In una stagione strana dentro un anno strano, pochi hanno vissuto (sportivamente) in una perenne instabilità quanto i Brooklyn Nets. Partiti con le grandi incognite della salute di Kyrie Irving e Kevin Durant - entrambi assenti giustificati nella passata stagione - hanno immediatamente alzato le aspettative con la trade che ha trascinato James Harden lontano da Houston e continuato a lavorare ai margini per migliorare il roster, pescando soprattutto nel mercato dei buy-out. Sono arrivati Blake Griffin e LaMarcus Aldridge per comporre un super team che ha fatto storcere molti nasi e alzare molte sopracciglia, ma che in realtà non ha visto molto il parquet. Anzi, viste le brutte notizie di salute che hanno costretto Aldridge al ritiro anticipato e i continui infortuni che stanno impedendo a turno ai Big Three di scendere in campo, i Brooklyn Nets a ormai meno di mese dall’inizio dei playoff sono allo stesso tempo una grande minaccia e un cantiere ancora aperto.
Pur non avendo quasi mai potuto schierare insieme i loro migliori giocatori, i Nets sono in vetta alla Eastern Conference, con una partita di vantaggio sui Philadelphia 76ers e tre e mezzo sui Milwaukee Bucks, e con 42 vittorie e 20 sconfitte hanno il terzo miglior record della lega. Solo che la stagione regolare si sta inesorabilmente avvicinando alla conclusione e molto probabilmente non vedremo mai la versione definitiva della squadra in mano a Steve Nash prima dei playoff, o forse non la vedremo mai.
D’altronde, per lo stesso motivo per il quale ci fa paura l’ignoto più profondo, il buio pesto di una strada senza illuminazione, o il mare aperto quando non vediamo il fondo, i Nets appaiono in potenza una squadra formidabile, praticamente imbattibile quando riuscirà a mettere tutti i pezzi al loro posto. Ma questo stato di incertezza, di costante dubbio, mantiene in equilibrio entusiasmo e scetticismo dando ulteriore sapore allo sprint finale della costa Est.
I Nets finora hanno avuto 18 titolari diversi e 33 quintetti base differenti, entrambi record di franchigia, a testimoniare come la stagione a Brooklyn sia stata una porta girevole di arrivi e partenze. E il coaching staff guidato da Steve Nash ha dovuto fare di necessità virtù, cucendo le rotazioni sulla superstar in quel momento a sua disposizione. Delle 62 partite ufficiali giocate in questa stagione dai Brooklyn Nets infatti Kyrie Irving ne ha giocate 46, Kevin Durant 26 e James Harden 36 (alle quali vanno aggiunte le 8 in maglia Rockets). Ma soprattutto i tre non hanno quasi mai condiviso il parquet, scendendo in campo insieme in sole sei partite e 383 possessi, l’ultimo dei quali è datato 13 febbraio.
Ora però che con la vittoria di ieri notte contro i Toronto Raptors hanno ufficialmente conquistato un posto per i prossimi playoff con dieci partite ancora da giocare nella stagione regolare, coach Nash dovrà cominciare a stringere le sue rotazioni e definire le gerarchie, nell’attesa che Durant, Harden e Irving si presentino sani e vaccinati all'appuntamento coi playoff di metà maggio.
Il ritiro improvviso di Aldridge
Il nodo da sciogliere non è tanto chi affiancherà i Big Three sul perimetro, dove Joe Harris è sicuro di un posto al sole grazie alla ottima stagione condotta finora, ma nel fatidico quinto posto sotto canestro, un ruolo per il quale i Nets hanno effettuato un estenuante casting. Dall’inizio di stagione con DeAndre Jordan e Jarrett Allen, fino all’esplosione di Nic Claxon passando per le estemporanee apparizioni di Norvelle Pelle e Noah Vonleh per concludere con agli arrivi di Blake Griffin e LaMarcus Aldridge, Brooklyn è ancora alla ricerca di un equilibrio complicato, con sempre meno sabbia nella clessidra.
La notizia dell’improvviso ritiro di Aldridge poi ha ulteriormente compromesso la stabilità delle rotazioni di Nash, che si è ritrovato senza il lungo a cui stava affidando più responsabilità e minuti. Arrivato grazie al mercato dei buyout, l’ex San Antonio Spurs stava dimostrando di avere ancora della benzina nel serbatoio garantendo spaziature con il suo celebre tiro in sospensione dalla media distanza e tenendo meglio del previsto al ferro. I Nets miglioravano di oltre 7 punti su 100 possessi con lui in campo, sorprendentemente grazie alle sue prestazioni nella metà campo difensiva, dove costringeva gli attaccanti avversari a tirare con il 4.7% in meno dal campo rispetto alla loro abituale media. Usato soprattutto in situazioni di drop per non esporlo alla rapidità dei portatori di palla, aveva fatto vedere un ritrovato senso per la posizione e tempo d’intervento, qualità che sembravano del tutto scomparse nell’ultima parte di carriera in Texas. Certo soffriva ancora gli scontri fisici nel pitturato, come ad esempio contro Andre Drummond nella partita persa contro i Lakers senza stelle, alla fine della quale si è accusato personalmente della sconfitta.
Purtroppo quella resterà l’ultima volta che lo abbiamo visto giocare una partita NBA, poiché durante e dopo la stessa ha avvertito un battito irregolare del cuore, una condizione con la quale aveva imparato a convivere durante la sua carriera fin dal principio. Durante la sua stagione da rookie infatti era stato costretto a saltare le ultime 9 partite per sottoporsi a un intervento, quando gli fu diagnosticata la sindrome Wolff-Parkinson-White. Ma dopo 15 anni di onorata carriera, che gli frutterà molto probabilmente un posto nella Hall of Fame, Aldridge ha deciso di mettere per la prima volta la sua salute e la sua famiglia prima del basket e ha detto basta anche a costo di rinunciare al titolo per il quale aveva firmato con i Nets. Una decisione pienamente condivisibile, che però allo stesso tempo ha tolto un altro pezzettino al puzzle che Steve Nash stava componendo.
https://twitter.com/aldridge_12/status/1382706719684444161
Il post su Twitter con il quale LaMarcus Aldridge ha annunciato il suo ritiro.
Le variabili offensive di Blake Griffin e Jeff Green
L’altro arrivo a costo zero durante il mercato di riparazione oltre a Aldridge è stato Blake Griffin, dopo un'ultima ingloriosa stagione a Detroit. Griffin è partito in quintetto solo in tre delle sue quindici partite in maglia Nets, ma ne sta finendo molte in campo quando più conta, sia da centro che insieme a un altro lungo. Rispetto agli ultimi tempi a Detroit, Griffin a Brooklyn sta giocando la maggior parte dei suoi minuti da 5 (circa il 60%), un ruolo più adatto ad esaltarne le qualità associative in attacco e nasconderne i limiti di mobilità laterale in difesa. Con lui da centro i Nets sono una giostra in attacco, segnando 129.4 punti su cento possessi con quasi il 60% dal campo e un differenziale di +16 punti. E dopo due brutte stagioni in termini di percentuali dall’arco a Detroit, è tornato a tirare sopra il 40% nelle prime 39 triple prese in maglia Nets.
Un numero fondamentale per renderlo ancora una minaccia in situazioni di pick&pop e per sbloccare ulteriormente la sua gravità come passatore in movimento, specialmente quando deve agire da short roll nei giochi a due. I Nets possono ora allungare il campo facendo bloccare Griffin più in alto rispetto a come chiederebbero ad altri lunghi, avendo poi una valvola di sfogo capace di attaccare una volta creata la superiorità numerica nel 4 contro 3.
Il suo playmaking secondario è la qualità più importante nell’esecuzione a metà campo dei Nets, che hanno molti realizzatori ma pochi in grado di muovere bene il pallone. Blake non è più quello che saltava sopra le Kia Sorento ma ha imparato a sopperire alla svanita esplosività con intelligenza e letture sopra la media per il ruolo, che lo rendono utile anche lontano dalla palla quando c’è da fare un taglio o un blocco cieco.
Dopo un primo tempo non positivo, Griffin ha giocato tutti gli ultimi 17 minuti della sfida contro i Phoenix Suns grazie anche a giocate come questa. Prima legge il raddoppio e si fa trovare per il ribaltamento che porta a una tripla aperta di Joe Harris e nel possesso successivo tiene due volte l'isolamento di Devin Booker costringendolo infine alla palla persa.
Blake Griffin in attacco risponde a molte delle domande che Steve Nash chiede alla propria squadra, ma ne propone altrettante nella metà campo difensiva. In questa fase della carriera non ha la flessibilità né la mobilità per accettare troppi cambi sul perimetro contro avversari più rapidi e esplosivi, né può tenere sotto canestro contro lunghi dal tonnellaggio superiore. Eppure in qualche modo, grazie alla sua astuzia e esperienza, riesce a non essere un fattore negativo. I Nets sono 3.6 punti su 100 possessi migliori in difesa con lui in campo, un dato che dimostra più l'inefficienza della fase difensiva di Brooklyn piuttosto che l’impatto reale del suo numero 2. Con Griffin da 5 i Nets concedono comunque 111.4 punti su 100 possessi, per quella che sarebbe la decima migliore difesa in NBA, ma rimane più efficace lontano dalla palla piuttosto che quando viene coinvolto in isolamento, soprattutto quando può scegliere lui i tempi di aiuto arrivando dal lato debole e frapporsi tra avversario e canestro. In questa stagione è il giocatore che ha subito il maggior numero di sfondamenti, 21. Lo so, anche io ho fatto la vostra stessa faccia quando ho visto questo dato.
In maniera simile a Griffin, anche Jeff Green è un ibrido tra le posizioni di 4 e 5 in grado di accendere offensivamente la squadra pur concedendo ancora di più in difesa. Arrivato ormai alla sua 13^ stagione, Green ha vissuto almeno tre carriere, l’ultima delle quali - questa da 5 tattico e corsaro per assaltare le difese avversarie - sembra durare da almeno un decennio. Invece Green dopo le tappe a Cleveland e Houston ha portato anche a Brooklyn il suo misterioso atletismo e la sua old man strength che possono apparire in campo quando uno meno se l’aspetta. Green ha giocato solo il 30% dei suoi minuti da lungo, e come da tradizione quelle line-up sono tanto martellanti in attacco quanto perforabili in difesa. Lo scambio alla fine è leggermente positivo (+5.3), meglio anche di quando gioca accanto a un lungo di ruolo (+4.2) nonostante in questo caso la difesa sia quantomeno presentabile. Ma Green sarà un veterano utilissimo ai Nets per la sua flessibilità in attacco e intercambiabilità difensiva, magari proprio insieme a Griffin in una frontline che può creare autostrade per le tre superstar. Non è un caso se le line-up con i due in campo sono complessivamente positive per 13.5 punti su 100 possessi: nessuno ha il talento nel mettere il pallone nel canestro che può schierare Steve Nash.
https://twitter.com/SkySportNBA/status/1386409744764522500
Quanto siamo ancora disposti a farci stupire dalle schiacciate di Jeff Green?
Le differenze difensive tra DeAndre Jordan e Nic Claxton
Il ritiro di Aldridge ha riaperto le porte della rotazione a DeAndre Jordan, che era passato rapidamente da titolare inamovibile (grazie anche a una certa dose di raccomandazione, la stessa che gli è valsa un quadriennale da 40 milioni nell'estate del 2019) a panchinaro ricoperto d’oro. Invece le recenti vicissitudini hanno riportato il vecchio DeAndre al centro del pitturato - il suo giardino di casa per ormai 12 stagioni - dove nonostante la netta regressione fisica rimane un uomo molto grosso da spendere contro i tanti lunghi dominanti della costa Est. E nonostante i limiti che ha dimostrato negli ultimi due anni è ancora il miglior difensore in post per i Nets, un’abilità che non dev’essere ignorata alla luce del possibile percorso ai playoff della franchigia di New York. Nelle ultime due sfide contro Philadelphia, in un ipotetico anticipo di quella che potrà essere la Finale di Conference, ha tenuto fisicamente contro Joel Embiid, costringendolo ad un brutto 14/36 dal campo.
Basterebbero questi possessi per rendere Jordan ancora utile per i Nets quando c'è da mettere il fisico sotto canestro.
Steve Nash dovrà capire partita dopo partita che versione di Jordan sta mettendo in campo, se quella concentrata e fisica vista in alcuni match-up che lo pungolavano o quella passiva e dannosa quando non ha avuto un avversario diretto. A questo punto Jordan è un giocatore dalle caratteristiche piuttosto limitate e definite, e per quanto potrà cominciare in quintetto molte partite anche nei playoff difficilmente arriverà a chiuderle se non in contesto tattico molto particolare. Per quanto sia adatto a difendere individualmente in situazioni staticje contro i lunghi avversari, Jordan è molto lontano da essere oggi un buon difensore, vista la sua incapacità nel difendere sul perimetro, nell’accettare cambi difensivi e nel muoversi orizzontalmente. Per non parlare di come la sua sola presenza in campo riesca a normalizzare un attacco altrimenti inarrestabile, portandolo a segnare appena 115.7 punti per 100 possessi con lui in campo (mentre decolla a 122 quando lui è in panchina).
Per un vecchio leone che ha ormai imboccato la via del declino, ce n’è un altro che ha appena alzato la criniera (o meglio le treccine decolorate). Nel suo secondo anno in NBA Nic Claxton è diventato rapidamente uno dei giocatori più intriganti da osservare sul campo da basket, un prototipo del lungo difensivo moderno con flash da cerbiatto in autostrada. Nonostante sia stato rallentato nell’ultima settimana dal protocollo salute e sicurezza della NBA, Claxton si sta affermando come il lungo di riferimento per Brooklyn in vista dei playoff e potrebbe rappresentare l’asso nella manica di Nash.
Se Jordan è spendibile esclusivamente in uno schema di drop e Griffin può al massimo effettuare qualche aiuto e recupero, Claxton consente a Brooklyn di cambiare su qualsiasi blocco sulla palla. Anzi, Claxton è più a suo agio in una difesa che cambia sistematicamente piuttosto che in ogni altra architettura difensiva, potendo contare su un’agilità e una mobilità rare per il ruolo. Se è ancora troppo acerbo e leggero per lottare sotto i tabelloni, al contrario è perfetto per rimanere davanti al proprio diretto avversario sul perimetro mangiandosi il campo con la sua falcata chilometrica.
La leggerezza dei suoi appoggi gli permette di spostarsi rapidamente da un angolo all’altro del campo, rimanere in equilibrio e usare le sue lunghissime braccia per contestare il pallone. Ha una naturale predisposizione per passare da una posizione statica a una dinamica aprendo rapidamente le anche e così facendo evita di essere bruciato sui primi passi. Una qualità che gli permette di difendere su avversari che normalmente sono abituati a infilare i lunghi come spiedini.
Claxton è uno dei pochi difensori in NBA che riesce a stare con il proprio uomo dopo un cambio e allo stesso tempo contestare il lungo al ferro. I Nets concedono 0.826 punti per possesso quando cambia sistematicamente in difesa.
Secondo il sito BB-Index.com, che tiene traccia degli assegnamenti difensivi dei giocatori NBA, Claxton ha difeso per il 38.5% dei possessi il centro avversario, il 19.4% l’ala grande, l’8.8% l’ala piccola, il 18.1% la shooting guard e per il 15.4% la point guard, a conferma della straordinaria flessibilità difensiva del giocatore al secondo anno da Georgia. E la difesa dei Nets con Claxton in campo sale nettamente di livello, concedendo solamente 105.6 punti su 100 possessi, 9.4 in meno rispetto a quando è in panchina. In particolare gli avversari tirano con oltre il 4% in meno da tre punti, a dimostrazione di quanto la sua abilità nel cambiare sui blocchi tolga facili conclusioni dal perimetro senza pagare pegno nel pitturato (-1.0% al ferro, -8.8% nel midrange).
Ma per quanto le statistiche avanzate lo adorino - è secondo in D-Raptor dietro solo a Rudy Gobert tra i giocatori con più di 450 minuti - può davvero Nash affidarsi ad un ragazzo che ha appena compiuto 22 anni e giocato appena 40 gare in carriera da professionista quando le partite cominceranno a pesare sul serio?
Per quanto il parco lunghi dei Nets sia stato costruito da Sean Marks rovistando dov’era possibile, alla fine Nash e il suo staff hanno in mano un gruppo variegato e intrigante. Certo, dovranno essere bravi a riconoscere i vari skillset e ad inserirli nei quintetti appropriati, sfruttando le varie qualità al fianco di Durant, Harden e Irving, ma il materiale umano a disposizione dovrebbe esaltare la creatività di un capo allenatore NBA. Griffin garantisce qualità da passatore e da creatore che possono alzare ulteriormente il potenziale di una squadra con tre realizzatori sopraffini; Green una solidità sulle due metà campo ben oltre la sufficienza per lasciare libero il campo alle superstars; mentre Claxton e Jordan permettono due tipi di difese agli antipodi tra di loro, ma estremamente utili per fronteggiare tutte le insidie di una lunga marcia playoff. Senza contare l’energia pura di Alize Johnson o l’attività da palla di cannone umano di Bruce Brown, uno dei tanti capolavori di mercato di Marks. E soprattutto il migliore lungo a disposizione di Steve Nash, ovvero quel Kevin Durant che probabilmente non vorrà sporcarsi le mani sotto canestro finché non sarà davvero indispensabile ma che negli anni a Golden State ha dimostrato di essere un’arma di distruzione di massa.
Conosciamo tutti la facilità con la quale i Nets possono mettere il pallone nel canestro in ogni possesso, ma la vera discriminante per raggiungere l'anello sarà impedire agli avversari di fare lo stesso. Finora Brooklyn si è affidata alla sua abilità in attacco per vincere le partite, ma storicamente per conquistare un titolo non basta giocare solo in una metà campo. E una solidità difensiva non è mai la somma delle parti, ma una formula magica fatta da talento individuale, abnegazione alla causa e chimica di gruppo.
Brooklyn sta correndo contro il tempo per ottenere quest’ultima, lottando contro i troppi infortuni che hanno tenuto lontano dal campo a rotazione i suoi migliori giocatori. Anche perché non esiste una Stanza dello Spirito e del Tempo per velocizzare il processo, e i Nets dovranno esser bravi a trovarsi immediatamente in campo come solo atleti dal talento unico sanno fare.