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Brozovic è il miglior regista della Serie A?
06 dic 2021
06 dic 2021
Contro la Roma la sua prestazione è stata sublime.
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Se avessimo visto solo i primi 20 secondi della partita tra Roma e Inter sarebbe stato difficile capire le parole finali e funeree di José Mourinho, secondo cui la sua squadra aveva in campo un «potenziale offensivo praticamente nullo». Su un lancio mal calibrato da Kumbulla in direzione della trequarti avversaria Brozovic ha controllato in maniera sciatta il primo pallone della sua partita (forse il suo piede era ancora freddo). Su quella palla si è fiondato Nicolò Zaniolo, con il solito incedere oltreumano da Transformer. Il numero 22 della Roma ha scardinato il piede di Skriniar, che di fronte alla sua forza è sembrato per una volta inadeguato, e poi si è allungato il pallone sulla fascia sinistra. Al suo fianco Brozovic sembrava troppo lento, troppo fino rispetto al rivestimento di muscoli ed esplosività che stava provando a rincorrere. Zaniolo poi ha deciso di rallentare, come se avesse voluto sentire di che consistenza fosse fatto Brozovic, mentre alle sue spalle stava arrivando anche Barella. Poi, però, dopo una leggera pausa, Zaniolo ha sgasato di nuovo e, arrivato da solo sulla linea di fondo, il suo cross in area è arrivato sulla testa di Shomurodov, forse leggermente alto, e l’attaccante uzbeko non è riuscito a direzionarlo verso la porta.


 

Quello tra Brozovic e Zaniolo era uno dei mismatch che avrebbe potuto inclinare la partita dalla parte della Roma. Mourinho, in fase di non possesso, aveva messo Zaniolo a uomo sul playmaker nerazzurro, mentre quando erano i giallorossi a impostare gli aveva chiesto di ricevere ai suoi fianchi - alle spalle di Calhanoglu e Barella, cioè - sfruttando la posizione altissima che le mezzali interiste andavano a ricoprire in fase di pressing. Se Zaniolo avesse ricevuto libero sulla trequarti, Brozovic come avrebbe potuto fermare quella palla di cannone lanciata contro la difesa dell’Inter?


 


Paolo Bruno/Getty Images


 

Eppure il giorno prima della partita il regista croato aveva ricevuto l’investitura di Maicon. «Brozovic mi fa paura. Terrificante il modo in cui si "sente" in campo, il modo con il quale fa la differenza ogni partita», ha dichiarato il terzino brasiliano. «Il suo peso è enorme, e te lo dice uno che ha giocato con Vieira, Stankovic e Cambiasso. Brozovic ha quel peso lì». I termini di paragone sembravano eccessivi perché a vederlo da fuori, anche in una partita in cui l’Inter ha dominato per 90 minuti, Brozovic sembra non avere nulla in comune con Vieria, Stankovic e Cambiasso, tre giocatori che in quanto a carisma, aggressività e capacità atletica potevano rimettere tranquillamente Zaniolo al suo posto in una partita uno contro uno a tutto campo. Un carisma che apparantemente non appartiene al centrocampista croato, che con l’estetica vagamente metrosexual e lo sguardo vacuo di chi vive in un mondo tutto suo non sembra avere quel che serve per competere ad alto livello nel calcio contemporaneo.


 

Per fortuna di Brozovic, però, il calcio ha smesso di essere una semplice somma di uno contro uno da un pezzo. Fa strano doverlo ricordare, ma la bellezza di uno sport di squadra come il calcio sta anche nel fatto che in una singola partita il risultato non viene deciso solo dal peso delle due rose, e che l’eventuale differenza può essere superata attraverso l’organizzazione e il gioco collettivo. È ancora più strano che nella partita di sabato, chi ha dimostrato di aver appreso fino in fondo questa lezione basilare sia stata la squadra con la rosa più ricca, quella che per mezzi tecnici a disposizione compete per lo scudetto.


 

Nonostante dalle interviste post-partita non si direbbe, forse Simone Inzaghi è più consapevole dei limiti dei suoi giocatori rispetto a Mourinho e sa che basta uno di quei momenti in cui le partite possono effettivamente trasformarsi in uno contro uno per permettere a Zaniolo di lasciare sul posto Brozovic e inclinare la partita dalla parte della Roma, esattamente come successo in quei primi illusori venti secondi di gara. Se alla fine non è successo, però, è anche e soprattutto per merito di Brozovic.


 


Non vorrei allungare questa digressione all’infinito ma, visto che si fa un gran parlare del valore delle rose, credo sia interessante riepilogare brevemente come l’Inter abbia costruito il valore di uno dei migliori in campo sabato sera. Proprio quel Brozovic arrivato a Milano nel gennaio del 2015, in una delle fasi più grigie e grottesche della sua storia recente: era l’Inter di Thoir e alla Pinetina arrivavano giocatori come M’Vila e Gary Medel, mentre sulla sua panchina Roberto Mancini sognava Yaya Touré; e Brozovic, con lo sguardo ancora più stralunato di quanto non lo sia oggi, si era presentato con l’aspirazione di diventare Frank Lampard ma è finito in panchina prima con Mancini e poi con de Boer, prima di essere stato resuscitato da Stefano Pioli, che a sua volta però non sembrava avere del tutto chiara la posizione migliore per farlo rendere al meglio.


 

Impiegato a volte come trequartista, a volte come mediano di un centrocampo a due, a volte addirittura come ala, Brozovic sembrava non avere il rapporto sensuale con il pallone di Kovacic. Se l’attuale centrocampista del Chelsea sapeva dare la propria forma al pallone con i piedi, come se fosse argilla molle, passando in conduzione per la cruna di un ago, Brozovic lo colpiva in maniera più rudimentale, meccanica, come se lo bastonasse. È solo con la celebre intuizione di Luciano Spalletti, che lo ha spostato con continuità davanti la difesa (intuizione a quanto pare suggerita da Piero Ausilio), che abbiamo iniziato a vedere con più chiarezza quale fosse il vero talento di Brozovic. Da quel momento il suo gioco è sembrato fiorire, insieme alla sua autostima, in squadre con costruzioni dal basso sempre più codificate e complesse, che lo mettevano al comando delle operazioni più rischiose. Prima con Spalletti, per l’appunto, poi con Antonio Conte e oggi con Simone Inzaghi, Brozovic è diventato uno dei migliori registi della Serie A. E sabato è sembrato per distacco il migliore.


 

Contro una squadra che, come la Roma di Mourinho, non vedeva l’ora di consegnarsi agli avversari, forse abbiamo capito anche perché oggi Brozovic ha tutto questo peso. Se l’Inter di Conte aveva un manuale d’istruzioni per tutto, a partire dall’uscita dal basso con cui attirava il pressing avversario, oggi la squadra di Inzaghi è più libera di fare le sue regole per adattarsi agli avversari e alle partite che si trova davanti. L’unica regola, oggi, è che l’uscita dal basso è gestita inizialmente dalle due linee centrali (quella dei tre difensori, sabato Skriniar, D’Ambrosio e Bastoni, e quella dei tre centrocampisti, Brozovic, Calhanoglu e Barella) ma il modo in cui viene gestita, la posizione dei singoli giocatori, le rotazioni che devono fare per liberarsi, è lasciata del tutto agli interpreti in campo. In questo contesto, Brozovic ha dimostrato di avere l’intelligenza per fare il direttore d’orchestra, il giocatore che dà il ritmo al resto della squadra.


 

Il regista croato può ricevere inizialmente in posizione classica, davanti la difesa, e poi scendere tra due centrali, oppure partire basso, da terzo centrale di difesa, e salire in mediana in un secondo momento; o ancora allargarsi sulla linea del fallo laterale e poi entrare dentro al campo. Non importa, alla fine, perché in ogni caso è l’Inter a prendere la forma della sua intelligenza in campo. Grazie a lui, l'Inter ha sempre la prima mossa, come uno scacchista che gioca sempre col Bianco. Mourinho ha pensato che bastasse mettere un giocatore più prestante a marcarlo, ancorando il resto della squadra nella propria metà campo, per risolvere il problema, e i risultati sono stati devastanti.


 

Dopo nemmeno due minuti si è già capito che aria tirava. Brozovic ha ricevuto davanti la difesa e immediatamente Zaniolo ha accelerato alle sue spalle per provare a sorprenderlo. Il centrocampista croato, dopo un primo controllo un po’ artigianale, ha dovuto usare la punta per anticipare l’avversario alle sue spalle e tornare indietro da D’Ambrosio, ma a quel punto è bastato poco per trasformare questa situazione d’affanno in un’opportunità. Brozovic si è mosso alle spalle di Zaniolo, che aveva continuato la sua corsa fino a D’Ambrosio, e in questo modo ha liberato la linea di passaggio ad Handanovic, su cui era salito anche Shomurodov.


 

Con il resto della Roma ancorata trenta metri più indietro, Brozovic non ha dovuto nemmeno toccare il pallone per dare il via all’azione dell’Inter, che grazie a lui poteva arrivare fin sulla trequarti camminando su un tappeto rosso. Con uno sdegno nobile ha lasciato scorrere il pallone alle sue spalle per far ricevere Calhanoglu, continuando poi la corsa per dare un appoggio facile a Bastoni, che a sinistra aveva tutto lo spazio del mondo per affondare sulla trequarti giallorossa come il burro. Il trequartista turco aveva seguito la sua traccia, come un cacciatore che segue il suo cane, servendo proprio Bastoni, che a sua volta aveva provato a premiare il taglio esterno-interno alle spalle della difesa di Perisic, fermato però sul più bello da Mancini.


 

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Come detto, non era un movimento codificato ma l’interpretazione che Brozovic aveva dettato all’Inter in quel momento. Un paio di minuti più tardi lo vediamo impostare tra Skriniar e D’Ambrosio come un libero: Zaniolo gli si para davanti senza sapere ben cosa fare e non si accorge che alle sue spalle si è liberato di nuovo Calhanoglu, con i tre centrocampisti della Roma a una ventina di metri da lui dietro la linea della metà campo.


 


 

Brozovic riusciva a manipolare la prima linea di pressione della Roma talmente facilmente che a volte lo faceva con la sua sola presenza. Nell’azione con cui innesca il gol del 2-0 lo fa addirittura due volte, prima a sinistra attirando su di sé Zaniolo e Shomurodov, e permettendo a Bastoni di passargli in mezzo con il pallone (una delle tante situazioni in cui l'Inter è sembrata semplicemente avere un uomo in più), poi di nuovo al centro, servendo per l’ennesima volta Calhanoglu, che forse non credeva si potesse giocare in Serie A con questa libertà.


 

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Nonostante l’Inter abbia finito la partita con oltre il 66% di possesso palla (un dato enorme per una squadra che di media in campionato ha un percentuale di circa 12 punti più bassa), il contributo in costruzione è stato solo una parte della gigantesca partita di Brozovic. Il centrocampista croato in pressing saliva fino alle spalle di Cristante, e gli metteva pressione da dietro nelle rarissime volte in cui riusciva a ricevere alle spalle della schermatura di Dzeko, mentre in fase di difesa posizionale assorbiva i tagli alle spalle dei tre centrali. Di fatto, Brozovic copriva quasi tutti e cento i metri del campo senza sembrare mai in affanno.


 

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Sulla grande occasione avuta da Viña al 37esimo, Brozovic prima va in chiusura su Mancini, che si era infilato tra Skriniar e Bastoni, e pochi secondi dopo è fuori area a intercettare uno sciatto passaggio di Veretout, innescando la transizione di Correa (che Ibañez sarà costretto a fermare con un fallo da cartellino giallo).


 

La sua partita è stata gigantesca in senso letterale, perché al giorno d’oggi è difficile trovare nel panorama europeo un giocatore che copra così tanto campo e svolga contemporaneamente così tante funzioni senza che a un certo punto la coperta non si scopra troppo corta. Sabato, invece, i numeri di Brozovic hanno certificato una qualità e una continuità impressionanti: 96% di passaggi riusciti, 10 palle recuperate, 3 contrasti vinti, un tiro.


 

È semplicemente impossibile trovare un’azione dell’Inter che non sia iniziata con un suo movimento a smarcare un compagno, o una palla recuperata, o un passaggio a bucare la prima linea di pressione avversaria. Brozovic sta all’Inter come una zip sta a una cerniera: con il suo movimento su e giù per il campo connette i vari pezzi del gioco della squadra di Inzaghi permettendogli di rimanere legati in tutte le fasi del gioco.


 

Proprio come una zip non ha alcun senso senza la cerniera su cui viene messa, allo stesso modo però non bisognerebbe dimenticarsi che forse Brozovic non potrebbe essere così influente senza il gioco che Simone Inzaghi gli sta costruendo intorno. Un gioco che gli lascia totale libertà di iniziativa ma che contemporaneamente lo protegge con una grande densità in zona palla, che gli permette di avere sempre linee di passaggio libere e di coprire poco spazio per volta quando c’è da rincorrere gli avversari. In una delle pochissime volte in cui sabato l’Inter si è sfilacciata, per dire, Brozovic è improvvisamente tornato ad assomigliare un giocatore normale. Al decimo minuto del primo tempo, su una transizione solitaria di Viña, il centrocampista croato non ha potuto far altro che schermare il passaggio verso Zaniolo e lasciar passare quel treno verso la propria difesa.


 

Brozovic non ha e non avrà mai la velocità e l'esplosività di Kanté o il dominio fisico sugli avversari di Milinkovic-Savic, l’unica arma che può far valere è l’intelligenza, che gli permette di sapere cosa fare con almeno due, tre mosse in anticipo. In una sfida uno contro uno con Zaniolo a tutto campo forse ne uscirebbe male, ma in una vera partita di calcio, con una squadra che si muove al suo ritmo, allora può succedere che sia lui a far apparire Zaniolo inadeguato. Sabato, al 30esimo del primo tempo, con il risultato ancora sullo 0-2, su una palla vagante vicina alla linea del fallo laterale, Bastoni si è fatto anticipare alle spalle di Shomurodov, recapitando la palla al numero 22 della Roma. Poteva essere una buona occasione per trovare l’Inter impreparata, ma l’ordine che aveva tenuto fino a quel momento la squadra di Inzaghi gli aveva permesso di ingabbiare immediatamente l’avversario con il solito triangolo Bastoni-Brozovic-Calhanoglu.


 

Zaniolo allora si è allungato la palla lungo linea per provare una delle sue sgasate, ma nell’esatto istante in cui ci ha provato Brozovic era già lì, sdraiato in scivolata, pronto ad arpionargli il pallone con il tacco con un intervento che era la firma di un altro centrocampista dalla fisicità sovrannaturale, Radja Nainggolan.



È un intervento che, volendo astrarre, ha diversi piani simbolici se si pensa a quanto intrecciate siano le storie di Nainggolan e di Zaniolo, e di conseguenza della Roma e dell’Inter a partire da quello scambio, e a come la Roma da quel momento abbia smarrito la strada nel capire come creare valore all'interno della sua rosa. Nel momento in cui l’ho visto, però, mi ha immediatamente fatto pensare alla celebre frase di Cruyff su come sia difficile difendere senza un impianto di gioco: «Se devo difendere questa stanza da solo sono un disastro, tutti entrano da tutte le parti; se invece devo difendere solo questa sedia, allora sono il migliore».


 

È strano pensare a Zaniolo come a una sedia, o a Brozovic come a un giocatore dall’elasticità e dall’atletismo sovrannaturale di Nainggolan - uno che al suo prime poteva davvero difendere una stanza da solo. Eppure il calcio è anche questo: incastrando i pezzi giusti, dando un senso collettivo a undici giocatori in campo, si può anche arrivare a scoprire che un giocatore dal talento apparentemente poco chiaro, che per anni è stato a un passo dall’essere ceduto, è il migliore in Serie A a fare il ruolo più difficile in campo. Alla fine, forse mai come in questo sport è oro anche quello che non luccica.


 

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