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Illustrazione di Daniel Sansavini
NBA Redazione 14 gennaio 2014 8'

Buckets, vol.2: DeMarcus Cousins

Il secondo numero della serie di fanzine cestistiche realizzate insieme a Rivista Ufficiale NBA è dedicato a DeMarcus Cousins. Aka DMC, aka Boogie, aka Big Cous, quello da 24 punti/12 rimbalzi a partita, il centro dei Sacramento Kings, l’incrocio tra Hakeem Olajuwon e Charles Barkley.

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DMC: CREATIVITÀ ESPLOSIVA

(ovvero: un incrocio genetico tra Hakeem Olajuwon e Charles Barkley)

di Alessio Marchionna (@alessiomarchio)

Tiro da tre di Gordon Hayward dall’angolo, sul ferro. Rimbalzo di Chuck Hayes, apertura per il compagno con il numero 15 sulla linea dei tre punti. Un palleggio, due palleggi con la destra. All’altezza dell’altra linea dei tre punti, ad aspettarlo, c’è Jamaal Tinsley – 191 centimetri per 83 chili, playmaker. Da dietro Hayward – 203 centimetri per 93 chili, ala piccola – torna sul numero 15, quasi gli si attacca al braccio per fermarlo. Il numero 15 – 211 centimetri per 132 chili, centro – li salta in scioltezza con un palleggio dietro la schiena, passando in mezzo. Altro palleggio con la sinistra, terzo tempo, sottomano, canestro. La prima giocata che mi viene in mente di DeMarcus Cousins è questo coast to coast contro i Jazz di due anni fa. Ricordo di aver pensato: “Un piccolo intrappolato nel corpo di un ragazzone sovradimensionato”. Non tanto per la padronanza del palleggio in contropiede: la cosa che mi stupiva di più era che nel momento in cui Gordon Hayward si alzava per tirare, “Big Cous” fosse già pronto a prendere l’apertura e a partire in contropiede, segno di un’evidente vocazione da piccolo (certo: il centro che non va a rimbalzo entra senza dubbio nella top 3 delle cose che fanno più incazzare un allenatore, ma questa è un’altra storia). Poi ho osservato attentamente il suo gioco sotto canestro, e ho pensato: “Somiglia parecchio a Shaq”. La stessa spin move spalle a canestro che lascia piantato il marcatore (a cui di solito segue inchiodata fulminea), stesso modo di crearsi lo spazio in area spostando il lungo avversario con la spalla prima di schiacciargli in faccia, lo stesso movimento con saltello a piedi pari verso il centro dell’area, chiuso di solito con il mezzo gancio o due tiri dalla lunetta. Poi, dopo l’ennesima partita dei Kings (che non avrei guardato mai nella vita, non fosse stato per il numero 15), ho capito. “Big Cous” non è un finto piccolo né un imitatore di Shaq. È il frutto di una meravigliosa fantasia genetica: è esattamente quello che sarebbe venuto fuori se avessero mischiato le giuste dosi di talento e di capacità atletiche di Hakeem Olajuwon e di Charles Barkley. Un bel po’ della versatilità sotto canestro di “The Dream” – buon fade away, tiro affidabile dalla media, grande uso del piede perno; e un bel po’ della prepotenza disarmante di “Sir Charles”, a cominciare dalla facilità con cui semina avversari in palleggio portandosi dietro 130 chili. In due parole: creatività esplosiva. È curioso che sia stato proprio Barkley a dire che Cousins ha il potenziale per diventare il miglior centro della Lega. Certo, ha anche detto che “Big Cous” dovrebbe smetterla di fare «stupid stuff» e «grow up», una volta per tutte. Ma questa è un’altra storia.

 

 

SHAQ MEETS DMC

Il vero (e alquanto surreale) dialogo andato in scena tra i due big men di Sacramento

di Mauro Bevacqua (@RivistaNba)

«Wassup DMC!»

«Chi parla?»

«I’m Shaaaaaaq!»

«Ah, buongiorno Mr. Shaquille O’Neal»

«Solo mio padre – ma lui è un sergente, uno con una rigida disciplina militare – mi chiama ancora Shaquille Rashaun O’Neal. Shaq. Tu chiamami Shaq.»

«OK, Mr. O’Neal.»

«Ecco, 0/1. Iniziamo bene.»

«Sorry, Mr. O’Neal – ops, Shaq.»

«Oh, finalmente. Pure tu, che razza di nome hai?»

«DeMarcus Amir Cousins, signore.»

«Nah, troppo lungo. Possibile che sei nella NBA da 4 anni e nessuno ti ha ancora dato un soprannome?»

«No.»

«Ovvio, sentono la mia mancanza. “Flash”, “The Truth”, li ho inventati tutti io. Senza contare i miei, poi.»

«Può far niente per me? D’altronde hanno scritto tutti che sono il suo “progetto speciale”…»

«Certo che posso. D’ora in poi tu sei “DMC”. Ti piace?»

«Figo.»

«Anzi, come te la cavi con la corsa?»

«Io? Alla grande. Non le ha viste le nuove statistiche super-tecnologiche della NBA?»

«Mai viste neppure le vecchie, se è per quello. Contavo solo punti, rimbalzi & anelli.»

«Beh, mi sparo 3,38 km a partita, per l’esattezza. E viaggio a  più di 6 km/h.»

«È tanto?»

«Beh, vado più veloce di Duncan, Chandler e Nowitzki. E pure di LeBron James, se vuol saperlo.»

«Perfetto. Allora sei “RUN DMC”, meglio ancora.»

«Come quelli della cover degli Aerosmith?»

«Ehi, bruh, sciacquati la bocca quando parli dei RUN DMC! Altro che “Rock This Way”, robetta commerciale: i RUN DMC hanno fatto la storia dell’hip-hop.»

«Come lei con “Shaq Diesel”? Avevo tre anni quando è uscito, ho imparato a parlare con le sue lyrics.»

«Non esageriamo: io resto di un altro pianeta. Con ‘”Shaq Diesel” ho vinto il disco di platino.»

«Che roba è il platino?»

«Oro, diamanti, platino… Non hai mai sentito parlare di bling-bling? Che poi è un attimo – ci han fatto pure un film (che non regge il paragone con “Kazaam”…) – e bling-bling diventa bling-ring e arriviamo al motivo per cui mi hanno assunto. Ring, gli anelli.»

«Io so fare quelli di fumo.»

«Ecco, non dirlo a Silver, ti prego.»

«Silver che cos’è? Un altro metallo pregiato? Yo, bling-bling!»

«Silver, Adam Silver, il prossimo commissioner NBA! Ma dove hai vissuto negli ultimi anni?»

«Eh, sfiga, a Sacramento.»

«Già, sfiga vera. Ora però Sacramento non esiste più: è iniziata l’era di “Shaq-ramento”!»

«E cosa cambia?»

«C’è una h in più e una q al posto della c, no? Sai leggere?»

«Sì, sì, ho iniziato con i testi di “Shaq Diesel”, gliel’ho detto.»

«Già, è vero. Beh, in teoria comunque ora dovremmo iniziare a vincere. E diventare una delle forze della Western Conference.»

«Ma ha visto con chi gioco in squadra? Con Jimmer Fredette e un Isaiah Thomas che ha una a in più di quello vero.»

«Beh, se non funziona puoi sempre fare come me.»

«Cioè?»

«Finito il quarto anno te ne vai, no? Secondo te io potevo restare a Orlando anche una sola stagione in più?»

«E dove posso andare?»

«Ma dovunque, tu sei “RUN DMC”! Tu sei uno da 30 & 15 ogni sera.»

«In realtà l’anno scorso ho chiuso a 17 & 10…»

«Davvero?!? Mah, m’avevano detto fossi forte… Io al mio terzo anno nella Lega, alla tua stessa età, già mi sparavo 29,3 & 11,4 a ogni allacciata di scarpe. Ero il capocannoniere NBA.»

«Ah, io le scarpe quando mi alleno preferisco tenerle slacciate…»

«Vecchio colpo che usavo anch’io: Kobe si incazzava sempre.»

«Wow, che figata, darei metà del mio contratto da 62 milioni di $ per far incazzare Kobe.»

«Facile: battilo. Meglio ancora se in finale di conference, quando è convinto di essere vicino al sesto titolo, per pareggiare MJ.»

«Basta questo per mandarlo fuori di testa?»

«Sicuro»

«Allora sarà fatto, Mr. O’Neal. Ci può giurare!»

«Shaaaaaaaaaaq! Devi. Chiamarmi. Shaq!»

 

[fuori conversazione]

“Eheh, troppo facile… Che ne dite di “The Big Motivator” come nuovo soprannome?”

 

http://www.youtube.com/watch?v=sRax7fkBr5o

MOTIVATIONAL QUOTES

di Francesco Pacifico (@FzzzPacifico)

Cosa dovrebbe scriversi DeMarcus sul soffitto sopra il letto per motivarsi quest’anno.

“Questo ragazzo ha tutto. Ma sai una cosa, non otterrà mai niente. Sto nella NBA da trent’anni e ho visto gente con quel talento… È in un ambiente pessimo, Sacramento: non hanno un leader, non hanno un ‘Doctor J’, un Maurice Cheeks, un Bobby Jones, come li ho avuti io. Quelli ti dicevano: senti, è ora che cresci. Ma Sacramento non è forte, non hanno quel tipo di leadership. Se lo chiedi a me: loro hanno rovinato Tyreke Evans. Io pensavo che Tyreke Evans, non sarebbe diventato uno Scottie Pippen, ma sarebbe diventato un All-Star perenne. Gli serve un Popovich, un Pat Riley, qualcuno che non si tira indietro.”

– Charles Barkley.

 

C’è un modo di trasformare l’autoironia di Boogie in leadership?

“Caramelle, gelato, pizza, tutto. A New York ho mangiato solo pizza. Funnel cake. Gelatine all’arancia. Amo le gelatine all’arancia. Adoro il pesce fritto. Sì, giusto, anche il pollo fritto. È stata bellissima, la off-season. Quanto mi sono allenato? Direi mezz’ora al giorno. Il resto del tempo, grossi banchetti. Il mio dito quest’anno è diventato fortissimo, perderò meno palloni. Sarà una bella stagione.”

– Boogie

 

 Cosa gli piace fare a San Valentino.

“Passeggiare sulla spiaggia. Chiaro di luna. Tenersi per mano. Suonarle il violino in un angolo. Una bella corsa in carrozza. Cavalli bianchi. Mi tiro fuori dalla tasca una bella rosa bianca. Baci e abbracci. Roba così.”

 

 Intervista nello spogliatoio.

“Alcune delle mie azioni vengono fraintese, secondo me. Le gente cerca di giudicarmi dal modo in cui gioco – e lo scambia col modo in cui sono. Voglio provare a tutti che hanno torto, ogni giorno.” Giornalista: “Non devi dimostrare a tutti che hai torto, molta gente è nel tuo angolo a bordo ring”. “Non ne ho vista molta.”

 

Su Sports Illustrated.

“A volte lascio che le piccole cose prendano il sopravvento. Cose semplici, come un fischio contro, e do di testa. Ho un vero problema quando so o sento che una cosa è sbagliata, ne devo parlare per forza, l’ho preso da mia madre. È un mio problema. Non voglio dire che voglio cambiare perché questa cosa mi ha aiutato ad arrivare fin qui. Ma allo stesso tempo devo imparare a stare zitto.”

 

Shaq ha deciso di fargli da mentore e si è fatto assumere dai Kings.

“Sono salito di livello non per gli allenamenti ma per le chiacchierate. Le chiacchierate con Jerry West e quelle con Phil Jackson. Puoi stare in palestra tutto il giorno e fare cento movimenti, ma sono le chiacchierate che contano. Jerry West credeva in me e mi diceva: ‘Ehi, guarda in alto, Shaq, la tua maglia  un giorno sarà lì’. E allora io pensavo: ‘Devo salire di livello’. Poi c’erano le chiacchierate con Phil, che diceva: ‘Shaq lo so che sta facendo i film e il rap, ma se quest’anno li lasci perdere ti garantisco che sarai MVP’. Quindi anche noi ci faremo delle chiacchierate, gli starò addosso. Quando sei bravo e stai diventando grande, le aspettative sono a mille. Ma se ti prepari bene, non le deluderai.”

 

 

SEATTLE VS. SACRAMENTO

di Tim Small (@yestimsmall)

È ovvio: il concetto che il Torino possa spostarsi a Bologna è completamente assurdo. Ma non è così strano pensare ai Kings di DMC in un’altra città: le squadre NBA si spostano in giro per l’America da sempre. Una delle squadre più amate in Italia e nel mondo, gli Oklahoma City Thunder di Westbrook e Durant, la squadra più hipster della NBA, altro non sono che i vecchi Seattle Supersonics, quelli che, da piccolo, tifavo con ardore (nel senso che li sceglievo sempre a NBA Jam), quelli del nuovo Hall-of-Famer Gary Payton e del mio mito, Shawn Kemp: la più grande alley-oop combo della storia del basket (e no, non sto dimenticando Chris Paul–Blake Griffin). Nel luglio del 2006, in un momento particolarmente triste della storia di Seattle, come racconta il documentario Sonicsgate, il miliardario Clay Bennet (di Oklahoma City) comprò la squadra dall’ormai universalmente odiato magnate di Starbucks, Howard Schultz, promettendo pubblicamente, però, di non avere intenzione di spostarla nella sua città natale. Detto, fatto, ed entro un anno e due mesi la squadra sta giocando a OKC, non si chiama nemmeno più Sonics, e Durant e Westbrook iniziano a crescere assieme, e tutti iniziano ad amare i Thunder, e tutti si sono scordati di Seattle. Tutti, a parte i residenti della città regina del Pacific Northwest, una città costruita apposta per la pallacanestro, dove piove 11 mesi l’anno, una città che da allora non ha smesso di cercare di riavere una squadra di basket. Entrano in scena, quindi, i Maloof da una parte, i terribili proprietari dei Sacramento Kings, che stanno cercando di liberarsi della loro franchigia; dall’altra un gruppo di investitori di Seattle capitanati da Steve Ballmer, CEO di Microsoft e un investment banker locale, Chris Hansen. Hansen e Ballmer provano in tutti i modi a riportare una squadra a Seattle, ben consci dell’ironia di dover far soffrire lo stesso dolore a un’altra città, Sacramento. Ma d’altronde, erano anni che i Kings giocavano male e, tranne l’astro nascente di DeMarcus Cousins, non avevano molto altro: un palazzo vecchio, pochi fan, pochissimo share televisivo. A gennaio del 2013 il passaggio di DMC e soci da Sacramento a Seattle era dato per certo. L’aveva pure scritto Adrian Wojnaroski di Yahoo Sports, noto per essere il giornalista NBA che generalmente arriva sempre primo sugli scoop. E invece il consiglio dei saggi NBA, all’ultimo, ha deciso di propendere per tenere la squadra a Sacramento, venendola al miliardario indiano Vivek Ranadive, con l’ottica di espandere il mercato NBA nel gigante mercato del subcontinente asiatico. Per ora, quindi, dovremmo accontentarci di vedere i Kings ancora giocare in viola-e-nero. E, per quanto sarebbe stato fantastico vedere DMC indossare la maglia gialloverde del mio mito d’infanzia, dovremo aspettare. Non molto, pare. Mark Cuban ha già dichiarato che prevede una nuova expansion entro il 2018. Fingers crossed. Se no, c’è sempre l’ironica possibilità dei Seattle Suns. Almeno il nome funzionerebbe.

 

 

 

 

Le altre fanzine:
Buckets, vol.5: Lance Stephenson.

Buckets, vol.4: Kawhi Leonard.

Buckets, vol.3: Nick Young.

Buckets, vol.1: Stephen Curry.

Tags : demarcus cousinsnbasacramento kings

La Redazione de l'Ultimo Uomo è divisa tra Roma e Milano, ed è composta da una dozzina di ragazzi e ragazze che, generalmente parlando, ti vogliono bene.

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