trasmettere sul digitale terrestre (DAB) di RDS.

Come sua consuetudine il sistema calcio italiano ha preferito quindi conservare il presente piuttosto che garantirsi un futuro più ambizioso. Con il contratto quinquennale garantito da DAZN e Sky, ora le società di Serie A potranno ricevere nuovi prestiti dalle banche e ottenere liquidità in anticipo rispetto ai pagamenti previsti dalle rate dei diritti televisivi, impegnandosi ovviamente a restituire quei soldi con gli interessi. Non la migliore forma di progettualità, ma è così che vanno le cose da anni per la maggioranza dei club (non solo italiani, a dire la verità), quasi tutti indebitati.

«Il calcio italiano morirà, è una sconfitta. Fare un accordo per cinque anni è una sciocchezza, il nostro sogno lo abbiamo messo nel cassetto. DAZN e Sky non sono competenti e non fanno bene al nostro sistema», ha dichiarato il deluso De Laurentiis ai giornalisti in sala stampa dopo aver abbandonato la riunione prima delle votazioni. Ma la battaglia, ormai, era finita.

L’amministratore delegato della Lega, Luigi De Siervo, ha invece definito “eccellente” l’accordo raggiunto con le emittenti e ha colto l’occasione per lanciare un altro messaggio al governo: «Fosse per noi aboliremmo la legge Melandri perché è l'unica legge al mondo che disciplina il mondo del calcio, è ormai superata e ci penalizza». La norma stabilisce ad esempio le modalità di spartizione dei soldi che la Serie A incassa dalle televisioni. C’è una quota uguale assegnata a tutte le società, mentre il resto viene distribuito tenendo conto dei risultati ottenuti negli ultimi campionati, dell’audience televisiva delle singole squadre e dal numero di spettatori presenti negli stadi. Dall’ammontare complessivo viene sottratta una quota del 10%, che viene divisa tra Serie B, Serie C, Dilettanti e FIGC.

DAZN continuerà a trasmettere fino al 2029 tutte le partite del campionato sulla sua discussa piattaforma streaming, il cui funzionamento si scontra con i limiti strutturali della rete italiana. Il nuovo orizzonte quinquennale consente all’emittente con base a Londra di mettere in piedi una strategia per aumentare gli abbonamenti e migliorare i suoi bilanci nel medio periodo. Stando agli ultimi dati diffusi, il gruppo ha perso 5 miliardi di dollari in sei anni a livello globale e non si può escludere che nei piani futuri si consideri anche la cessione della piattaforma a uno dei colossi mondiali dello streaming come Amazon, Netflix o il duo Warner-Discovery.

Intanto la novità per DAZN Italia è rappresentata dalla possibilità di offrire cinque partite in chiaro del campionato in ogni stagione come strumento promozionale per ottenere nuovi abbonati. Il pacchetto “Try and buy” rientra in un piano complessivo che vede la piattaforma streaming diventare una sorta di socia in affari della Lega. Oltre ai 700 milioni di base previsti dal nuovo contratto, alle società di Serie A spetterà infatti il 50% del fatturato di DAZN relativo agli abbonamenti (quindi esclusa la pubblicità) eccedente i 750 milioni. Quindi, se ad esempio Dazn registrerà 850 milioni di ricavi vendendo i suoi pacchetti, la Lega incasserà altri 50 milioni all’anno.

Succederà? Una risposta non c’è perché manca innanzitutto la base di partenza. L’unica società del gruppo DAZN con sede in Italia gestisce solo servizi di marketing e non sono mai stati comunicati i dati relativi al fatturato e al numero di abbonati italiani. Secondo alcune stime gli abbonamenti attuali sarebbero circa un milione e mezzo e frutterebbero tra i 600 e i 700 milioni di euro. Numeri che finora non hanno ripagato l’investimento e hanno costretto DAZN ad aumentare i prezzi e a limitare la divisione di uno stesso abbonamento fra due persone. Dalle nuove politiche commerciali, quindi, passerà l’effettiva riuscita del piano condiviso con la Lega.

Tornando ai diritti TV e al loro acquisto bisogna ricordare che le cifre che vengono comunicate rappresentano sempre una media delle condizioni previste dai contratti pluriennali dei diritti tv. Ad esempio, per il triennio che si chiuderà il prossimo giugno, DAZN e Sky pagano alla Serie A una media di 927,35 milioni di euro a stagione. Ripartendo da una base di 900 milioni si può quindi dire che il campionato italiano, dopo una lieve crescita negli ultimi anni, compierà un passo indietro e tornerà ai valori del periodo 2015-2021.

Sky ha deciso di investire 1 miliardo complessivo per continuare a trasmettere tre partite in co-esclusiva in ogni turno di campionato per i prossimi cinque anni (circa 200 milioni a stagione), aumentando il suo impegno rispetto agli 87,5 milioni di media versati nel triennio in scadenza a giugno. La chiave in questo caso è rappresentata da una migliore possibilità di scelta delle tre partite assegnate. A parte le prime quattro giornate di campionato e le prime quattro dell’anno solare (i periodi in cui si sottoscrivono più abbonamenti), nei restanti 30 turni Sky potrà infatti selezionare la seconda gara più importante e non più la terza come avviene ora, oltre alla possibilità di trasmettere quattro big-match sui venti previsti in ogni campionato, usufruendo anche in questo caso di una possibilità di scelta migliore.

Dopo aver ceduto a DAZN il ruolo di prima emittente della Serie A, negli ultimi anni Sky ha concentrato i suoi investimenti sulla Champions League e le altre due coppe europee, che continuerà a trasmettere fino al 2027 in esclusiva fatta eccezione per le 18 partite di Champions a stagione assegnate ad Amazon Prime. Completando la sua offerta con la Premier League e il meglio degli altri sport (dal basket NBA ai principali tornei di tennis), la televisione controllata dal gruppo Comcast è riuscita a tamponare la perdita di abbonati. Restare con un piede dentro il campionato italiano consente a Sky di conservare una quota di mercato e di non rischiare di perdere completamente gli abbonati-tifosi di una delle squadre principali quando non giocano la Champions, come la Juventus quest’anno.

Al di là delle variabili contrattuali, si può già dire che nei prossimi anni il valore del calcio italiano resterà molto distante dall’irraggiungibile Premier League, considerata ormai una realtà a sé. Il calcio inglese può infatti contare su incassi televisivi da oltre 3 miliardi di euro a stagione se si sommano anche i diritti TV venduti all'estero. In Inghilterra si apprestano a vendere i diritti TV domestici per il prossimo quadriennio, la Liga spagnola viaggia intorno ai 2 miliardi l’anno conteggiando i soldi incassati dalle emittenti estere, e anche la Bundesliga tedesca sa valorizzare il suo torneo meglio della Serie A, con ricavi complessivi da circa 1 miliardo e mezzo di euro.

Il calcio italiano continua a inseguire, anche perché poco propenso all’apertura verso nuove forme di finanziamento. Da anni si riflette sulle opportunità offerte di volta in volta da diversi fondi d’investimento ma, per un motivo o l’altro, non si trova mai una quadra all’interno della Lega. Dei 22 miliardi di euro complessivi investiti dai fondi di private equity nell’industria calcistica mondiale secondo una stima del Sole 24 Ore, solo 1,86 miliardi sono finiti nelle casse dei club italiani. Si tratta delle operazioni che riguardano Milan (Red Bird dopo Elliott), Atalanta (Bain Capital), Inter (Lion Rock dopo il prestito di Oaktree) e Genoa (777 Partners).

La differenza, come spesso accade nel nostro Paese, è che mentre qui si pensa caso per caso, negli altri campionati si riesce a ragionare da sistema. Il fondo britannico CVC, per esempio, ha garantito 2 miliardi di dollari alla Liga spagnola in cambio dell’8% dei ricavi dalla vendita dei diritti TV del campionato per i prossimi cinquanta anni (un accordo per la verità molto contestato da Real Madrid e Barcellona), e verserà un altro miliardo e mezzo alla Ligue 1 per ottenere il 13% delle quote della nuova società che commercializzerà i diritti del campionato francese. Al Psg spetteranno circa 200 milioni complessivi di questo contratto, Marsiglia e Lione prenderanno 90 milioni a testa, Nizza, Rennes, Monaco e Lille 80, i restanti club incasseranno circa 33 milioni ognuno. Difficile immaginare i vari De Laurentiis, Lotito e Cairo mettersi a un tavolo per raggiungere un accordo simile.

Ora la Lega italiana conta di colmare una parte del gap con la concorrenza attraverso la commercializzazione dei diritti TV all’estero. Ci sono in ballo una serie di rinnovi di contratto con il mercato americano e asiatico, e solo quando si chiuderanno queste trattative si potranno stabilire i nuovi reali ordini di grandezza fra i principali tornei europei.

Nel frattempo sono stati assegnati di nuovo a Mediaset i diritti del triennio 2024-2027 per la Coppa Italia e la nuova Supercoppa Italiana con la formula a quattro squadre. Mediaset pagherà una media di 56 milioni di euro all’anno, contro i 62 milioni richiesti nel bando della Lega, e si accollerà 2 milioni di costi fissi per la trasmissione delle partite. Anche in questo caso il Napoli di De Laurentiis si è opposto all’assegnazione, seguito però solo dalla Fiorentina. La Rai è rimasta ancora fuori dai giochi.

Un altro terreno su cui la Lega sta lavorando sono i cosiddetti “Betting Data” che vengono venduti alle agenzie di scommesse. Si tratta dei diritti sui dati statistici e di streaming per le piattaforme di scommesse sportive messi a bando per il quinquennio 2024-2029. Non si capisce, però, quanto possano fare la differenza.

Il valore dei diritti TV, lo sappiamo, dipende principalmente dalla qualità del prodotto, che nel calcio italiano è ostacolata soprattutto dalla mancanza cronica di investimenti sui nuovi stadi. Le partite della Serie A, soprattutto per via degli impianti fatiscenti in cui vengono giocate, sembrano provenire da un altro decennio, e su questo è difficile dar torto a De Laurentiis. L'Italia è il Paese in cui si investe sulle infrastrutture solo in occasione dei grandi eventi e in questo senso la candidatura agli Europei sarebbe potuta essere un'opportunità. Alla fine, però, l'Italia ha deciso di fare squadra con la Turchia proprio per via dell'incertezza riguardo all'offerta di impianti della propria candidatura. Come sappiamo, i progetti di nuovi stadi di proprietà non mancano, da Roma a Milano, ma procedono a rilento e nessuno sa se arriveranno davvero in porto. Almeno a parole, la politica, la federazione e la Lega sono tutti d’accordo sull’idea di nominare un commissario nazionale che gestisca un piano unico, idea che può avere senso solo in un Paese che deve andare oltre l'ordinarietà per funzionare in maniera normale. Difficile che sarà davvero la volta buona, ma come si dice: la speranza è l'ultima a morire.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura